Ristorazione ai tempi del covid

Chiara Cacciatore

Il mio settore, uno dei più chiacchierati probabilmente, è stato duramente colpito durante il lockdown per la Pandemia e tutt’ora fatica a rimettersi in piedi. Per i pochi fortunati che sono riusciti a rialzare le serrande sono tempi grigi, fatti di calcoli e rinunce, di ore extra e mancanza di personale, di sacrificio perché “ancora grazie che abbiamo un lavoro” ci ricorda qualcuno, di attese per una cassa integrazione che fatica ad arrivare. Siamo passati da essere semplici camerieri, baristi, cuochi o pasticceri, a sceriffi dell’ordine maniacalmente compulsivi per l’igiene.

Ma procediamo con ordine.

L’11 Marzo viene annunciata la chiusura di bar e ristoranti su tutto il territorio nazionale, passiamo dal ridere e scherzare di un virus che fa meno vittime dell’influenza e poco più degli ippopotami, circa 500 vittime l’anno, ad una vera e proprio Pandemia. Occupandomi degli ordini della merce nel locale dove lavoro, già da un mese cerco di non ordinare troppo, percependo un calo insolito di clientela data la chiusura delle Regioni. Sono già diverse settimane che le Istituzioni danno istruzioni diverse e contrastanti, passiamo rapidamente da chiudere tutte le sere alle 18 ad una chiusura totale delle attività. Noi camerieri, baristi, o chiunque lavori nella ristorazione sappiamo bene di non aver mai avuto così tanto tempo libero: di solito le nostre giornate prevedono almeno 10/12 ore di lavoro, contando non solo lo sforzo fisico, ma anche quello psicologico. E sì, perché fare questo mestiere prevede una discreta dose di conoscenza della psiche umana, empatia, linguaggio, cortesia, accoglienza, professionalità e conoscenze fisico-chimiche per una corretta miscelazione degli ingredienti, l’arte dell’impiattamento ed estetica del piatto, bella presenza, contabilità ecc. tutto questo condito da un sorriso perenne in volto degno dei migliori Psyco Killer della Storia.

E non solo ci siamo ritrovati con del Tempo, ma anche con una valida scusa per non poter vedere amici e parenti. Insomma, vista così ironicamente non sembrava poi così male, se non fosse che tutto il resto non si è mai fermato, come le bollette, le tasse universitarie (solo le tasse, l’Università resta chiusa ma la paghi), l’affitto di casa, la Tari puntualissima, il canone Rai e chi più ne ha più ne metta, forse a conti fatti l’unica cosa che ha subito davvero una battuta d’arresto è stato il portale dell’Inps. Ma non voglio iniziare la solita sterile lamentela fatta di “discorsi da bar”, dopotutto chi ha ancora la pretesa di arrivare a fine mese? Alla fine, passare da Bartender a Fattorino è stato un attimo. Sì perché il mio locale, come molti altri, ha dovuto reinventarsi. Credo sia questa la parola chiave di questo 2020 che si è svegliato con il piede sbagliato.

Abbiamo iniziato con il servizio d’asporto, con nostra sorpresa pienamente condiviso dai nostri clienti soprattutto nei giorni di festa come la Pasqua: in molti hanno deciso di ordinare qualcosa e farlo avere in casa ad un amico o parente che non potevano vedere. Così ho potuto rivedere molti clienti a cui normalmente servivo un caffè o un cappuccino volante, durante una pausa lavorativa o un rientro alle proprie abitazioni. Mi sono anche divertita, percorrendo i caruggi in lungo e in largo, ma mi sono resa conto di quanto fosse pericoloso dato l’aumento in certe ore di persone in giro a passeggio. Non sta a me giudicare, per quello bisognerebbe fare almeno cinque anni di giurisprudenza, la quarantena è stata diversa per ognuno di noi. Siamo stati nella stessa tempesta, non sulla stessa barca. Eppure, un pomeriggio, al rientro da una consegna, mi passa a fianco un ragazzo in un vicolo piuttosto stretto. Gli cedo il passo, lui ringrazia, e dopo fa quello che ho visto fare a tanti ragazzi giovani senza un reale motivo: sputa per terra. Già normalmente questo atteggiamento da “alpaca peruviano” mi da piuttosto fastidio, figuriamoci adesso. Mi sono guardata intorno ed ho visto molti fattorini come me, io che ho fatto la fattorina solo per sei giorni, che rischiavano di ammalarsi o, peggio ancora, di diventare dei veicoli di contagio per i loro cari solo per poter portare qualche spicciolo a casa, dato che il Sistema non ha saputo funzionare in tempi brevi.

In tantissimi hanno perso il lavoro e si sono dovuti arrangiare, perché nella ristorazione va ancora di moda il contrattino part-time fasullo o il totale lavoro in nero che fa molto anni ’90 ma resta terribilmente attuale, fortunatamente non è stato il mio caso perché anni fa ebbi la fortuna di trovare un datore di lavoro onesto che investe sul personale e non lo sfrutta. Tuttavia, quella notte dell’11 Marzo, quando il nostro Presidente del Consiglio annunciò la battuta d’arresto dell’intero Paese, furono in molti a scrivermi che avevano appena perso tutto.

Iniziò così la guerra tra poveri. Ci isolammo, tutti nelle nostre case, armati dell’unico mezzo a nostra disposizione per sentirci meno soli: i Social. Sempre collegati, sempre online, con Tik Tok e le pizze in casa, il lievito che non si trova, i canti sui balconi, gli sceriffi sempre dai balconi a cui abbiamo conferito il potere di erigersi giudici e paladini della giustizia allo stesso tempo, gli striscioni con scritto “Andrà tutto bene”, i video di chi urla “Ce la faremo”, Fake News, chi fa ginnastica anche quando non si è mai allenato una volta in vita sua, per non parlare di chi palleggia con la carta igienica e riscopre un talento calcistico latente. Ne abbiamo fatte un sacco, tutti collegati, sempre incollati al nostro telefonino. Ricordo anche i Vip, sempre a raccomandarsi di “restare a casa”, perché se lo dice Jo Squillo che fa le dirette a mezzanotte su Instagram allora è più reale. Tutta questa premura, perché sono i giovani da dover convincere, per salvaguardare gli anziani. Forse abbiamo sbagliato qualcosa, da qualche parte, perché lì fuori ad un certo punto si è creato un Far West di anziani sulle panchine e manco un giovanotto per strada. In qualche modo, comunque, ognuno si è reinventato. Trova del tempo da dedicare a se stesso. Certo, bisogna sapersi sopportare ed avere una certa dose di autoanalisi pregressa per poter affrontare un’esperienza a tu per tu con il tuo Io più sincero. Personalmente devo ammettere di esser stata bene, di aver ritrovato quella parte di me che avevo dovuto chiudere in un cassetto per affrontare la vita, perché puoi avere tutti i sogni che vuoi ma ad un certo punto è la Vita che ti pone strade diverse da percorrere, e rischi di perdere qualche pezzetto lungo il tragitto.

Il 18 Maggio inizia la Fase 2, e se pensavamo di aver già dato molto nella prima fase, ci siamo dovuti ben presto ricredere. Sanificazione di tutti i locali, alcol finito, detergenti per le mani, mascherine, termometri, guanti introvabili o a prezzi per nulla modici. I bar possono riaprire, ma con una serie di regole che manco a Risiko, resta solo l’asporto compreso di bevande, non si può bere o sostare davanti i locali e fare assembramenti. Situazione tipo: Sono le 7.30 di mattina, apro il locale organizzando tutto per l’asporto e con un banchetto all’ingresso in modo da non far entrare nessuno all’interno, rispettando l’iter predisposto. Gruppo di sette carabinieri, sette caffè, “Ma possiamo berlo qui davanti?” Credo che questa scena resti quella più esplicativa di tutta la confusione che ne verrà a seguire. Finalmente si può riaprire, con il dehor, chiedendo di poterlo estendere per mantenere il distanziamento sociale, si parte un po’ a rilento e si cerca di bilanciare le spese con il basso incasso a fine giornata.

Il bello di lavorare in un bar è che si ha una specie di spaccato della società, si sente di tutto un po’ e se si è mediamente intelligenti si ascolta, senza dare un’opinione, e ci si guadagna un posto in prima fila sulle varie teorie complottistiche e pensieri comuni di tuttologi. Uno degli argomenti più dibattuto è stato il Plexiglass ai tavoli. Per non mettere il famoso Plexiglass tra due persone sedute allo stesso tavolo, che fa molto neo galeotti ma senza interfono, abbiamo optato di mettere due tavoli attaccati in modo da fare sedere le persone da un’estremità all’altra, anche se non congiunti. La cosa davvero impressionante, tutt’oggi, è la quantità di congiunti a Genova. Incredibile.

Mai viste così tante coppie che convivono, devo essere rimasta l’unica single della mia città. Ho provato, tralasciando l’ironia che uso nello scrivere, a spiegare ed educare i clienti al corretto atteggiamento da adottare all’interno e all’esterno di un locale pubblico, ma se fino a prima della Pandemia ero invisibile figuriamoci adesso. Va bene lavarsi e igienizzarsi le mani più spesso, e credetemi non ho mai visto così tante persone lavarsi le mani come oggi, il che mi fa molto riflettere, ma se mi lasci al tavolo un fazzoletto sporco allora non sono solo una delle categorie più colpite, valgo meno del distributore di bibite aperto h24 dove almeno si entra uno alla volta. Il momento dell’aperitivo è forse stato il più atteso. Se la batte con il cornetto e il cappuccino alle 9 di mattina, ma essendo ancora in molti a praticare lo smart working, solo una piccola nicchia esce di casa per godersi una colazione al bar. Il turismo è calato e in un locale come il mio, che vive di turisti, si gioca al “lasci o raddoppi” con i genovesi. Perciò, come già detto, ci si reinventa ma senza troppe pretese, giorno per giorno. Cocktail nuovi, aperitivo convincente e tutto quello che è possibile per regalare qualche attimo di spensieratezza in una situazione di convivenza con il Covid 19.

Perché, dopotutto, abbiamo bisogno anche di questo. Contatto. Non so se abbiamo capito qualcosa da quanto è successo, non lo so perché vedo che in molti è come se si fossero già dimenticati cosa abbiamo passato, quello che so è che forse dovremmo ricordarci di restare più umani, di rispettarci l’un l’altro in quanto individui, e che forse più di un distanziamento sociale avremmo bisogno di un distanziamento dai Social. Non sarà il Plexiglass a dividerci, ma i nostri telefonini, se quando litighiamo con il cameriere per stare più vicini poi ci ritroviamo con la faccia su uno schermo fatto di Pixel.


Claudia Cacciatore: addetta banconistaGenova