Sostenibilità, ambiente e benessere dell’uomo

Termini come sostenibile, ecologico, biologico, green, riciclabile o riciclato, fanno ormai parte della nostra vita da diversi decenni, al punto che l’etichetta “bio” la si può trovare indistintamente applicata ad una mela o ad una maglietta.

Ma che cosa significano veramente queste parole? Perché sono così diffuse nel nostro linguaggio?
Per rispondere a queste domande è necessario fare un passo indietro di circa mezzo secolo, quando nel 1972 a Stoccolma, in occasione della Prima Conferenza dell’ONU sull’ambiente umano, si evidenziò quanto l’evoluzione tecnologica e scientifica avesse fornito all’uomo la capacità di trasformare il suo ambiente e si prese consapevolezza del fatto che dal modo con cui vengono sfruttate le risorse naturali dipenda il benessere dei popoli ed ogni forma di sviluppo del mondo intero.
Un anno dopo, la crisi energetica confermò le preoccupazioni sollevate a Stoccolma, accentuate dall’urgenza di trovare fonti alternative di approvvigionamento.
Come in ogni settore, una situazione di emergenza ha due conseguenze principali: da una parte fa emergere i punti di rottura del meccanismo, dall’altra spinge a trovare delle soluzioni differenti. Fu così che grazie alla crisi degli anni Settanta, si cominciò a riflettere sulla precarietà del sistema produttivo occidentale, basato esclusivamente sull’utilizzo del petrolio, e per la prima volta si affrontò il problema del risparmio energetico.
Da quel momento, l’obiettivo di uno Sviluppo Sostenibile a livello globale divenne sempre più concreto, ottenendo la propria definizione ufficiale nel 1987 con il Rapporto della Commissione Brundtland (la prima Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo), “Our common Future”, nel quale si ribadì l’importanza della dimensione sociale della sostenibilità: “Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri” (Rapporto Brundtland, 1987)

Oggi sono passati 34 anni da quando il termine Sostenibilità e tutti i suoi derivati sono entrati a far parte del nostro linguaggio, abbracciando ogni aspetto della nostra vita: dalla scelta di quello che mangiamo a come decidiamo di spostarci da un luogo all’altro, perché, come affermato sin dalla prima conferenza Mondiale sull’Ambiente, solo intervenendo in maniera diffusa è possibile educare le persone ad un approccio sostenibile.
Gli effetti dell’attività antropica sono infatti evidenti e il settore che più di tutti manifesta questa interazione tra uomo e natura è sicuramente quello dell’edilizia. Sia per il fatto che le città, o più in generale il costruito ha e continua a trasformare in maniera irreversibile il territorio che ci circonda, sia perché l’edilizia da sola costituisce il 39% delle emissioni di CO2, consuma il 36% dell’energia globale e il 50% delle risorse idriche del pianeta (come si legge dal Rapporto della Global Alliance for Building e Construction in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti Climatici tenutasi a Madrid nel 2019).
Nell’ottica di un utilizzo controllato delle risorse ambientali e di riduzione dei fattori inquinanti, l’intervento sul patrimonio edilizio, esistente e nuovo, risulta inevitabile e necessario. E’ così che concetti come Prestazione Energetica degli Edifici, Economia Circolare e Criteri Ambientali Minimi sono diventati parte integrante di ogni processo architettonico degli ultimi anni, rispondendo parallelamente a nuove esigenze dell’abitare basate sul Benessere Termico o Comfort Globale, ossia la condizione ottimale nella quale non si percepisce alcuna sensazione di caldo o di freddo e ci si trova in perfetto equilibrio con l’ambiente circostante.

Senza voler dare una definizione tecnica dei termini sopracitati, è sufficiente dire che riguardano rispettivamente:
– la limitazione del consumo energetico degli edifici, cioè quanta energia occorra per riscaldarli/raffrescarli;
– la riciclabilità dei materiali utilizzati;
l’inquinamento causato in fase di produzione ed utilizzo di questi ultimi.


Chiaramente, l’inserimento di questi principi nella progettazione degli spazi, associato all’esigenza di adattarsi a nuovi stili di vita, ci fa assistere ad un vero e proprio stravolgimento dell’ambiente domestico attuale rispetto a quello del passato.
E’ così che le nostre case cambiano look, si rivestono di materiali riciclati (come il PET utilizzato per i pensili della cucina), modificano la propria forma (l’esempio più eclatante è lo “open space”) e luce (lampade led) e si arricchiscono di tecnologie in grado di tracciare e controllare i consumi domestici (senza arrivare all’automatizzazione o alla domotica più avanzata, basta pensare ai contabilizzatori dei radiatori nelle case di tutti).
Se quanto detto finora può essere considerato valido indistintamente per ogni Paese Sviluppato, guardando il panorama Italiano si aggiunge un’altra componente decisamente non trascurabile, data dalla composizione del patrimonio architettonico esistente.
Nel nostro Paese, infatti, ci troviamo a fare i conti con una quantità notevole di edifici vetusti, di più o meno valore storico/artistico che nel corso degli anni hanno cambiato innumerevoli destinazioni d’uso continuando a vivere forse oltre la loro “data di scadenza”. Questo approccio, se da un lato asseconda il Pensiero Sostenibile, in quanto permette di risparmiare le risorse che occorrerebbero per realizzare un nuovo edifico, dall’altro inserisce un ostacolo di dimensione più o meno significativa al raggiungimento del famoso Comfort Globale. Intervenire su qualcosa che era stato pensato e realizzato in un periodo storico totalmente diverso da quello attuale per rispondere a bisogni ed esigenze ormai superate, per adattarlo ora ad una nuova funzione e dovendo rispettare certi parametri prestazionali, è una sfida ardua, che costringe i progettisti a mettere in campo tutte le loro conoscenze e a confrontarsi spesso con figure differenti per trovare ogni volta una soluzione diversa. Non bisogna dimenticare, infatti, che oggi in Italia l’architettura contemporanea è governata da una fitta normativa che tocca moltissimi aspetti oltre a quello esclusivamente energetico, spaziando dai requisiti igienico sanitari, che stabiliscono le dimensioni minime degli ambienti a seconda della loro funzione, arrivando ai più delicati parametri antisismici dei singoli edifici. Se si aggiunge poi tutto l’apparato normativo relativo alla tutela del Paesaggio, ci si rende conto di quanto lavoro sia stato fatto nel corso dell’ultimo secolo per limitare la trasformazione incontrollata dell’ambiente senza arrestare il normale sviluppo dell’attività umana.
Dal 2013, la scelta di adattare l’esistente al nuovo ha subito un’ulteriore spinta nella propria affermazione attraverso la diffusione degli ormai noti incentivi fiscali. Il “Bonus ristrutturazione, l’”Ecobonus”, il “Sismabonus” e il recentissimo “Superbonus”, affiancati ad altre forme di agevolazioni come lo “Sconto in fattura” o la “Cessione del credito”, rappresentano dei nuovi mezzi forniti dallo Stato attraverso i quali il recupero degli edifici esistenti e soprattutto il loro miglioramento prestazionale diventa una soluzione accessibile ed invitante per tutti i cittadini, in quanto in cambio dell’intervento migliorativo ottengono il rientro economico di una certa percentuale dell’investimento effettuato sotto forma di detrazione fiscale.
Oltre all’aspetto economico, ciò che più deve farci riflettere di questi innumerevoli “bonus”, è la vastità di settori che riguardano. Si tratta di un chiaro segnale di quanto sia ormai affermata la consapevolezza dell’urgenza di mettere in atto la cosiddetta Transizione Ecologica, senza la possibilità di poterla più rimandare. A livello globale, da Stoccolma ad oggi sono stati fatti molti passi verso questo senso, dall’Agenda21, al Protocollo di Kyoto, sino ad all’ultima “Agenda 2030”, sottoscritta nel 2015 a New York con l’obiettivo di guidare il mondo intero attraverso un percorso di 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile da raggiungere entro il 2030.
Il fattore più interessante di questo lungo processo di sviluppo, che spesso non viene compreso dai più scettici, è che il concetto di sostenibilità non si limita alla difesa dell’ambiente fine a sé stessa. Deve anzi essere chiaro che alla base di ogni scelta sostenibile vi sia sempre il benessere dell’uomo in ogni sua forma. Per capirlo è sufficiente leggere i contenuti di “Agenda 2030”, nei quali i “17 Goals”, abbracciando le tre componenti fondamentali dello Sviluppo Sostenibile (economica, sociale e ambientale), mirano a risolvere una serie di questioni importanti condivise da tutti i popoli, come la fine della povertà, la lotta contro l’ineguaglianza e il contrasto al cambiamento climatico, mostrando come la difesa dei diritti umani sia veramente il centro nevralgico dell’intero approccio, o comunque è così che dovrebbe essere.
Infine, negli ultimi due anni, l’emergenza sanitaria del Covid-19 con cui abbiamo purtroppo imparato a convivere, oltre al forte impatto sul piano psicologico e sociale di ogni persona, derivante dai forti cambiamenti imposti al nostro stile di vita, ha sicuramente dato un’ulteriore accelerata alla trasformazione dei nostri ambienti domestici. Lo “smart working” e la DaD, hanno fatto emergere nuove esigenze di spazio che solo qualche anno fa sembravano del tutto superflue. Basti pensare allo “home office”, che non si riferisce al Ministero degli Interni del Regno Unito, ma a quell’angolo di casa ritagliato inizialmente sul tavolo o la penisola della cucina per poter lavorare a distanza. Due anni fa l’idea di avere una scrivania o addirittura una camera dedicata ad ufficio era qualcosa di eccezionale, condivisa solo da pochi professionisti già abituati a lavorare da casa per il tipo di attività da loro svolta. Oggi, questa è diventata una necessità imprescindibile con la quale architetti, arredatori o designer hanno dovuto imparare a confrontarsi, regalando soluzioni originali e alternative.
Di conseguenza nel corso della storia abbiamo visto le nostre case cambiare aspetto, parallelamente al mutare dei nostri bisogni ed esigenze, mantenendo sempre più un occhio di riguardo alla tutela dell’ambiente che le ospita, in accordo al principio base di uno Sviluppo Sostenibile.
Si tratta di un processo che non avrà mai fine, il cui risultato parziale certamente ogni volta ci stupirà, ma che sempre più cercheremo di prevedere e controllare nel modo che riterremo migliore per la difesa delle generazioni presenti e soprattutto di quelle future.

*Maria Mazzarello è architetto dello “Studio DM2architettura”

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