Ricordare per pensare al futuro. Intervista a Monica Marinelli

di Monica Marinelli e Debora Vermi *

D: Il Covid-19 è entrato con irruenza nelle nostre vite e negli ultimi anni abbiamo imparato a conviverci. Si è riflettuto ampiamente sulle conseguenze negative della pandemia, soprattutto a conclusione del lockdown. Il Covid-19 ci ha lasciato molte eredità negative, ma dobbiamo anche riconoscere che dalle condizioni avverse possono nascere opportunità di cambiamento. Infatti in questa intervista mi piacerebbe approfondire gli aspetti positivi correlati alla realtà pandemica. 

Monica tu sei la coordinatrice del gruppo di Psicologia Scolastica dell’Ordine degli psicologi della Liguria. Oggigiorno sono molti gli psicologi che lavorano nelle scuole e come sappiamo, purtroppo, è aumentato il malessere dei bambini e degli adolescenti. Lo dimostra l’incremento, per esempio, degli accessi alla neuropsichiatria infantile, dei disturbi d’ansia, dei disturbi depressivi e i tentativi di suicidio. Oltre ai minori, gli altri attori del contesto scolastico sono gli insegnanti e i genitori. La scuola è infatti un’organizzazione complessa dove al benessere del singolo è collegato il benessere dell’istituzione. Secondo te la pandemia ci ha lasciato una “eredità” anche positiva , e se sì in che termini?

R: Per quanto riguarda la psicologia scolastica, tra le eredità positive del Covid-19, vi è senz’altro una maggiore consapevolezza dell’importanza della nostra figura all’interno delle scuole.

Sebbene la psicologia sia entrata da ormai più di trent’anni all’interno dell’istituzione scolastica, solo le difficoltà cui è andata incontro la scuola in seguito alla pandemia hanno portato alla firma del Protocollo d’Intesa Cnop-Miur, il quale ha previsto l’attivazione di specifici bandi per l’assegnazione degli incarichi come Psicologo Scolastico (Ottobre 2020), di fatto sistematizzando e ampliando la presenza della nostra figura nella quasi totalità degli istituti scolastici italiani.

Le finalità del documento di cui sopra, erano quelle di fornire un supporto psicologico su tutto il territorio nazionale rivolto al personale scolastico, agli studenti e alle famiglie, per rispondere ai traumi e ai disagi derivati dall’emergenza Covid-19 e per prevenire l’insorgere di forme di disagio e/o malessere psico-fisico tra gli studenti di ogni ordine e grado.

Penso che sia grazie a tale Protocollo d’Intesa se oggi vediamo sempre più riconosciuta l’importanza del coinvolgimento degli psicologi all’interno del contesto scolastico, non solo come riferimento al servizio di studenti, famiglie e docenti, ma anche come interlocutori professionali con i Servizi presenti sul territorio, in una prospettiva di potenziamento del benessere e della salute individuale e sociale.

Un questionario inviato nel 2021 dal nostro Ordine agli psicologi presenti nelle scuole liguri durante l’emergenza pandemica, rileva come le attività prevalentemente svolte siano state quelle connesse al supporto psicologico individuale e/o di gruppo rivolto ad alunni, genitori e personale scolastico, incontri di formazione rivolti ai docenti e collaborazioni con i servizi del territorio.

Sebbene oggi il Protocollo non sia più in vigore e la presenza dello psicologo sia legata a singoli progetti presenti in alcuni istituti o alla destinazione di fondi specifici, si è potuto assistere ad un incremento, rispetto al passato pre-Covid, dei bandi per reclutare psicologi. Mi sento inoltre di dire che, proprio in seguito alla cospicua presenza dei colleghi all’interno delle scuole, favorita dal Protocollo del 2020, la nostra figura, prima guardata con sospetto e timore da alcuni, oggi venga non solo accolta con maggior entusiasmo, ma anche caldeggiata da studenti, famiglie e docenti.

La sfida della Psicologia Scolastica oggi,  in attesa di una legge che preveda l’istituzionalizzazione del servizio, credo sia quella di fare ancora un passo in più, ovvero provare ad evitare di psichiatrizzare il disagio, offrendo esclusivamente interventi di sostegno psicologico, in una sorta di pronto soccorso emotivo e relazionale, e di mettersi veramente al servizio della scuola nel suo compito di promozione dello sviluppo personale e sociale degli studenti, attraverso progetti pensati insieme al corpo docente che possano sostenere lo sviluppo di competenze emotive, sociali e comunicative negli alunni, oltre che a sostenerne gli apprendimenti.

In tale contesto, lo psicologo può contribuire, con il suo sguardo, a sostenere lo sviluppo del minore, e può supportare le famiglie e il personale nelle fasi più delicate della crescita degli studenti, intervenendo prima che il disagio si manifesti, e contribuendo a prevenire l’annoso problema della dispersione scolastica, che in Italia si assesta ancora al 13% (dati ISTAT 2021).

D: Quali sono gli ambiti di intervento della psicologia scolastica?

R: Prima di rispondere alla domanda relativa agli ambiti di intervento è importante ricordare l’importanza della formazione necessaria per lavorare all’interno dell’istituzione scolastica: infatti, nell’accogliere e rispondere ai bisogni della scuola, oltre alle competenze tecniche e alle competenze sulla relazione, occorre essere profondi conoscitori delle dinamiche specifiche del contesto scolastico e quindi familiarizzare con le norme che ne regolano il funzionamento.

Tra i possibili ambiti di intervento, quello che viene denominato “sportello psicologico” è in realtà uno spazio di ascolto più ampio e delicato, a cui spesso accedono alunni che non si sono mai rivolti prima ad altri servizi e che non hanno mai avuto contatti con professionisti della salute mentale.

In tale contesto lo psicologo può svolgere attività volte ad individuare, il più precocemente possibile, situazioni di rischio al fine di suggerire ulteriori approfondimenti diagnostici da realizzare nelle opportune sedi extrascolastiche, nonché effettuare interventi di orientamento e di sostegno rivolti al singolo, al gruppo e all’istituzione (sono escluse quindi l’attività diagnostica e terapeutica che abitano il nostro studio privato).

Talvolta, nell’attività clinica in studio, mi chiedo se alcune famiglie o se i piccoli pazienti con cui ho iniziato un percorso diagnostico e/o terapeutico, sarebbero mai giunti ad una presa in carico se prima non avessero avuto diversi colloqui con lo psicologo della scuola (grazie alla pandemia da Covid presente con più ore all’interno delle strutture scolastiche), il cui compito è stato spesso quello di porsi come primo filtro, primo passaggio e accompagnamento rispetto all’utilità di una presa in carico extrascolastica.

Ricordo un giovane paziente in studio che mi disse di essere molto contento di poter parlare con un terapeuta e che questo era stato possibile grazie allo psicologo scolastico che aveva “convinto” i suoi genitori a rivolgersi ad uno specialista; in effetti i sintomi che manifestava non erano “dovuti all’età” né alla sua “eccessiva drammatizzazione” conseguente al lockdown, ma probabili manifestazioni di un quadro depressivo che andava approfondito con una presa in carico continuativa.

D: Quale può essere una definizione del lavoro dello psicologo scolastico?

R: Lo psicologo può svolgere diverse tipologie di interventi e porsi come strumento di supporto per l’intera comunità scolastica; le sue funzioni possono riguardare la promozione del benessere individuale e di comunità, il sostegno psicologico, la formazione ai docenti, il supporto alla genitorialità attraverso incontri di gruppo, la prevenzione dell’insuccesso e dell’abbandono scolastico, la promozione delle abilità trasversali (life skills) e di contesti relazionali inclusivi, lo sviluppo di reti nel territorio.

D: Hai affermato che tra le eredità positive della pandemia vi sia una maggiore consapevolezza dell’importanza della figura dello psicologo all’interno della scuola. Ritieni che ve ne possano essere altre?

R: Sì credo vi sia anche una maggiore attenzione, sia da parte delle famiglie sia degli insegnanti, ai segnali di malessere e disagio psicologico presenti negli alunni.

La diretta e veloce minaccia della pandemia, ha messo in mostra tutta la fragilità da cui ci siamo sempre difesi. Il virus ha costretto tutti noi (adulti e bambini) a confrontarci con la morte e con le angosce ad essa connesse, così come accade ogni volta che veniamo colpiti da qualche evento traumatico, da una malattia o da un lutto. Il confronto con un pericolo immediato e improvviso, determinando una frattura delle difese quotidiane, ha portato a galla tutti i timori e le angosce più o meno negate o comunque gestite, slatentizzando alcune condizioni subcliniche. Dopo il 2020 sono stati molti gli articoli sul malessere delle nuove generazioni, attraversate, ancora di più dopo la pandemia, da disturbi nell’alimentazione, nell’umore e nelle relazioni, per dirne solo alcuni. L’averne parlato molto ha portato anche diversi psicologi, sia attraverso la stampa, sia attraverso interventi in trasmissioni televisive, a fare un’opera di divulgazione rispetto ai segnali di stress post-traumatico conseguenti alla pandemia e all’isolamento sociale che potevano presentarsi nei minori.

In studio oggi sono molti i genitori che fanno autonomamente riferimento al periodo pandemico e a come è stato vissuto dal loro figlio, in una sorta di consapevolezza collettiva relativa alla traumaticità psichica del periodo che abbiamo attraversato. Lo stesso avviene nei racconti dei docenti, che sanno cogliere con maggior accuratezza i cambiamenti pre e post pandemia nei loro studenti, così come alcuni segnali di disagio di cui prima, dicono, erano meno consapevoli.

Un’altra eredità positiva che mi pare di aver colto sia all’interno del lavoro clinico che attraverso il lavoro di supervisione e supporto agli insegnanti, sembra essere la maggiore importanza delle relazioni, di “essere in relazione reale con qualcuno” (compagno, amico, professore); contatti in carne ed ossa di cui si è patita tanto la mancanza in periodo pandemico.

Solo dopo aver attraversato il difficile isolamento sociale forzato, in un lavoro del lutto complesso, in molti ragazzi è scaturito un maggior desiderio di vicinanza e di relazioni reali. Lo stesso processo sembra esser avvenuto all’interno dei gruppi di lavoro di insegnanti, alcuni dei quali hanno riscoperto il valore del pranzo condiviso e delle riunioni in presenza.

Ricordo, all’interno di un intervento fatto in una classe, le parole di un alunno il quale diceva di essersi accorto solo dopo il lockdown di quanto tempo passasse già prima davanti al pc e del desiderio, presente invece ora, di trascorrere il più possibile i pomeriggi in compagnia dei suoi amici, uscendo, parlando, perché “di persona è tutta un’altra cosa”.

Tutto questo mi fa pensare al concetto di crescita post traumatica, ovvero alla riscoperta di una dimensione più umana, di una maggiore consapevolezza di alcuni aspetti importanti della vita, tra cui la vicinanza ed il contatto con agli amici.

In relazione a questo tema, ma visto da un’altra prospettiva, si può inoltre affermare che forse si è parlato molto delle criticità della didattica a distanza (DAD) e poco delle soluzioni creative adottate da alcuni docenti per rendere la comunicazione a distanza con i propri alunni più umana e vicina. Mi vengono in mente, a titolo di esempio, i video con messaggi personalizzati che una insegnante della primaria inviava ai suoi alunni, le canzoni inventate dalle educatrici dei nidi, le email di incoraggiamento inviate da alcuni professori ai propri ragazzi.

Credo inoltre, che dopo la DAD si sia realizzato un cambiamento profondo anche per quanto riguarda la relazione insegnanti-alunni. L’uso delle nuove tecnologie e delle piattaforme a sostegno della didattica, che in alcuni casi avevano fatto timidamente ingresso in aula qualche anno prima, è entrato a far parte della vita scolastica quotidiana: penso all’uso delle lavagne multimediali per la presentazione dei contenuti, all’uso di libri digitali e all’impiego del registro elettronico con le sue molteplici e anche discusse applicazioni.

La comunicazione formale scuola-famiglia sembra essersi velocizzata grazie alle chat dei rappresentanti di classe, con le quali in pochi minuti, vengono inviate informazioni relative ad avvisi, scioperi e allerte. Inoltre sembra esservi maggiore disponibilità a effettuare colloqui a distanza quando i genitori sono impossibilitati alla presenza (possibilità inesistente nel periodo pre-Covid).

Solo dopo il lockdown mi è capitato di ascoltare pazienti delle scuole superiori che “inviavano una mail al professore per chiedere dei chiarimenti sulla lezione”, o di professori di sostegno che chiamavano telefonicamente i propri alunni o le famiglie di questi, quando assenti da molto.

Forse è solo una mia impressione, ma dai racconti dei piccoli pazienti mi sembra di cogliere una maggiore sensibilità del corpo insegnante, oggi più vicino agli studenti da cui ha dovuto prendere forzatamente le distanze per due anni, portando forse gli insegnanti più motivati ad investire nuovamente e maggiormente in quello che lo stesso Freud definiva tra i mestieri più difficili oltre a quello di genitore e di psicologo.

Così non mi stupisce quando un mio paziente mi racconta della partita di calcio organizzata dai professori di un liceo genovese contro i propri alunni di quinta e mi commuove pensare ad un ragazzo in terapia da mesi per una crisi depressiva con conseguente abbandono scolastico, che, con la luce negli occhi, mi racconta che il giorno dopo sarebbe tornato in classe dopo aver ricevuto una lunga mail in cui si è sentito pensato e visto da un suo docente.

Ecco, credo che questo, prima del Covid, no, non sarebbe stato possibile.

*Monica Marinelli è psicoterapeuta, docente del Ruolo Terapeutico, Coordinatrice del gruppo di lavoro di Psicologia Scolastica presso l’Ordine degli psicologi della Liguria