di Uras Martina, Giagnorio Benedetta, Bo Franca, Barbero Gessica e Stura Roberto *
- Introduzione
Il contesto carcerario italiano è stato colpito dalle forti conseguenze causate dalla pandemia di SARS-CoV-2. Questo ha accentuato la necessità di prestare attenzione alla salute mentale in carcere, che rappresenta una delle questioni più gravi nel sistema penitenziario italiano.
Il XVI Rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione (2020) riporta che già prima della pandemia di Covid-19 le condizioni psicofisiche dei detenuti italiani erano critiche. Un esempio è la situazione del sovraffollamento nelle carceri: a fine febbraio 2019 il tasso di sovraffollamento nazionale era del 120%, con punte del 195% nelle carceri di Taranto e Como. Un altro fattore critico è lo stato igienico dei detenuti: in circa la metà degli istituti indagati da Antigone, i detenuti si trovavano in celle senza acqua calda, mentre in più del 50% degli istituti non c’era la doccia all’interno della cella. Questi si sono rivelati due fattori negativi fondamentali durante la pandemia di Covid-19 nel 2020 all’interno delle carceri. La situazione di sovraffollamento e le precarie condizioni igieniche hanno sicuramente favorito il contagio all’interno degli istituti penitenziari, sia tra i detenuti che tra funzionari, operatori sanitari e sociali.
Un altro importante fattore di rischio erano le condizioni di salute dei prigionieri. Già nel 2019 il 67,5% dei detenuti soffriva di almeno una patologia. Di questi, il 41,3% soffre di disturbi mentali (Associazione Antigone, 2020). Una recente revisione condotta su un campione totale di 22.790 detenuti ha mostrato una prevalenza complessiva dell’11,4% per la depressione maggiore, del 3,7% per psicosi e del 65% per disturbi di personalità.
All’alba della pandemia globale, le carceri italiane presentavano quindi diversi fattori di rischio sia per la concreta diffusione del virus all’interno degli istituti (condizioni igienico-sanitarie e sovraffollamento) sia per le conseguenze della pandemia stessa sulla salute mentale dei detenuti (isolamento, vita sociale, mancanza di attività ricreative e lavoro).
L’obiettivo della nostra ricerca, quindi, era di indagare la sintomatologia post-traumatica, depressiva e ansiosa correlata alla pandemia di Covid-19 all’interno delle carceri dell’alessandrino, sia dal punto di vista quantitativo che dal punto di vista qualitativo.
- Metodo
- Partecipanti
La ricerca si è svolta in tre fasi, svoltesi nel 2020 e nel 2022. Abbiamo contattato 91 detenuti maschi divisi in tre campioni:
Gruppo 1: 29 detenuti partecipanti negli ultimi mesi del 2020 che hanno sperimentato l’infezione da Covid-19 al culmine della pandemia;
Gruppo 2: 30 detenuti, partecipanti nel 2022 che sono stati contagiati dal virus ma in un periodo successivo e dopo una prima dose di vaccino;
Gruppo 3: 32 detenuti, partecipanti nel 2022, che non hanno mai avuto un’infezione da virus.
I soggetti avevano più di 18 anni, senza patologie neurologiche pregresse e tutti hanno accettato di partecipare alla ricerca attraverso questionari e interviste. L’età media dei partecipanti era di 43,54 anni (min 19 max 72). Il 79% del campione era di nazionalità italiana, il resto di nazionalità straniera. Tutti erano in grado di capire e parlare la lingua italiana. I detenuti appartenevano agli Istituti penitenziari “Cantiello e Gaeta” di Alessandria, sezione reclusione e sezione circondariale, che vogliamo ringraziare per la preziosa collaborazione.
Di tutti i detenuti selezionati, solo sei hanno rifiutato di partecipare alla ricerca.
- Procedura e strumenti
Sono state somministrate tre scale di misurazione durante un colloquio clinico di un’ora e mezza.
- IES-R Event Impact Scale: per misurare i sintomi del disturbo da stress post-traumatico.
- BDI Beck Depression Inventory: per misurare i sintomi depressivi.
- SAS Self-rating Anxiety Scale: per misurare i sintomi dell’ansia.
Risultati
I tre gruppi differivano nei risultati dei tre test. Il test dell’ANOVA univariata mostra infatti significatività p<,001 per i test sui sintomi post-traumatici IES e per i sintomi depressivi BDI, mentre mostra significatività p<,05 per il test sui sintomi ansiosi SAS.
N | Media | Deviazione std. | Anova univariata | Somma dei quadrati | df | Media dei quadrati | F | Sig. | |||
IES | Gruppo 1 | 29 | 41,65 | 25,96 | Fra gruppi | 3761,783 | 2 | 1880,892 | 4,034 | ,003 | |
Gruppo 2 | 30 | 28,23 | 21,02 | Entro gruppi | 41033,887 | 88 | 466,294 | ||||
Gruppo 3 | 32 | 27,53 | 17,34 | Totale | 44795,670 | 90 | |||||
Totale | 91 | 32,26 | 22,30 | ||||||||
BDI | Gruppo 1 | 29 | 18,96 | 12,57 | Fra gruppi | 1463,252 | 2 | 731,626 | 5,146 | ,008 | |
Gruppo 2 | 30 | 9,90 | 12,34 | Entro gruppi | 12511,166 | 88 | 142,172 | ||||
Gruppo 3 | 32 | 10,87 | 10,87 | Totale | 13974,418 | 90 | |||||
Totale | 91 | 13,13 | 12,46 | ||||||||
SAS | Gruppo 1 | 29 | 42,90 | 7,83 | Fra gruppi | 1089,753 | 2 | 544,877 | 6,231 | ,021 | |
Gruppo 2 | 30 | 34,80 | 9,04 | Entro gruppi | 7694,708 | 88 | 87,440 | ||||
Gruppo 3 | 32 | 36,34 | 10,78 | Totale | 8784,462 | 90 | |||||
Totale | 91 | 37,92 | 9,88 |
Tabella 1: Medie e deviazioni standard dei tre questionari, uniti ai risultati dell’ANOVA univariata
I confronti post-hoc, effettuati tramite il test Bonferroni, mostrano come il Gruppo 1 (2020) in piena emergenza mostri maggiori sintomi depressivi e ansiosi rispetto ai gruppi indagati nel 2022 con e senza infezione da Covid. I Gruppi 2 e 3, indagati nel 2022, non mostrano significative differenze nella sintomatologia ansioso-depressiva.
Per quanto riguarda la sintomatologia post-traumatica, invece, il Gruppo 1 (2020) e il Gruppo 2 (2022 con infezione da Covid) non differiscono tra loro, mostrando una media superiore a quella del Gruppo 3 (2022 senza infezione da Covid), dove invece la media è significativamente inferiore rispetto agli altri gruppi.
Variabile dipendente | (I) COVID | (J) COVID | Differenza fra medie (I-J) | Errore std. | Sig. | Intervallo di confidenza 95% | ||
Limite inferiore | Limite superiore | |||||||
IES | Gruppo 1 | Gruppo 2 | 13,421839 | 5,623366 | ,057 | -,30257 | 27,14625 | |
Gruppo 2 | Gruppo 3 | ,702083 | 5,487698 | 1,000 | -12,69122 | 14,09538 | ||
Gruppo 3 | Gruppo 1 | -14,123922* | 5,536317 | ,037 | -27,63588 | -,61196 | ||
BDI | Gruppo 1 | Gruppo 2 | 9,065517* | 3,105088 | ,013 | 1,48723 | 16,64381 | |
Gruppo 2 | Gruppo 3 | -,975000 | 3,030175 | 1,000 | -8,37046 | 6,42046 | ||
Gruppo 3 | Gruppo 1 | -8,090517* | 3,057021 | ,029 | -15,55150 | -,62954 | ||
SAS | Gruppo 1 | Gruppo 2 | 8,097* | 2,435 | ,004 | 2,15 | 14,04 | |
Gruppo 2 | Gruppo 3 | -1,544 | 2,376 | 1,000 | -7,34 | 4,26 | ||
Gruppo 3 | Gruppo 1 | -6,553* | 2,397 | ,023 | -12,40 | -,70 |
Tabella 2: Test di Bonferroni per confronto multiplo tra gruppi
Ogni questionario ha un cut-off per i valori patologici. Abbiamo quindi calcolato la percentuale di detenuti che superava il cut-off per ogni questionario. Per la scala IES-R abbiamo tenuto conto dei punteggi superiori a 33, nella scala BDI punteggi superiori a 22, mentre nella SAS il calcolo è stato fatto per punteggi superiori a 41. Nel Gruppo 1 (2020) il 59% del campione è risultato positivo alla scala che misura i sintomi post-traumatici, il 55% a quella per i sintomi depressivi e il 52% ai sintomi ansiosi.
Nel Gruppo 2 (2022 con Covid) troviamo molti più detenuti con sintomi post-traumatici significativi (77%), meno per sintomi depressivi (17%) e ansiosi (0%). Nel Gruppo 3 (2022 senza Covid) troviamo il 34% dei soggetti con sintomi clinicamente significativi di disturbo da stress post-traumatico e nessuno con sintomi depressivi e ansiosi superiori al cut-off.
- Discussione
Il Gruppo 1, quello che ha vissuto la malattia Covid all’interno del carcere durante la piena emergenza sanitaria del 2020, ha avuto maggiori difficoltà di adattamento all’esperienza traumatica/stressante e presentava importanti sintomi ansioso-depressivi. I colloqui clinici di questo gruppo, infatti, mostrano una prevalenza di sentimenti di disagio dovuti alle condizioni di isolamento, di sensazione di abbandono e di profonda angoscia dovuta alla gravità dei sintomi. Molti detenuti condividevano le celle con detenuti intubati e successivamente deceduti.
Il Gruppo 2 (2022 con Covid) non differisce dal terzo per i sintomi ansiosi/depressivi ma presenta un maggior numero di soggetti con un punteggio superiore al cut-off per i sintomi medio-gravi della scala dei sintomi post-traumatici. È probabile che nel 2022 chi ha contratto il virus, seppur in una condizione di minor rischio dovuta sia alle prime somministrazioni di vaccino sia alla minore mortalità del virus, abbia vissuto il contagio con gli stessi livelli di paura e di percezione del rischio rispetto al 2020.
Il Gruppo 3, che non ha mai contratto il virus, mostra ancora una percentuale significativa di soggetti con sintomi da stress post-traumatico clinicamente significativo (34%) anche se generalmente mostrano un livello di psicopatologia inferiore.
- Riflessioni
Dalla somministrazione delle scale ai detenuti, è stato possibile osservare come vi siano delle somiglianze tra chi è risultato positivo al virus e ha vissuto la prima ondata, quindi piena pandemia, e chi è risultato positivo al virus e ha vissuto esperienze analoghe ai primi ma durante la seconda ondata. La pandemia da questo punto di vista ha reso tutti uguali, sia chi si trovava dentro il carcere, sia chi stava fuori.
La libertà, fino a quel momento data per scontata, era improvvisamente limitata per tutti, così come avviene in una struttura carceraria. Le persone si sono ritrovate a vivere costantemente chiuse in un ambiente circoscritto, potendo uscire solo limitatamente, a patto di rispettare regole molto rigide, riguardo le motivazioni che giustificavano l’uscita, le distanze negli spostamenti, dovendo far ritorno entro un certo orario alle proprie case.
I detenuti che sono risultati positivi al virus nella prima ondata si sono ritrovati a vivere tutte le esperienze di chi stava fuori dall’ambiente carcerario. Dovevano essere rispettate le regole sull’igiene, il distanziamento, l’obbligo di indossare DPI al fine di evitare del contagio, trovandosi però in un luogo chiuso e limitante.
Dalle testimonianze raccolte si evince che le prime esperienze sul covid in carcere sono state simili a quelle vissute da chi si trovava fuori, le sensazioni prevalenti erano sconcerto e incertezza rispetto a una minaccia sconosciuta, paura di ammalarsi e di morire, ansia di essere contagiati e di contagiare, smarrimento a causa dell’incognita sulla durata della situazione, frustrazione nel non ricevere informazioni certe dalle autorità, giudiziarie e sanitarie, che si muovevano con passo talvolta incerto nella gestione di una situazione totalmente nuova e inaspettata.
In carcere chi lamentava sintomi influenzali veniva subito sottoposto a tamponi e una volta avuto l’esito, qualora fosse stato positivo, i detenuti venivano portati in zone apposite, separate dalle celle e dalle sezioni, dove restava in isolamento sino a scomparsa dei sintomi e al risultato negativo del tampone. Essendo il carcere un luogo chiuso, il contagio si diffondeva rapidamente, dal singolo alla cella, dalla cella alla sezione; in poco tempo un’intera sezione poteva risultare positiva al virus, isolata fino a negatività. I detenuti in isolamento da virus hanno vissuto l’esperienza in vari modi, chi ha avuto sintomi molto forti, durati per giorni e aver rischiato di essere portato in ospedale e intubato, chi è deceduto per via delle complicanze con patologie pregresse (si tratta soprattutto di detenuti anziani), chi ha invece vissuto le settimane di positività con sintomi molto lievi, chi asintomatico.
Per la prima volta, una malattia inaspettata ha accomunato più che in qualsiasi altro momento tutta la popolazione, che si trattasse di detenuti o liberi cittadini. Va sottolineato che indubbiamente l’impatto delle misure di contenimento del virus sono state vissute nei penitenziari con un carico di tensione e un grado di disconfort ambientale certamente maggiore rispetto a quello esperito dalle persone che hanno passato il lockdown nella famigliarità del proprio ambiente domestico.
Una situazione simile è stata vissuta anche da chi è risultato positivo durante la seconda ondata, con la differenza significativa che nessuno ha rischiato di essere intubato d’urgenza.
Entrambi i gruppi tuttavia hanno vissuto con disagio il periodo di isolamento, sia per le condizioni della struttura, non adeguatamente attrezzata alla situazione creatasi, per quanto gestita nel modo migliore per le conoscenze che si avevano al tempo sulla malattia, sia per la sensazione di abbandono vissuta, abbandono e isolamento da parte di sanitari, assistenti e familiari, i quali non potevano essere ricevuti, per limitare i contagi. La mancanza di comunicazioni chiare, l’impossibilità di sentire e vedere i familiari, la continua comunicazione mediatica di dati del mondo esterno hanno portato a vivere da un lato aspetti di irrealtà, incredulità, impotenza e dall’altro aspetti di paura e frustrazione per non sapere come affrontare la situazione.
Questi aspetti ricordano molto le prime fasi della detenzione quando, dopo l’evento, specie in casi gravi, il detenuto vive una situazione di sgomento, incredulità per quanto accaduto e senso di angoscia ed impotenza per non sapere come fare ad affrontare la situazione nuova. Tali elementi inoltre sono stati vissuti per lo più individualmente venendo spesso meno il supporto tra i pari per le ragioni legate al distanziamento sociale.
Tra le sensazioni riferite, compariva spesso una profonda angoscia, correlata alla gravità dei sintomi. Coloro che condividevano la cella con i detenuti intubati e poi deceduti hanno manifestato sia a livello quantitativo sia qualitativo sentimenti di angoscia, sgomento, paura e sollievo per essere riusciti a sopravvivere a tale situazione seppure il concellino [colui con cui si condivide la cella di detenzione N.d.R.] non ci sia riuscito. L’aver avuto personale sanitario deceduto durante la prima ondata ha inoltre ridotto la distanza psichica ed emotiva tra detenuti e personale esterno, sia esso sanitario o di sicurezza. Tali elementi, inoltre, sembrano aver influito sulla percentuale di detenuti che, seppur con paura, ha aderito alla somministrazione del vaccino prima della seconda ondata, almeno in prima dose.
Dall’analisi dei colloqui risulta come molti detenuti, di entrambi i gruppi abbiano vissuto con dolore l’isolamento e la lontananza dai propri familiari, soprattutto durante la prima ondata, in quanto erano state impedite tutte le visite e i contatti con l’esterno. Questo vincolo nelle visite aveva reso il carcere una struttura maggiormente chiusa e lontana dal mondo esterno. Molti sono stati i detenuti a lamentare senso di frustrazione e di dolore per non poter vedere i familiari e non potersi accertare anche del loro stato di salute fuori, se non mediante chiamate e successivamente videochiamate, che hanno favorito i contatti durante il distanziamento forzato. Non va dimenticato che, prima della pandemia era possibile una telefonata di dieci minuti ogni tre giorni, esclusivamente presso numeri autorizzati e nessuna videochiamata, strumento autorizzato solo in seguito alla pandemia e che ha richiesto un tempo di predisposizione tecnica prima impensabile all’interno di una struttura ristretta.
Tra i detenuti si è manifestato uno stato emotivo altalenante, tra paura, sofferenza, rabbia, e tristezza, nonchè una diffidenza crescente nel sistema sanitario e negli altri, fossero assistenti o altri detenuti, diffidenza dovuta anche alla paura di rischiare il contagio non avendo la certezza che tutti rispettassero le regole di igiene e protezione propria e altrui. Degni di nota sono stati gli effetti sul lungo termine del vissuto legato alla pandemia; alcune persone intervistate hanno riferito la presenza di incubi e paure costanti e persistenti anche dopo aver superato la malattia.
Cosa ci resta quindi di questa pandemia? Forse la consapevolezza che la libertà di ognuno, anche in un contesto di reclusione, non andrebbe mai data per scontata, oltre a una maggiore sensibilità per l’importanza della comunicazione, sia formale che informale. Se da un lato è emersa l’importanza di una comunicazione chiara dal punto di vista istituzionale, utile a contenere le angosce date dall’ignoto dell’emergenza sanitaria, dall’altro abbiamo ricordato quanto sia fondamentale, in momenti di precarietà e minaccia, il sistema di attaccamento, che si è attivato nei detenuti come in tutto il resto della popolazione, nei confronti dei propri cari, tenuti lontani per proteggersi e proteggerli, ma disperatamente ricercati anche attraverso nuovi mezzi tecnologici fino a quel momento poco utilizzati, come riprova delle grandi capacità adattive dell’uomo in situazioni di instabilità. Che una persona si trovi costretta nella propria casa o in carcere, c’è sempre una quota di libertà preziosa che va tutelata, la libertà dalla paura.
BIBLIOGRAFIA
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Zung, W. W. (1971), A rating instrument for anxiety disorders. Psychosomatics: Journal of Consultation and Liaison Psychiatry.
* Martina Uras, Dipartimento di Salute Mentale e Servizio Tutela Salute in Carcere, ASL Alessandria
Benedetta Giagnorio, Giudice Esperto per il Tribunale di Sorveglianza di Genova
Franca Bo, Dipartimento di Salute Mentale e Servizio Tutela Salute in Carcere, ASL Alessandria
Gessica Barbero, Dipartimento di Salute Mentale e Servizio Tutela Salute in Carcere, ASL Alessandria
Roberto Stura, Responsabile Servizio Tutela Salute in Carcere e Distretto ASL Alessandria