Perdutamente in quarantena

Noemi Angelini

Quel Giovedì mattina mi hanno sbattuto sul naso la porta del Centro Diurno Alzheimer: “Dottoressa… blocco totale, fino a data da destinarsi”.
Mi volto, guardo i miei pazienti “smemorini” negli occhi, li guardo nei loro sorrisi e penso… chissà se li rivedrò tutti.

Prima di chiudere la porta, giro dentro a tutte le stanze, respiro forte e penso che comunque andrà, qualsiasi cosa succederà, è stato bello vivere quella dimensione, imparare, ascoltare, consolare, accogliere le loro Vite in questi anni intensi, che sono trascorsi appesi nel tempo, galleggiando insieme a tutti loro.

Ho persino scritto un libro grazie a tutte le emozioni che mi hanno travolta e agli studi che ho nuovamente intrapreso.
Lascio il camice sulla sedia, come faccio sempre, insieme ad una manciata di buoni consigli e luoghi comuni.
Capita alle persone sbadate di non ricordare più dove si è appoggiato il cuore.”

Queste, le prime parole che sono riuscita a scrivere in seguito alla chiusura, a causa del Covid-19, del Centro Diurno di Sanremo del quale mi occupo come Psicologa e Coordinatrice.

Il Centro Diurno Alzheimer è stato chiuso il 5 Marzo 2020 e da allora ho attivato il Servizio domiciliare delle Oss per tutti i pazienti, ascoltando le loro necessità pratiche e con la presunzione di abbattere il sentimento sconfortante della solitudine di molte famiglie.

Ho sentito il desiderio di voler raggiungere tutti i miei pazienti, ascoltare e capire i loro pensieri ed ho attivato una piattaforma dedicata al Centro: il nostro “salotto”, nel quale abbiamo riso, ascoltato, narrato, cantato… aspettato il tempo.

Non li abbiamo mai lasciati soli e loro non hanno mai perso la speranza.

Loro, i nostri “amici smemorini”, hanno perso capacità nel corpo, ma hanno mantenuta viva la dimensione affettiva ed emotiva: a differenza nostra, erano già isolati nel loro tempo e, anzi, hanno incluso nei loro colori i propri familiari.

Nelle videochiamate o nelle sessioni in piattaforma, i pazienti mi hanno riconosciuta subito e hanno riconosciuto anche le persone dell’equipe; si sono anche ricordati del loro amico Trudy, il coniglietto che hanno accarezzato e coccolato durante una sola mattinata di pet therapy.

Paradossalmente, i pazienti hanno saputo riconoscere le persone, proprio loro che non vengono “ri-conosciuti” spesso dai loro familiari nella loro iniziale situazione di “demente”.

I familiari sono le persone che hanno sofferto di più il lockdown perché, nonostante i servizi a disposizione, hanno dovuto scoprire, approfondire e comprendere una persona che non riconoscevano più dall’esordio della malattia, e che quindi non veniva accettata nella sua Verità. “Come posso essergli d’aiuto?” è la domanda che mi hanno posto la maggior parte di loro. “Galleggiate con lui/lei”, la mia banale, ma sincera risposta.

Per i caregivers è stato difficile mantenere il ritmo del tempo nell’occuparsi dei loro cari: spezzato il tempo, difficilmente si mantengono le abitudini e i rituali, tanto importanti forse più per noi, in grado di comprenderne il significato.

Sbiadire i confini del tempo e dello spazio ha fatto dimenticare a molti le regole di uso comune e quotidiano, sbiadendo anche il contorno alla nostra autostima: il rispecchiamento di Sé nell’Altro.

Loro, i miei pazienti “smemorini”, si sono adattati meglio di noi al lockdown, allo scorrere del tempo… perché per noi oggi il tempo è un concetto poco astratto, fatto di impegni e “cose da fare”. Lo controlliamo, lo organizziamo, lo strutturiamo; per loro no, il loro, di tempo, è sospeso.

È sospeso là, tra i ricordi d’infanzia, nelle melodie di una ninna nanna, in uno scialle, nel fare e rifare cento, mille volte la stessa azione, o nella moto nuova, appena comprata, “Marca Gilera”.

Il tempo è questa assenza di lavoro, che ormai hanno imparato a tollerare.

È il ritmo del sonno, che è svanito.

Paradossalmente, siamo stati risucchiati anche noi nel loro tempo, ma in pochi l’hanno compreso.

Tuttavia, durante il lockdown, inaspettatamente, è migliorata la percezione dei familiari di poter accudire il loro caro lasciando o tralasciando i sentimenti di rifiuto, accettazione forzata della malattia, per concentrarsi unicamente sulle risorse (e non solo capacità!) residue.

Il mio ruolo, che in questi anni ha assunto spesso la forma e la funzione dell’ascolto incondizionato, della mediazione e del contenitore emotivo per elaborare il lutto e l’accettazione, ha assunto durante il covid-19 uno specifico ed intaccabile ruolo di sostegno, di “palo”, di sentinella sui sintomi dei pazienti e della famiglia intera; io, nonostante i dubbi e le incertezze, ho sempre cercato di trasmettere la consapevolezza della capacità di saper galleggiare insieme al loro caro, alla sua patologia, e oggi mi rendo conto di quanto questo percorso sia stato utile, soprattutto in questo momento, dove a galleggiare siamo tutti, insieme.

“Quando riaprite?” questa, la domanda ricorrente, tutti i giorni, anche oggi.

Cercano e chiedono tutti la normalità, che non esiste più, che non sarà più quella di prima, ma che si nega con tenacia.

Loro sono i pazienti, certo. Ma spesso anche i caregiver sono anziani, e stanchi. Molto stanchi. E hanno avuto e provano tutt’ora Paura. La paura per l’isolamento, la paura per assolvere agli impegni quotidiani, ma anche la paura del virus, ed il trauma di essere stati sbalzati all’improvviso nuovamente fuori dal loro flusso di vita. Un trauma, sul trauma.

Cosa significa, invece, paura del rischio paura del contagio paura dell’altro, per loro?

Niente, per loro non significa nulla: il loro il confine tra sé e l’altro non c’è più. Come si spiega un confine ad una persona che non ha il tempo? Ce lo dicono loro, in silenzio: stando nel qui ed ora, stando in un riconoscimento reciproco del ruolo, senza contatto, senza tempo.

Quanto da imparare!

I miei pazienti “smemorini” sono stati penalizzati nel fisico, ma non nella “narrazione”. Molti di loro hanno potuto gioire dell’essere nuovamente in casa, in famiglia, e di poter ricostruire i frammenti del loro passato e i brandelli della memoria autobiografica attraverso la narrazione, la visione dei film o lo scorrere le fotografie insieme ascoltando canzoni d’epoca.

Ad alcuni di loro è stata regalata una bambola dai loro familiari, per proseguire anche a casa la doll therapy, evento che non si sarebbe mai verificato in altro contesto, in quanto inizialmente sottovalutata dai familiari e talvolta ridicolizzata.

Ho cercato per mesi di salvarli tutti, ingenuamente e altrettanto ingenuamente, oggi ci sono ancora tutti.

Laddove ci si aspettava un immediato peggioramento delle patologie e delle dinamiche familiari, ciò non si è rivelato, e in realtà è aumentata la conoscenza e l’istinto di protezione nei confronti dei malati di Alzheimer, di demenza, e la consapevolezza delle conseguenze reali che portano con sé queste patologie.

“Ah dottoressa! Finalmente la vedo, appena sei libera me lo riapre il Centro?” Oscar.
“Ma scusami dottoressa, quando riaprirà il Centro sarò il primo a saperlo, vero?” Franco.
“Dottoressa per piacere riapri questo centro perché io di stare a casa e con mia moglie non ce la faccio più” Mario.
“Quando riapre vengo ad aiutarla a fare le pulizie” una figlia.

“Ma dottoressa che cos’è questo covid… perché a me ricorda tanto il periodo della guerra; non si poteva uscire, ad una certa ora bisognava andare tutti sotto alla galleria. Ma la cosa strana è che qui dobbiamo stare tutti distanti non ci si può toccare, utilizziamo… Boh… queste mascherine, ma io non sento il suono dell’aereo e il rumore degli aerei e delle bombe, non sento…” Maria.

“Eh! Speriamo che questa guerra finisca in fretta, con tutto quello che mi costa di tasse…” Pino.
“Mi ricorda quando c’era la polio; mia mamma era terrorizzata, quindi fino a una certa età cercava di non farci uscire troppo di casa” Angela.
“Ma perché non si può uscire di casa? Se si può andare sul terrazzo, si può anche andare in strada!” Angelo.

“Dottoressa, meno male che ci vediamo tutti i giorni perché la vedo un po’ sciupata e non vorrei che stesse male, come l’ultima volta che abbiamo dovuto chiudere tutto. Dottoressa lei si deve mettere in testa che si deve curare bene, così riapriamo subito il Centro” Rosa Maria.
“Appena mi sento meglio riapro subito la bottega, perché non si fa nulla, quest’anno sarà dura. Ho già dovuto licenziare il garzone” Giuseppe.
“Quest’anno è stato un inverno strano: ha fatto un caldo, ma un caldo che ho dovuto mettere i sandali” Luigi.

“Io non so chi sia lei. Dice che è mia moglie da un bel po’, però prima questa signora era sempre arrabbiata, me ne diceva di tutti i colori, gridava, urlava alzava la voce. E poi soprattutto diceva, quando andava via, “eh guarda torno, tra due minuti sono qua” e poi magari stava via delle ore, credo. Adesso invece è più gentile, adesso mi dice che sta con me, “rimani con me” mi dice, “che guardiamo insieme la TV”; ed è vero, guardiamo insieme la TV, risponde anche al mio posto ai quiz (la lascio rispondere così lei è contenta di vincere) e poi cuciniamo insieme, quindi il tempo non è più quello che diceva lei… Il tempo è diventato di nuovo un tempo.” Giovanni.

Il Covid-19 ha spazzato via tutto quello che esisteva prima.
L’Alzheimer fa piazza pulita di tutto, o quasi, ciò che eravamo prima.
Strano che non ce lo fossimo mai ricordato, prima di oggi…


Noemi Angelini : Psicologa-scrittrice, Ventimiglia- Imperia