di Lucia Sciarretta *
Introduzione
“Tenere nella mente la mente” significa assumere una posizione relazionale in cui l’altro è presente non solo come corpo, ma come soggetto dotato di interiorità, emozioni e bisogni. È una posizione che implica la capacità di sintonizzarsi con gli stati affettivi dell’altro, regolare congiuntamente l’esperienza e promuovere un senso profondo di sicurezza relazionale.
Le scoperte delle neuroscienze affettive e la teoria polivagale di Stephen Porges (2011) confermano ciò che la psicologia dello sviluppo e la teoria dell’attaccamento avevano intuito: l’organizzazione del Sé avviene sempre nel contesto di un altro Sé (Schore, 1994). In questo articolo verranno affrontati questi concetti sia per quanto riguarda lo sviluppo psicoaffettivo nella diade madre-bambino, sia per quanto riguarda le traiettorie evolutive psicopatologiche conseguenti alla difficoltà di auto-regolazione. Infine verrà affrontata la relazione terapeuta-paziente all’interno della quale verranno affrontati gli stessi concetti. Come nella relazione madre-bambino, anche nella psicoterapia il terapeuta può offrire esperienze relazionali sane che si imprimono nelle strutture neurobiologiche del paziente, facilitando processi di integrazione e crescita psicologica.
Il ruolo della sintonizzazione affettiva nella regolazione degli affetti
Allan Schore (1994, 2001) ha sottolineato come il processo di sviluppo del cervello del bambino sia guidato dalla sintonizzazione affettiva con la figura di attaccamento. Questa sintonizzazione non è solo una rispondenza emotiva, ma una sincronicità neurobiologica tra i cervelli coinvolti, che permette una regolazione interpersonale degli stati affettivi. È in questa sincronicità che si costruisce la capacità del bambino di regolare il proprio stato interno e quindi di sviluppare resilienza, empatia e autoregolazione. Fin dai primi giorni di vita, il neonato entra in un campo relazionale sincronico con il caregiver, specialmente con la madre. I neonati sono intrinsecamente socievoli, pronti alla relazione, attraverso lo sguardo, la voce, i micro-movimenti e il tono emotivo, si crea una danza interattiva in cui:
- il volto della madre riflette gli stati affettivi del bambino (Bion, 1962 – reverie);
- il caregiver funge da regolatore esterno degli stati emotivi interni del piccolo;
- questa interazione facilita lo sviluppo del sistema nervoso autonomo, della regolazione emozionale e dell’attaccamento sicuro (Schore, 2001).
Studi recenti di neuroimaging hanno mostrato che nelle interazioni madre-bambino ben sintonizzate si verifica una sincronia cerebrale tra la corteccia prefrontale della madre e quella del bambino (Atzil et al., 2011). Questa sincronia rafforza la capacità del bambino di autoregolarsi. Durante la sincronia affettiva e relazionale le aree limbiche (come l’amigdala e l’insula), coinvolte nell’elaborazione delle emozioni, si attivano in modo coordinato e la corteccia prefrontale del caregiver più regolata (se sintonizzato) modula l’attività della corteccia pre-frontale del bambino meno matura e meno regolata, sostenendone la regolazione affettiva (Siegel, 1999).
Schore (2001, 2003) ha dimostrato che nelle relazioni primarie (soprattutto nei primi 18-24 mesi), la regolazione degli stati affettivi del bambino è affidata alla regolazione fornita dal caregiver. Il cervello destro del bambino, coinvolto nell’elaborazione delle emozioni e nella regolazione dell’arousal, si sviluppa in interazione diretta con il cervello destro del caregiver.
Beatrice Beebe e Frank Lachmann, pionieri nello studio delle interazioni precoci madre-bambino introducono il concetto di zona intermedia di monitoraggio come uno spazio relazionale fluttuante, in cui il bambino può tollerare l’esplorazione affettiva senza andare in iperattivazione (ansia, fuga, acting) o ipoattivazione (ritiro, spegnimento). Beebe e Lachmann (2002) la descrivono come il “territorio della regolazione condivisa”: uno spazio dove il caregiver (o terapeuta) può monitorare i segnali emotivi dell’altro e modularli con interventi sintonizzati. È qui che si gioca la qualità dell’attaccamento: troppo vicino e il bambino si sente invaso, troppo distante e si sente abbandonato. Il caregiver sintonizzato sa “stare con” senza “fondersi”, mantenendo un equilibrio che favorisce l’integrazione del Sé. Secondo Allan Schore (1994, 2001), lo sviluppo del cervello del bambino è “esperienza-dipendente”, e in particolare “relazione-dipendente”.
Il caregiver svolge la funzione di regolatore esterno degli stati interni del bambino nei primi mesi e anni di vita, quando l’autoregolazione non è ancora disponibile. Questa funzione si manifesta attraverso:
- sintonizzazione affettiva (intonazione emotiva con lo stato del bambino);
- risposte regolanti (calmare, contenere, dare senso all’emozione);
- rispecchiamento coerente e modulato.
La sicurezza è il prerequisito fondamentale per lo sviluppo della mente e per tutte le forme di interazione umana regolate.
Stephen Porges (2011), attraverso la sua teoria polivagale, ha ridefinito la comprensione della sicurezza non come assenza di pericolo, ma come percezione attiva di un ambiente relazionale accogliente e regolante. La sua affermazione secondo cui: <<La sicurezza è il preambolo all’attaccamento>> sintetizza bene l’importanza di creare ambienti in cui il sistema nervoso autonomo possa rilassarsi e aprirsi all’incontro. Un ambiente sicuro permette l’attivazione del ramo ventrovagale del nervo vago, associato ai comportamenti sociali, alla calma e alla connessione. Al contrario, la percezione di minaccia attiva l’amigdala e le vie simpatiche (attacco, fuga) o dorsovagali (ritiro, freezing) ostacolando la relazione. In termini neurobiologici, la sicurezza regola l’accessibilità della mente all’altro. Il nervo vago (ramo ventrovagale, in particolare la sua porzione mielinizzata) agisce come ponte tra i vissuti corporei e la regolazione sociale. Il contatto visivo, la voce calma, il ritmo condiviso: sono questi gli stimoli che attivano il sistema nervoso sociale, promuovendo co-regolazione e sintonizzazione.
Il Sé si costruisce “nel contesto di un altro Sé, di un altro cervello” che deve essere disponibile, sintonizzato, capace di rispecchiare senza confondere, di contenere senza invadere. È la qualità di questa presenza che consente lo sviluppo di un attaccamento sicuro e la crescita di una mente capace di pensare, sentire e stare in relazione.
Disregolazione affettiva e psicopatologia dell’età evolutiva
L’affetto è il centro propulsore dell’esperienza umana. <<Ci organizza e ci disorganizza… Connette e disconnette le nostre relazioni con gli altri>> afferma D. Hill (2001). Regolare gli stati affettivi significa avere accesso a strumenti cognitivi, relazionali e corporei per contenere, modulare, esprimere e trasformare l’emozione in esperienza pensabile. Ma quando questi meccanismi falliscono o si sviluppano in modo disfunzionale, si assiste alla disregolazione affettiva, una condizione transdiagnostica e precocemente predittiva di psicopatologia.
In particolare, l’età evolutiva – e in modo specifico l’adolescenza – è un periodo critico in cui la disregolazione emotiva può manifestarsi con sintomi internalizzanti (ansia, depressione, ritiro) o esternalizzanti (aggressività, impulsività, comportamenti oppositivi), gettando le basi per disturbi complessi in età adulta.
L’affetto regolato è ciò che permette l’adattamento flessibile all’ambiente, l’integrazione tra emozione e pensiero, tra corpo e mente. Al contrario, la disregolazione emotiva è un processo per cui le emozioni risultano eccessivamente intense, durature o non adeguatamente gestite, compromettendo il funzionamento adattivo e relazionale (Gross, 2015). Numerosi studi evidenziano una correlazione tra difficoltà regolative precoci e l’insorgenza di disturbi in età evolutiva e adulta. La disregolazione non è possibile considerarla solo con un sintomo, ma come un marcatore trasversale di vulnerabilità psicopatologica, riscontrabile in disturbi dell’umore, disturbi del comportamento, disturbi del neurosviluppo e traumi complessi (Beauchaine & Crowell, 2020). È importante sottolineare che la disregolazione può manifestarsi con modalità diverse: esplosiva e agita (es. acting out), oppure implosa e interiorizzata (es. ritiro, autocritica, somatizzazione).
Le crisi di disregolazione emotiva riflettono una temporanea perdita di integrazione tra sistemi corticali e sottocorticali, in particolare tra:
- Amigdala, coinvolta nella risposta emotiva immediata;
- Corteccia prefrontale, deputata all’inibizione, alla pianificazione e alla regolazione top-down;
- Insula, legata all’interocezione (la percezione degli stati interni del corpo);
- Sistema dopaminergico e serotoninergico, implicati nei meccanismi di ricompensa e regolazione dell’umore.
In situazioni di disregolazione, l’amigdala può prevalere sull’autoregolazione corticale, generando risposte impulsive o stati prolungati di allarme emotivo. L’immaturità di questi circuiti nei bambini e negli adolescenti rende queste fasce d’età particolarmente vulnerabili.
Daniel Siegel (2013) descrive l’adolescenza come un periodo di “rimodellamento cerebrale”, in cui il cervello è altamente plastico ma instabile. L’integrazione tra i circuiti limbici (emotivi) e prefrontali (razionali) è ancora in costruzione generando maggiore vulnerabilità alla disregolazione emotiva. Tra i principali quadri psicopatologici dell’età evolutiva associati alla disregolazione affettiva e comportamentale troviamo:
- Disturbi da comportamento dirompente (es. ADHD, disturbo oppositivo-provocatorio)
- Disturbi d’ansia e dell’umore (es. depressione infantile, ansie sociali)
- Disturbo borderline di personalità emergente (EBPD)
- Trauma e disregolazione post-traumatica
- Disturbi del comportamento
- Dipendenze
Queste condizioni spesso condividono una difficoltà nella gestione degli stati interni, nella tolleranza alla frustrazione e nella modulazione delle relazioni con l’altro.
Il progetto ABCD (Adolescent Brain Cognitive Development Study, 2018) è uno dei più grandi studi longitudinali sulla neurocrescita adolescenziale, che monitora oltre 11.000 bambini americani dalla preadolescenza all’età adulta. I risultati iniziali mostrano come:
- Le esperienze precoci (traumi, ambiente familiare, qualità della regolazione emotiva genitoriale) abbiano un impatto strutturale e funzionale sullo sviluppo cerebrale.
- I circuiti della ricompensa e della regolazione si modificano in modo significativo durante la pubertà, correlando con l’espressione di sintomi internalizzanti o esternalizzanti.
- La disregolazione precoce è un forte predittore di problemi comportamentali futuri, in particolare se combinata con fattori ambientali di rischio.
Questi dati rafforzano l’idea che la disregolazione emotiva non sia un destino, ma un processo dinamico e modificabile, soprattutto se intercettato precocemente.
Sintonizzazione e regolazione emotiva nella relazione terapeutica
Il modello dell’attaccamento (Bowlby, 1969) ha fornito la cornice teorica per comprendere la psicoterapia come relazione di cura. All’interno di questa relazione, la regolazione affettiva è un processo cruciale, che consente al paziente di accedere, nominare, contenere e trasformare le proprie emozioni, spesso in precedenza intollerabili o dissociate.
Fonagy e collaboratori (2002) descrivono due livelli fondamentali di regolazione:
- Regolazione primaria: esperita in modo preverbale, corporea, implicita; basata sulla co-regolazione affettiva, come tra neonato e caregiver.
- Regolazione secondaria: mediata da processi riflessivi e simbolici, in cui l’esperienza emotiva viene pensata, elaborata e integrata.
La psicoterapia si muove su entrambi i livelli: nella presenza empatica del terapeuta si attiva la regolazione primaria, mentre il lavoro di insight e mentalizzazione agisce sul piano secondario. Sebbene i pazienti abbiano sviluppato capacità cognitive e verbali, molti portano con sé ferite relazionali precoci (traumi, trascuratezza, attaccamento insicuro o disorganizzato) che hanno interrotto o alterato lo sviluppo della regolazione primaria. Come scrive Allan Schore (2003): <<La psicoterapia efficace funziona primariamente attraverso una comunicazione affettiva implicita tra il cervello destro del terapeuta e quello del paziente (tono della voce, postura, ritmo e campo affettivo sicuro)>>. La regolazione secondaria si basa su funzioni superiori quali riconoscere e nominare le emozioni, collegarle ai contesti e ai pensieri e modificarle attraverso il pensiero, il significato e la narrazione. Il terapeuta funge da figura di attaccamento, capace di offrire un legame che consente la regolazione delle emozioni e l’esplorazione di contenuti interni dolorosi. Secondo Holmes (2001), la psicoterapia funziona quando si crea un campo di attaccamento all’interno del quale il paziente può regredire, riorganizzarsi e infine integrare nuove parti di sé.
Tra i fattori che costituiscono una base sicura terapeutica, possiamo identificare:
- Costanza e affidabilità del setting (spazio, tempo, regole);
- Empatia sintonizzata;
- Capacità di contenimento affettivo e cognitivo;
- Disponibilità a tollerare la confusione, l’angoscia, il non-sapere;
- Capacità di mentalizzare, cioè di tenere nella mente la mente dell’altro (Fonagy et al., 2002).
L’esperienza di essere regolati da un altro, all’interno della relazione terapeutica, permette al paziente di sviluppare nuove modalità di autoregolazione e nuove rappresentazioni interne delle relazioni.
Esperienze ripetute di regolazione affettiva sicura, anche in età adulta, possono rimodellare il cervello, grazie alla neuroplasticità, favorendo una maggiore integrazione tra i sistemi emotivi e cognitivi. In questo senso, la psicoterapia può essere considerata un processo neuroaffettivo trasformativo.
“Tenere nella mente la mente” è un atto neurobiologico, relazionale e profondamente umano. Significa offrire all’altro – bambino, paziente, partner – uno spazio sicuro dove i suoi stati interni possano essere accolti, compresi e regolati. Significa offrire sicurezza attraverso la sintonizzazione, regolare attraverso la relazione, costruire legami attraverso la presenza. In questo senso, la mente umana si sviluppa non per l’altro, ma con l’altro.
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* Lucia Sciarretta è Psicologa e Psicoterapeuta, esperta in psicopatologia e trauma relazionale in età evolutiva