Varchi n.30
Chi si specchia è perduto
Vecchi e nuovi narcisismi
Anno sedicesimo – numero 30 – primavera/estate 2024
Rivista semestrale di carattere scientifico-culturale
A cura de IL RUOLO TERAPEUTICO DI GENOVA
Hanno collaborato a questo numero: Filippo Cantarella, Paolo Chiappero, Fabio Madeddu, Giorgio Meneguz, Sara Patrone, Anna Pisterzi, Sabrina Robotti, Federica Roselli, Matteo Solari
EDITORIALE
Perchè non possiamo NON dirci narcisisti
Le parole della clinica, parole che fino a poco tempo fa erano considerate prerogative di professionisti, capaci solo di creare stigma, appartengono ormai al lessico comune per un imprescindibile disegno culturale che rende qualunque argomento alla portata di tutti.
Il narcisismo e le sue varie declinazioni non si sottraggono a questa tendenza diventando una sorta di contenitore comune alla pari di termini come “bipolare”, “border”, “paranoia”. Parole che avulse dal contesto assumono un significato denigratorio, giudicante, definitivo e che spesso appaiono delle scorciatoie per definire la complessità relazionale, l’incomprensione dell’altro da me.
Ma c’è di più.
Se analizziamo in maniera un po’ più approfondita il termine “narcisismo” senza scomodare i criteri del Dsm 5 e togliendogli l’aurea del disturbo di personalità che viene analizzata in maniera magistrale dall’articolo di Madeddu, possiamo considerare che questo sia caratterizzato da due evidenti manifestazioni: l’esagerato investimento della propria immagine e del proprio sé e dall’utilizzo delle relazioni interpersonali come un sostegno alla propria autostima.
Nell’era attuale chi può dire di non essere minimamente interessato a valorizzare la propria immagine o chi non è sensibile alle interazioni “social” ?
I narcisisti, si sa, sono più preoccupati per come appaiono piuttosto di quello che sentono e sono portati a scartare o negare tutti quei sentimenti che contraddicono l’immagine a cui tendono, disperatamente, di assomigliare. Aspirano al potere ed al controllo che esercitano sul proprio corpo e sull’estetica come Sara Patrone ci ricorda.
<<L’attuale preoccupazione per il corpo riflette un atteggiamento narcisistico e riflette anche l’attenzione per la salute, tutto per diffondere una immagine di vitalità>> ci ricorda Christopher Lasch nel suo “La cultura del narcisismo” del 1979.
La negazione della morte non è poi così dietro l’angolo e l’offerta commerciale, trionfa sulla vita e scommette sulla non morte. Ci si oppone alla natura ed al declino e lo specchio è una sorta di feticcio che ci rimanda continuamente lo sguardo bidirezionale in una sorta di autismo narcisistico che mira alla soddisfazione di essere oggetto di desiderio altrui.
Chi di noi riesce a resistere alla tentazione di passare di fronte ad uno specchio o ad una vetrina senza cedere alla seduzione di indagare l’immagine che mandiamo nel mondo e rischia di non appartenerci più?!
L’altro da me diventa il mezzo per confermare la mia immagine, il mio successo, i numeri dei followers sono vitamine proattive capaci di nutrire l’ego e renderlo invincibile.
Siamo e vogliamo essere irrimediabilmente esposti, oggettivati dallo sguardo degli altri e dall’interesse che possiamo suscitare.
La società per altro si è modificata dall’essere disciplinare all’essere prestazionale, siamo passati dal dover essere al poter essere e siamo ormai convinti che “impossible is nothing”. La stanchezza del fare non è prevista: a costo di entrare in guerra con se stessi si soffre di un eccesso di positività che conferma l’onnipotenza narcisistica, autoalimentandola.
Ma è anche vero che la complessità della società digitale non può derogare da un profondo senso di responsabilità che si declina in una analisi meno superficiale della parola stessa “narcisismo” a fronte della necessità di riappropriarsi di questi sentimenti e del dolore che il narcisista nega come ammonisce Pisterzi nel suo intervento.
E allora per non cedere alla lusinga della rassegnazione nel morire tutti narcisisti occorre fare ordine gettando una luce capace di porre attenzione alla teoria, ma anche a quelle pieghe in cui il narcisismo si nasconde magari in maniera insospettabile come l’articolo di Chiappero ci mostra, per poi avere il sopravvento diventando quindi un tratto essenziale, quasi irrinunciabile.
E’ il tentativo che questo numero di Varchi prova a portare avanti.
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