Ogni anno alla pubblicazione dei risultati delle prove INVALSI si susseguono una serie di articoli che denunciano una sempre più scarsa preparazione dei nostri studenti. Questi test standardizzati a risposta multipla o a risposta aperta univoca, infatti, analizzano le competenze in comprensione del testo, matematica e inglese degli alunni delle classi II e V della Scuola Primaria, della classe III della Scuola Secondaria di I grado e della II e della V della Secondaria di II grado. I dati che emergono si propongono di funzionare come indicatori del livello degli studenti da un anno all’altro, da una zona d’Italia all’altra, da una situazione socioeconomica e culturale all’altra (Falzetti, 2019).
Se durante il 2020, annus horribilis per la scuola, la somministrazione delle prove era stata sospesa, in quello appena concluso le prove INVALSI si sono tenute regolarmente intorno a maggio, quando gli studenti sono in parte rientrati da periodi più o meno lunghi di didattica a distanza. Alla pubblicazione dei risultati non sono mancati i soliti articoli dai toni apocalittici, ma quest’anno la principale indagata è stata proprio la famigerata DAD.
Prima di cercare il colpevole, però, è opportuno considerare alcuni punti sulla natura di queste prove, elaborate dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione e Formazione, INVALSI appunto. Questo ente di ricerca è stato istituito nel 1999 sulla base del già presente Centro Europeo dell’Educazione (CEDE) e sotto la vigilanza del MIUR individua come attuare le rilevazioni annuali sugli apprendimenti e i relativi Quadri di Riferimento (Trinchero, 2014). Dal 2000 in poi, introduce gradualmente prove a campione e prove non facoltative che permettono di porre le basi delle rilevazioni che dal 2017 diventano “attività ordinarie di istituto” obbligatorie per tutte le scuole.
La costruzione delle prove avviene in un arco di tempo di 15/18 mesi perché richiede la creazione di item che rispondano a criteri precisi, da sottoporre a un campione di studenti (il cosiddetto field trial) per valutare se siano presenti solide caratteristiche misuratorie tramite la teoria classica dei test e il modello di Rasch (De Simoni, 2018).
I Quadri di Riferimento sono funzionali alla somministrazione di prove a un grande numero di studenti e hanno l’obiettivo di identificare in modo preciso le competenze che si andranno a indagare. Questo passaggio è fondamentale: per la loro natura di test standardizzati, i risultati delle prove INVALSI sono limitati ad alcune specifiche competenze e non costituiscono certo una valutazione profonda e a tutto tondo degli studenti.
Vediamo ora alcuni dei risultati delle prove del 2021, che hanno coinvolto oltre 1.100.000 allievi delle classi II e V della Scuola Primaria, circa 530.000 studenti della III Secondaria di I grado e circa 475.000 studenti dell’ultimo anno della Secondaria di II grado . Per quanto riguarda l’italiano, se nella Scuola Primaria i dati non presentano grandi variazioni rispetto a quelli degli anni precedenti, nella scuola secondaria si può notare un peggioramento di almeno 4 punti al termine del I grado e di 10 punti al termine del II grado. Gli studenti che non raggiungono il livello di competenza minima in italiano sono infatti il 39% nel I grado (nel 2018 e nel 2019 erano il 34%) con le perdite maggiori in Liguria e in Lombardia, e il 44% nel II grado (nel 2019 erano il 35%) con le perdite maggiori in Campania e in Puglia.
Leggere che quasi la metà degli studenti non raggiunge il livello minimo di competenza in lingua italiana in prossimità dell’Esame di Stato può effettivamente preoccupare, soprattutto se questo dato viene incrociato con quello della cosiddetta “dispersione scolastica implicita”, cioè il numero di giovani che pur avendo conseguito un titolo di studio di Scuola Secondaria di II grado non raggiunge i traguardi di competenza previsti nelle aree di indagine INVALSI: nel 2021 questo dato si è esteso al 9,5% degli studenti, mentre nel 2019 era del 7%.
Il peggioramento, allora, è davvero colpa della DAD, come hanno lasciato intendere i diversi studiosi che hanno commentato i risultati? Le lezioni a distanza hanno sicuramente penalizzato gli studenti già fragili e appartenenti a situazioni svantaggiate, come emerge dalle molteplici analisi condotte nell’ultimo anno [5] e anche dall’indice ESCS utilizzato da INVALSI stessa, un parametro impiegato a livello internazionale per definire lo status socioeconomico e culturale della famiglia di provenienza. Se si analizzano i dati presenti sul sito INVALSI con una prospettiva temporale più ampia, però, appare evidente come negli ultimi 15 anni circa le prestazioni degli studenti siano andate gradualmente peggiorando. La didattica a distanza ha quindi solo amplificato e forse velocizzato una tendenza presente già da tempo.
Assodato che le prove INVALSI intendono misurare solo alcune competenze precise e parziali nella comprensione testuale [6], viene spontaneo chiedersi quanto la scuola come istituzione sappia a sua volta potenziare e valutare le capacità degli studenti di oggi, ma anche auto-valutarsi nelle sue diverse componenti. Uno dei principali problemi della nostra istruzione, infatti, è che sono del tutto assenti processi di valutazione (sia interna che esterna) del sistema scolastico nella sua interezza e complessità.
Maggiore attenzione dovrebbe essere riposta nella riprogettazione dei programmi, in modo da renderli funzionali a sviluppare le competenze e le conoscenze degli studenti, che sappiano intercettare i bisogni di chi vive un’attualità fatta di immediatezza, sensibilità verso il prossimo e l’ambiente, creatività e lavori dai confini sempre più sfumati. Bisognerebbe chiedersi quali risvolti abbiano avuto i tagli alla scuola (8 miliardi solo per la riforma Gelmini), le classi da 30 studenti, la molteplicità di insegnanti precari, che non possono costruire un progetto educativo a lungo termine perché il settembre successivo (forse) dovranno partire da zero con nuovi alunni. Quegli insegnanti non sanno come e quando entreranno di ruolo, perché non c’è nessuna procedura fissa, nessuna formazione al mestiere, nessuna certezza, ma nonostante questo tanti di loro sono l’unico vero motore della scuola italiana.
Allora, se vorremo davvero aiutare uno studente apparentemente impreparato, andiamo oltre le percentuali dei risultati INVALSI e i luoghi comuni su una didattica a distanza necessaria ed emergenziale, ma proviamo a comprenderlo nella sua individualità e alla luce del sistema cigolante nel quale è inserito. La scuola è la micro-società più importante insieme alla famiglia, la prima che ogni persona ha modo di vivere: deve essere uno strumento saldo per prepararsi al futuro.
BIBLIOGRAFIA
Corsini, C. (2013). La validità di contenuto delle prove INVALSI di comprensione della lettura. Italian Journal of Educational Research, (10), 46-61.
Desimoni, M. (2018). I livelli per la descrizione degli esiti delle prove INVALSI. Materiali di approfondimento INVALSI, testo disponibile al sito Invalsi.
I risultati delle prove INVALSI (2021)
Falzetti, P. (2019). Un sistema scolastico in difficoltà e un preoccupante dualismo territoriale: i risultati delle prove INVALSI. Social Policies, 6(3), 527-532.
Nuzzaci, A., Minello, R., Di Genova, N., & Madia, S. (2020). Povertà educativa in contesto italiano tra istruzione e disuguaglianze. Quali gli effetti della pandemia?. Lifelong Lifewide Learning, 16(36), 76-92.
Trinchero, R. (2014). Il Servizio Nazionale di Valutazione e le prove Invalsi. Stato dell’arte e proposte per una valutazione come agente di cambiamento. Form@ re-Open Journal per la formazione in rete, 14(4), 34-49.
*Rita Cersosimo è insegnante e dottoranda in didattica delle lingue e nuove tecnologie presso l’Università di Genova.