Una buona lettura

“L’arte di legare le persone “ di Paolo Milone è un romanzo, o forse meglio dire una storia che in realtà è tante storie, e che  nel suo insieme svela una realtà che merita di essere conosciuta.
È un racconto vivo e diretto, che tra passione, sofferenza e ironia dà voce anche alle criticità.
Mi ha fatto ricordare i racconti della lotta partigiana che goccia a goccia, un po’ alla volta, i miei nonni avevano consegnato alla mia memoria di ragazzina.
Stesso effetto: uno spicchio di storia privata che unita a tante altre fanno la Storia.
Il racconto di Paolo Milone è fatto di immagini tratte dal suo archivio mentale , immagini che testimoniano il vivere di uno psichiatra nella psichiatria post-manicomiale di una città: Genova, la mia stessa città, e più o meno gli stessi luoghi in cui ho lavorato anch’io.
Genova che come suo solito si nasconde, e che quando meno te lo aspetti si apre agli occhi indiscreti del mondo, mostrando insieme bellezza e rumenta.
Ricordo volentieri il profumo del caffè o del cibo proveniente della stanza degli infermieri, l’odore forte di sudore o peggio, comunque odore di vita.
A volte entrando in reparto, mi colpiva di getto un urlo straziante o un canto melodico e insistente, o un silenzio di tomba o un improvviso vociare attraversato da risate dei colleghi in una stanza.
Bellezze che Paolo Milone in questo libro ci mostra di impeto senza nascondere ciò che i perbenisti definirebbero indecoroso.
“L’arte di legare le persone” è un libro bellissimo, affascinante nel suo stile e avvincente per le vignette di  una quotidianità viva che attraversa quarant’anni di lavoro.
“ Matti da slegare“ era invece il titolo del documentario di Bellocchio che ha contribuito a promuovere la conoscenza della situazione nei manicomi in Italia.
Da lì a poco i manicomi sono stati svuotati e chiusi.
Poi tutto si è richiuso nel mondo interno della psichiatria, il resto del mondo si è occupato d’altro.
Io ho iniziato a lavorare in psichiatria a Genova proprio in quel periodo. Erano gli anni in cui gli entusiasmi e le speranze erano collettive e il dibattito coinvolgeva il mondo esterno.
E poi? Poi, pochi mezzi, poco personale, poca formazione, poche strutture e poca, troppo poca psicologia e molti, molti farmaci, mentre troppo spesso i “Rufo“ si dedicavano ad altro.
Ho scelto questo libro perché mette in luce questi aspetti e sicuramente anche perché  racconta di un mondo a cui sono ancora molto affezionata e che come dicevo, da molti anni è finito in un cono d’ombra in tutta Italia.
La vita dei pazienti psichiatrici e dei loro operatori è stata alla  luce della ribalta negli anni settanta, ma dopo la Legge Basaglia è ripiombata nel silenzio.
Un tempo conoscere questo mondo ha significato confrontarsi con la violenza,  con l’orrore e l’ingiustizia e con il desiderio del rispetto dei diritti e delle persone, poi con la chiusura dei manicomi è sceso il sipario, ma dietro le quinte la vita è continuata.
Ecco questo libro ha un modo delicato, rispettoso e profondamente onesto di riaprire le porte della psichiatria.
“L’arte di legare le persone“, si giusto, non va nascosto, perché in questa psichiatria  qualche volta non si trova altra strada, ma soprattutto direi perché ci mostra quanta fatica e quanta creatività ci voglia per costruire legami, per tenere strette nella propria mente le persone che la follia spinge continuamente altrove.
Non sono molte le realtà in cui quotidianamente ci si trova a confronto con i grandi temi esistenziali, con sentimenti ed emozioni che stordiscono, sorprendono e cercano di soppiantare la ragione  rubando tempo all’esistenza, e non tutti sono disponibili a fare questa parte.
Ricordo un mio primario che diceva: “Guardate che la malattia mentale è contagiosa, non sottovalutate questo rischio”,  infatti per non rimanerne imbrigliati bisognava imparare a fare gli acrobati, riposizionarsi sempre , trovare il miglior adattamento quando si è dentro  e poi diversamente, quando a fine giornata o a fine carriera si esce.
Tempo fa sul treno ho incontrato mio cugino, medico di un importante pronto soccorso di Genova, mi ha detto: “Lavori sempre con quei balordi?”
Niente da fare per lui erano malati di serie B, così come di serie B erano gli operatori che si occupano di loro.
E non è bello sentirsi percepiti così, ma la tentazione di abbellire la realtà per abbellire se stessi non è certo un vizio di questo autore.
Non penso di sbagliare nel dire che probabilmente in tutto il nostro paese molti operatori della psichiatria potranno identificarsi nell’autore di questo libro, così come  qualcuno si sentirà piccato pensando di corrispondere a Rufo, personaggio del libro.
Il Reparto 77 è uno specchio della psichiatria di questi anni, ma è soprattutto un romanzo, perciò speriamo che i vari “Rufo” che lo leggeranno sappiano mantenere l’umiltà, sappiano divertirsi leggendolo e per una volta non si facciano prendere dai soliti noiosi giochi di potere.
Ecco perché questo libro è un  simpatico e serio contributo alla conoscenza.
 

Rita Sciorato è psicologa e psicoterapeuta