Violenza assistita: il bambino testimone    

Violenza assistita è la traduzione italiana della definizione anglosassone di withnessing violence.
Pur riferendosi entrambe allo stesso fenomeno, si differenziano tuttavia per la presenza nell’accezione inglese del termine withnessing: testimonianza. Le parole, si sa, hanno una loro anima e,  testimonianza, è una parola che rimanda ad una presenza attiva, che non si limita ad essere spettatrice passiva, come invece sembra evocare il termine assistita.

In un passato neanche troppo remoto, sono stati ignorati, o comunque molto sottovalutati, gli effetti traumatici che tale forma di violenza poteva avere sullo sviluppo psico-fisico di un bambino: per fortuna il pensiero e la clinica sono andati avanti ed ora è pienamente condiviso dalla comunità scientifica come, l’essere testimone di violenza intrafamiliare, per i processi di identificazione e controidentificazione che entrano in campo,  ponga una grossa ipoteca sul presente e sul futuro, sia a medio che a lungo termine, di un bambino.

Scrive Sandor Ferenczi nel suo lavoro “La confusione delle lingue tra adulti e bambini”:
<<[…] i bambini si sentono indifesi fisicamente e moralmente […] la forza prepotente e l’autorità degli adulti li ammutolisce, spesso toglie loro la facoltà di pensare. […] questa stessa paura, quando raggiunge un certo livello, li costringe automaticamente a sottomettersi alla volontà dell’aggressore […] identificandosi completamente con l’aggressore>> (Ferenczi, 1932)
e sempre Ferenczi:
  […] con l’identificazione con l’aggressore, diciamo meglio con l’introiezione dell’aggressore, quest’ultimo scompare come realtà esterna; l’evento da extrapsichico diviene intrapsichico. […] Ma nella vita psichica del bambino il mutamento più importante, provocato dall’identificazione per paura col partner adulto, è l’introiezione del senso di colpa dell’adulto (ibid)

Il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) così definisce la violenza assistita:
<<per violenza assistita intrafamiliare si intende l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative: adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza), e/o percependone gli effetti. Si include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici>> ( CISMAI 2005).

E’ un’esperienza sconvolgente e traumatizzante: vedere la violenza, sentire il rumore delle percosse, gli oggetti che si rompono, le voci alterate, gli insulti e le minacce. E’ sconvolgente e traumatizzante anche solo sapere che certe cose avvengono, vederne gli effetti sulle persone (ematomi, tagli, fratture, ricoveri ospedalieri), sugli oggetti (mobili distrutti, giocattoli rotti). E’ sconvolgente e traumatizzante percepire la sofferenza, la disperazione, la tristezza, l’angoscia, lo stato di allerta della vittima; anche se il bambino è apparentemente calmo o distante emotivamente (è nella sua stanza, sta giocando), il clima di violenza è stato sicuramente assorbito.
 “ [… ] la donna presentava vistosi segni sulla faccia e sulle braccia, [… ]la stanza appariva in disordine, con molti oggetti rotti per terra […] era presente il figlio che giocava in un angolo della stanza.  […] La donna non intende sporgere denuncia: ”Picchia solo me, il bambino non lo ha mai toccato” (Dal verbale redatto da una pattuglia dei Carabinieri intervenuta a domicilio su segnalazione dei vicini di casa).

Le conseguenze sullo sviluppo emotivo-affettivo di un bambino sono molto gravi soprattutto perché le persone coinvolte sono generalmente i genitori, cioè proprio  coloro che dovrebbero prendersi cura dei figli. Si configura una perdita dei punti di riferimento essenziali: le figure primarie di attaccamento sono da un lato terrorizzate, impotenti e disperate (la madre nella maggior parte dei casi), dall’altro pericolose e minacciose (il padre).

Nella mia esperienza professionale ho seguito in psicoterapia bambini vittime di violenza assistita in cui era il padre ad essere vittima della violenza della moglie, ma sicuramente la percentuale è minore, pur essendoci molto episodi sommersi.

Sono famiglie in cui si configura una forte confusione sul significato e l’essenza dell’affetto, della violenza, dell’intimità, del rispetto, della tenerezza, della prossimità affettiva e dove ritroviamo declinate le funzioni genitoriali distruttive/proiettive descritte da Donald Meltzer e  Martha Harris (1986): suscitare odio, seminare disperazione, trasmettere ansia persecutoria, creare bugie e confusione. (1)

Forte è la minaccia al legame di attaccamento che molto spesso si struttura nella modalità dell’attaccamento disorganizzato.

L’educazione sentimentale dei figli è fortemente impregnata di stereotipi di genere, che prevedono la svalutazione della figura materna e il disprezzo verso la donna, ma anche il disprezzo verso gli uomini che non si adeguano a tali stereotipi.

Tale modello relazionale distorto e patologico influenzerà profondamente i rapporti affettivi che verranno instaurati in adolescenza e nell’età adulta: le transazioni familiari violente educano alla violenza; assistere alla violenza ha risvolti dannosi non solo nell’immediato, ma anche a medio termine (adolescenza) e lungo termine (età adulta).

Nella fattispecie in adolescenza si riscontra una maggiore incidenza di comportamenti devianti e di deriva sociale, rapporti sentimentali incentrati sulla violenza, disturbi a livello emotivo e comportamentale, dipendenza da sostanze e/o alcool, violenze.
Tale modello relazionale distorto e patologico influenzerà profondamente i rapporti affettivi che verranno instaurati in adolescenza e nell’età adulta: le transazioni familiari violente educano alla violenza; assistere alla violenza ha risvolti dannosi non solo nell’immediato, ma anche a medio termine (adolescenza) e lungo termine (età adulta).

(1) Le funzioni genitoriali costruttive/introiettive sempre secondo Meltzer e Harris sono: generare amore, infondere speranza, contenere la sofferenza depressiva legata alla crescita e/o agli eventi dolorosi della vita, pensare inteso come capacità di conoscere, differenziare, conferire un nome preciso ad ogni vago sentimento.

Nella fattispecie in adolescenza si riscontra una maggiore incidenza di comportamenti devianti e di deriva sociale, rapporti sentimentali incentrati sulla violenza, disturbi a livello emotivo e comportamentale, dipendenza da sostanze e/o alcool, violenze sessuali (sia come autore che come vittima), depressione, atti suicidari o altre forme di attacco al corpo.
In età adulta si possono strutturare quadri clinici depressivi, disturbi di personalità, maggiore probabilità di violenza fisica e/o psicologica verso il partner e i figli, condotte impulsivo/aggressive verso l’altro. Trasversali i vissuti di impotenza, paura, colpa, vergogna  nonché bassa autostima e distacco emotivo.


Effetti psicologici della violenza assistita nell’infanzia

I bambini sviluppano un doppio forte senso di colpa sia per il fatto di sentirsi “privilegiati” quando non sono vittimizzati direttamente “sindrome del sopravvissuto” (2), sia perché credono di essere i responsabili della violenza in quanto “bambini cattivi”. Tale senso di colpa ha anche una funzione protettiva rispetto ai vissuti di rabbia e ostilità provati non solo nei confronti del genitore- maltrattante, ma anche verso il genitore-vittima, per non essere stato protettivo. Inoltre i bambini si percepiscono impotenti e incapaci perché non riescono a modificare la situazione e mettono in atto comportamenti volti a “calmare” il maltrattante: compiacimento, bugie, dare ragione ad uno o all’altro genitore a seconda delle circostanze.
<<Ho imparato a memoria le parole che devo dire per non fare arrabbiare papà e quelle per calmarlo…ma ho anche imparato le parole che non devo dire perché se le dico lui poi picchia la mamma>> (Andrea, 7 anni)


 (2) Nell’ambito del PTSD (disturbo da stress post-traumatico) la sindrome del sopravvissuto si configura come uno dei principali sintomi, caratterizzato in primis dal senso di colpa.
 

La tipologia del conflitto fra le due figure genitoriali ha forti ripercussioni sulla costruzione del “senso di ciò che sta accadendo” da parte del bambino: i conflitti legati maggiormente alla relazione coniugale (gelosie, sfera della sessualità) pongono il bambino maggiormente in una posizione di osservatore/valutatore, mentre la conflittualità che implica disaccordi sull’educazione e sulla gestione dei figli è quella che favorisce un’attribuzione di responsabilità a sé da parte del figlio.
<<Papà e mamma litigano sempre… a volte provo a dividerli …litigano per colpa mia>> (Simone, 6 anni)

Va sottolineato come la violenza verbale (minacce, voce alterata, intimidazioni, coercizioni, svalorizzazioni) possa assumere per il bambino lo stesso significato di una scena di reale violenza ed è molto importante la reazione della vittima, perché rappresenta un indicatore rilevante per il bambino ai fini dell’attribuzione di significato a quanto sta accadendo o a quanto viene minacciato che avverrà.

In tale clima disfunzionale e di estrema fragilità, i figli mettono in atto dei meccanismi di difesa/sopravvivenza funzionali per l’adattamento alla situazione traumatica: rimozione, scissione, negazione, diniego, identificazione proiettiva e che possono permanere per lungo tempo anche quando i bambini vengono accolti  in climi di protezione quali l’affido familiare , le case-famiglia o le strutture  madre-bambino).

I fratelli testimoni

Gli atti violenti subiti dai fratelli si configurano come fattore di maggiore destabilizzazione per gli altri bambini, in quanto i processi di identificazione fra i pari sono più immediati di quelli con le figure genitoriali. La vicinanza d’età, la dipendenza insita nello status di figlio, la mancanza spesso di un riferimento adulto protettivo, il naturale legame di solidarietà fra pari, rendono maggiormente complesso il quadro post-traumatico dei fratelli testimoni. Da un lato subentra il bisogno di proteggere il fratello che subisce i maltrattamenti, con profondi vissuti di sofferenza e confusione, dall’altro il senso di colpa che genera dall’acre e pervasivo vissuto di impotenza dato dal non saper offrire un senso alla differenza di trattamento. Il bambino si sente in dovere di “fare qualcosa” per cambiare la situazione: alcuni bambini tentano di attirare su di loro le violenze del genitore destinate all’altro fratello, ma può anche scattare aggressività verso la vittima accusando il fratello di non essere stato capace di bloccare la violenza se non addirittura di esserne la causa (identico meccanismo che scatta nei confronti della madre-vittima). In entrambi i casi si genera la condizione della violenza appresa, per identificazione con l’aggressore e/o con la vittima.  

Nel suo essere “testimone”, quale ingaggio ha la sensorialità di un bambino?                          Freud (1922) attribuisce al corpo un ruolo fondante nella costruzione del senso di identità “l’Io è prima di tutto un Io- corporeo”, concetto ripreso e ampliato dagli psicoanalisti a seguire. In particolare W.R. Bion dedica molta attenzione agli organi di senso; riferendosi ad un primo scritto del padre della psicoanalisi Sui due principi dell’accadere psichico (Freud, 1911), egli ne amplia la visione e affida ai processi sensoriali il ruolo della base da cui si sviluppa per linea diretta il pensiero:
<<[…]  la funzione alfa esegue le sue operazioni su tutte le impressioni sensoriali, quali che siano, e su tutte le emozioni, di qualsiasi genere, che vengono alla coscienza del paziente. Se l’attività della funzione alfa è stata espletata, si producono elementi alfa: essi vengono immagazzinati e rispondono ai requisiti richiesti dai pensieri del sogno. Se invece la funzione alfa è alterata, e quindi inefficiente, le impressioni sensoriali coscienti e le emozioni provate dal paziente restano immodificate: chiamerò queste elementi beta. Mentre gli elementi alfa sono sentiti come fenomeni, gli elementi beta sono avvertiti come cose in sé, con la conseguenza che anche le emozioni assumono i caratteri di oggetti sensibili>> (W.R.Bion,1962).

A loro volta gli studi sulla psicologia prenatale e perinatale, apportano un contributo fondamentale sul ruolo della sensorialità nello sviluppo della mente infantile : 
<<[…] Le esperienze sensoriali del feto all’interno della cavità uterina e in particolare quelle senso-motorie e uditive, ritmiche e costanti che riceve dal contenitore materno e dall’ambiente esterno, partecipano alla formazione di una memoria di base che assisterà il bambino alla nascita e gli permetterà di vivere una continuità psichica nel passaggio dall’ambiente interno a quello esterno, passaggio non privo di una certa traumaticità fisiologica >> (M.Mancia,2004)
<<[…]  Alla nascita le esperienze del neonato e conseguentemente la loro memoria, si condensano sulla sensorialità (aestesis): l’odore della madre, l’odore del suo latte, le sue parole, il modo con cui il neonato si sente contenuto e guardato veicolano cariche affettive fondamentali per l’organizzazione delle sue prime rappresentazioni>> (M.Mancia,2004)

Tutte le esperienze legate alla sfera del preverbale vengono archiviate nella memoria implicita, che è soprattutto una memoria corporea e percettivo-sensoriale; essa esplica proprio una funzione  organizzatrice delle  rappresentazioni arcaiche. Ciò assume una particolare valenza quando la vita prenatale e perinatale di un bambino ha come scenario la violenza domestica, spesso perpetrata nei confronti di una donna, già durante la gravidanza.
<<[…] le prime esperienze del neonato archiviate in questo tipo di memoria ( implicita) potranno anche essere caratterizzate da macro e micro-traumi: perdita dei genitori, abbandoni, trascuratezze, frustrazioni gravi, umiliazioni, incomprensioni, violenze fisiche e psicologiche, abusi anche sessuali. […] La memoria implicita verrà dunque a costituire il contenitore di tutte queste esperienze molto precoci, comprese le difese come la scissione, l’identificazione proiettiva e la negazione, che il neonato ha dovuto mettere in opera per ridurre le sue angosce collegate alle esperienze traumatiche.>> (M.Mancia, 2004)

Sappiamo come i ricordi impliciti compaiano prepotentemente e senza preavviso nelle riattivazioni traumatiche e, come spesso siano innescati, proprio da elementi sensoriali: suoni, rumori, odori, sapori, sono potenti attivatori di angosce arcaiche, per le quali non c’è narrazione, poichè le esperienze a loro collegate sono avvenute in epoche precoci preverbali.

Infine, le Neuroscienze e l’importante ripresa del dialogo con la Psicoanalisi, che ha acceso interesse e riflessione sui fondamenti neurofisiologici dell’intersoggettività                                  
 <<[…] La scoperta dei neuroni specchio (3) ha modificato il nostro modo di concepire i meccanismi alla base della comprensione delle azioni osservate. […] L’osservazione di un’azione induce l’attivazione dello stesso circuito nervoso deputato a controllarne l’esecuzione, quindi l’automatica simulazione della stessa azione nel cervello dell’osservatore >> (V.Gallese, P.Migone; M.N.Eagle, 2006).

Alla luce di ciò proviamo a immaginare il nostro piccolo testimone, mentre assiste alla violenza perpetrata da un genitore sull’altro o su figure significative della famiglia o anche su animali familiari a lui cari, perché anche questa è una forma di violenza domestica.
Inoltre, come già sottolineato in precedenza, anche se il bambino non vede direttamente l’aggressione del genitore,  può percepire i rumori, le grida, i pianti che accompagnano questi tragici avvenimenti e la risonanza interna è parimenti traumatica come se vedesse.    
<<[…] una classe particolare di neuroni specchio […] i “neuroni specchio audio-visivi”, sono attivati non solo dall’esecuzione o dall’osservazione di una data azione, ma anche dal semplice ascolto del suono prodotto dalla stessa azione. Ciò dimostra che i neuroni specchio incarnano un livello astratto di rappresentazione delle azioni finalistiche>>. (Ibid.) 
<<[…] La simulazione incarnata insomma costituisce  un meccanismo cruciale nell’intersoggettività. Grazie alla simulazione incarnata non assistiamo solo a una azione, emozione o sensazione, ma parallelamente nell’osservatore vengono generate delle rappresentazioni interne degli stati corporei associati a quelle stesse azioni, emozioni e sensazioni, “come se” stesse compiendo un’azione simile o provando una simile emozione o sensazione. […]


 (3) Scoperta effettuata dal Prof. Giacomo Rizzolatti e il suo Gruppo presso l’Istituto di Fisiologia dell’Università di Parma,  tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 del Novecento.. Inizialmente lo studio aveva riguardato le scimmie ( il macaco) ed in seguito l’osservazione diretta venne estesa all’uomo.

L’integrità del sistema sensori-motorio sembra davvero critica per il riconoscimento delle emozioni mostrate da altri […] perché in linea con quanto proposto da Damasio (1994), il sistema sensori-motorio consente la ricostruzione di ciò che si proverebbe attraverso la simulazione dello stato corporeo relativo. L’implicazione di questo processo per l’empatia è ovvia. (Ibid.)                

Storie cliniche

L’esperienza clinica con bambini testimoni di violenza intrafamiliare ci mette in contatto con drammatiche storie di vita, nelle quali il tema della sensorialità assurge alla ribalta.

L’intero spettro sensoriale ne è coinvolto, compreso quello tattile che nella violenza assistita sembrerebbe essere meno pregnante, data la natura indiretta di questa forma di  maltrattamento infantile.                                                                          
    <<[…]  Le qualità vibratorie del suono attivano anche un tatto interno o aptico: questa sfera aptica si rivela il luogo privilegiato di sintesi di quei fenomeni creativi veicolati dalla soggettività psicofisica . […] il senso haptic è un sistema percettivo comprendente: pressione, caldo, freddo, dolore, cinestesia. Il corpo ricorda indelebilmente, con stratificazione nell’inconscio, ciò che la mente ha difficoltà o più o meno convenienza a ritenere. […]  I ricettori immediati (pelle, membrane, muscoli) lo sono anche di distanza perché termici. “ Spazi Tattili”: la pelle può ricevere o emettere “calore raggiante>> (S. Guerra Lisi, G. Stefani ,2016).

Immagini, suoni, sapori, odori, vibrazioni e sensazioni tattili fanno parte della trama dei racconti dei bambini durante il lavoro terapeutico; si manifestano nei disegni, entrano in scena nel gioco e nei sogni, portatori di significati, di pensieri non ancora “pensati”, di emozioni, sensazioni, smarrimenti e paure. Sensi feriti, ma anche feritoie dalle quali poter accedere a ciò che è depositato nel mondo interno, per dare, ridare, restituire senso, attraverso la relazione empatica con il terapeuta.
   

<<[..] E’ la partecipazione emotiva dell’analista con tutto il suo essere (soprattutto con il suo emisfero destro e la memoria implicita) che permette al paziente di riacquisire un contatto emotivo interno profondo con la realtà dei sentimenti di morte, di dissociazione provati nelle traumatizzazioni gravi in famiglia   […] la partecipazione affettiva dell’altro non permette solo il contatto con le parti scisse ma permette il contatto con la realtà del corpo esso stesso testimone e portatore di verità di quanto è successo>> ( C. Mucci,2018)
 

 <<[…] L’analista quindi innanzitutto deve creare un canale empatico e profondo per quello che chiamiamo embodied testimony […]  è un canale  empatico in cui il terapeuta agendo come testimone accoglie, registra, sente, mette a disposizione implicitamente la propria risonanza emotiva, oppure restituisce la vera drammaticità alle parti scisse, a quelle vicende che vengono raccontate totalmente dissociate col sorriso sulle labbra, con gli occhi che ridono, a cui il terapeuta restituisce una corretta valutazione e risonanza emotiva, a volte attraverso l’indignazione e la sorpresa o il senso del pericolo che mancano a volte o sono mancati a questi pazienti >> (Ibid. )

Viola
Viola è una piccola creatura di soli 3 anni: lei e la mamma sono state appena allontanate dalla casa coniugale e sono accolte in una struttura rifugio.

Ha due grandi occhi verdi, i capelli color dell’oro inanellati in morbidi riccioli, sembra un angelo di Raffaello. Si stringe forte alla mamma, non la lascia mai  e per tutta la durata del colloquio con la bocca esplora il viso della madre come alla ricerca di qualcosa, con un movimento che ricorda la suzione.                                

La mamma mi racconta delle aggressioni rabbiose, improvvise, esplosive e devastanti del compagno fin dai tempi della gravidanza. Gli attacchi sono sempre avvenuti per futili motivi senza nessun ritegno per la presenza della piccola Viola.

Quasi sempre dopo la violenza il compagno se ne andava di casa, a volte  spariva per intere giornate, per poi ritornare e ricominciare con quel clima terribile.

Rimaste sole Viola si avvicinava alla mamma e con la bocca” beveva le sue lacrime”, fino ad asciugarle tutto il volto, poi scuotendo la testolina e guardando dritta negli occhi la mamma le diceva “Mamma no, mamma no “ Chissà che sapore sentiva… – dice la mamma…ormai con tutte le lacrime che ho versato e con tutte le lacrime che lei ha bevuto è come se anche noi due fossimo diventate delle lacrime(4)


 (4) “Il sapore delle lacrime”  è un’opera a olio su tela che il grande Maestro del Surrealismo René Magritte dipinse nel 1948. In essa sono rappresentati uccelli/foglia erosi da un bruco, espressione di uno dei concetti chiave del Surrealismo, la metamorfosi, in cui alcune cose si trasformano in altre.

Samuele

Samuele ha otto anni; è nato e cresciuto in un clima di violenza familiare perpetrato dal padre, un uomo tanto sofferente quanto brutale, a causa di una gelosia patologica nei confronti della moglie.

Nel tempo Samuele ha sviluppato una fine e sottile capacità di discriminazione uditiva, nel percepire e riconoscere il minimo suono o parola che possano innescare la ferocia paterna.

Samuele è un bambino molto bello, dall’aria triste e malinconica, in seduta mi parla delle sue orecchie: <<Sento tutto, le mie orecchie sono dei radar,  ormai ho capito cosa fa arrabbiare papà, l’ho detto anche alla mamma … per aiutarla>>.

Mette la mano in tasca e tira fuori un piccolo foglio di carta: è diviso a metà da una riga in modo da formare due colonne, in ciascuna delle quali ha scritto una serie di parole. Mi spiega che nella colonna NO sono indicati i termini da non pronunciare perché “Sono le parole che fanno venire il fuoco a  papà”, mentre nella colonna SI’ sono indicati quelli da pronunciare perché “Sono le parole che un po’ calmano papà… anche se non sempre”.

Samuele, mi racconta di aver capito che anche il tono, il modo con cui viene pronunciata una parola possono fare la differenza: <<Papà si arrabbia ancora di più se la mamma parla triste…oppure se parla troppo piano o troppo forte …e poi non deve mai dire ‘ti prego>>

Il suo udito nel tempo si è affinato/allertato sempre più, tanto da riconoscere dalla tipologia del passo del padre, se essa possa essere prodromica o meno ad una sua esplosione di rabbia: >>Le mie orecchie mi dicono cosa accadrà…perché purtroppo  qualcosa accade sempre>>.(5)

  (5) L’orecchio di Dionisio è una cavità naturale così chiamata per la sua conformazione  che ricorda il padiglione auricolare; questa strutturazione le  conferisce una capacità acustica tale da amplificare i suoni fino a sedici volte. Narra la leggenda che Dionisio, il tiranno di Siracusa, se ne servisse proprio per ascoltare ogni parola, sussurro, bisbiglio, al fine di prevenire attacchi al proprio potere.                   

Pietro
Pietro ha 6 anni quando ci incontriamo per la prima volta. Lui, la mamma e il nuovo compagno di lei, si sono appena trasferiti dalla costa all’entroterra: <<Per non avere più addosso gli sguardi curiosi e giudicanti della gente>> mi dirà la madre durante il primo colloquio. Pietro indossa un paio di enormi occhiali da sole, molto scuri: le lenti,  troppo grandi per il suo piccolo volto, lo coprono  per metà.

Le mani inglobate nelle tasche del cappotto, l’incedere lento e compatto lo fanno assomigliare ad un blocco di pietra; risuona in me il mito della Medusa, la spaventosa mitica creatura che impietriva chiunque incrociasse il suo sguardo e mi domando quale Medusa avranno incontrato gli occhi di Pietro.                                                              

Siede sul bordo della sedia, il cappotto abbottonato, le mani sempre nelle tasche; parla  con un filo di voce e solo se gli viene posta una domanda, le risposte sono brevi, talvolta semplici monosillabi si/no. Pensa che io sia un’Oculista “Sono qui per i miei occhi” mi dice con voce flebile e, con movimenti che ricordano il rallenty, si toglie gli occhiali. Lo sguardo è fisso, pietrificato, l’espressione terrorizzata, le ciglia quasi prive di battito.

Pietro aveva due anni quando il padre, dopo l’ennesima violenta lite con la moglie, mentre lei è uscita di casa per cercare aiuto, uccide sotto i suoi occhi in modo efferato e brutale la sorellina di soli nove mesi.

La piccola angosciata dal clima di violenza si era messa a piangere disperata, il padre l’aveva strappata dal passeggino e sbattuta più volte sul pavimento fino a fracassarle il cranio.

Questa era stata la Medusa di Pietro, di questo orrore i suoi occhi erano stati testimoni, un terrore che si rinnovava ogni qualvolta incontrava lo sguardo della madre pietrificato e pietrificante, perché restituente angoscia e terrore innominato e innominabile. (6)
Le storie cliniche e umane di  Viola, Samuele e Pietro ci conducono sugli scenari di tragedie familiari, purtroppo quotidiane, spesso sommerse e vissute nella più profonda solitudine.

La violenza intrafamiliare, che rimane confinata, blindata nel segreto, nella paura e nella vergogna ci fa capire quanto sia  fondamentale non voltarsi dall’altra parte, squarciare il velo dell’indifferenza   affinchè  chiunque possa diventare, anche inconsapevolmente,  quel “testimone compassionevole” così ben descritto da Alice Miller, ed interrompere il ciclo, altrimenti perpetuo, della violenza.


(6) Secondo il mito greco Medusa è una delle tre mostruose sorelle dette le Gorgoni;  venivano rappresentate con ali d’oro, zanne di cinghiale, lingua biforcuta e serpenti al posto dei capelli. Il loro potere risiedeva nell’essere in grado di pietrificare chiunque le avesse guardate.

                                       
  <<[…]  Un testimone soccorrevole è per me una persona che sta accanto (sia pure episodicamente) a un bambino maltrattato e gli offre un appoggio, un contrappeso alla crudeltà che caratterizza la sua vita quotidiana. Questo ruolo può essere svolto da qualunque persona del suo ambiente: un insegnante, una vicina, un collaboratore domestico o anche la nonna. Molto spesso si tratta di un fratello o di una sorella. Questo testimone è una persona che offre un po’ di simpatia o d’amore al bambino picchiato o abbandonato, Non cerca di manipolarlo a scopi educativi, ha fiducia in lui e gli trasmette affetto e gentilezza. Grazie a questo testimone, che non necessariamente dev’essere consapevole del suo ruolo decisivo e salvifico, il bambino apprende che al mondo esiste qualcosa come l’amore. In circostanze favorevoli, il bambino svilupperà fiducia nel suo prossimo e potrà custodire in sé amore, bontà e altri valori della vita >> ( A. Miller,1979)

Bibliografia 

Bion W.R. (1962), Apprendere dall’esperienza, 1972, Roma, Armando.
Damasio A.R. (1994), L’errore di Cartesio, Milano (1995), Adelphi.

Ferenczi S. (1932), La confusione delle lingue tra adulti e bambini. Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione, in Fondamenti di Psicoanalisi, vol.III, Ulteriori contributi (1908-1933), Psicoanalisi delle abitudini sessuali e altri saggi, a cura di Glauco Carloni e Egon Molinari,  pp. 415-427, Rimini, Guaraldi Editore.

Freud S. (1922), L’Io e l’Es, in Opere, 9, Torino, Bollati Boringhieri.

Freud S. (1911), Precisazione sui due principi dell’accadere psichico, in Opere, 6, Torino, Bollati Boringhieri.                                                            

Gallese V., Migone, P.Eagle M.N. (2006), La simulazione incarnata: I neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività ed alcune implicazioni per la psicoanalisi, in  Psicoterapia e Scienze Umane, XL, 3:543-580, Milano, Franco Angeli.

Guerra Lisi S., Stefani G. (2016), Sinestesia: struttura che connette linguaggi e comportamenti, Milano, Franco Angeli. 

Mancia M. (2004), Memoria e Psicoanalisi, in Rivista Frenis Zero, Lecce, Responsabile Editoriale Giuseppe Leo.

Meltzer D., Harris M. (1986), Il ruolo educativo della famiglia, Centro Scientifico Editore.

Miller A. ( 2002), Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé, Torino, Bollati Boringhieri.

Mucci C. (2018), Partecipazione affettiva dell’analista e testimonianza incarnata: Da Ferenczi alle neuroscienze, in TheWiseBaby/IlPoppanteSaggio,1(2):167-183, Gavardo (BS), Edizioni ARPA.

Tolstoj L., (2013), Anna Karenina, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore.


 

*Rosita Bormida  Psicologo Clinico; Psicoterapeuta Infantile Servizio Adozioni e affidi Asl2 Savonese; Referente Asl2 Tavolo regionale Abuso e Maltrattamento e Tavolo regionale Adozione e Affidi; Docente di Psicologia dell’Età Evolutiva Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica Il Ruolo Terapeutico di Genova.