di Federico Tonioni *
Penso proprio di no perché sarebbe poco preciso indicare il Covid come causa trasversale di questi nuovi malesseri, su cui ora ci si concentra tanto come il ritiro sociale, la disforia di genere o l’epidemia dei disturbi dell’apprendimento.
Molti adolescenti durante la pandemia sono riusciti a sopravvivere senza farsi troppo male e sono quelli che si erano già abituati alle difficoltà mentre quelli più fragili, un po’ come gli anziani, sono andati in crisi ma probabilmente questa crisi affondava le proprie radici in un disagio scolastico o familiare già presente e precedente.
Penso alla scuola, alle grandi difficoltà dei professori e degli adulti in generale che il Covid ha evidenziato. La scuola è noiosa e inadeguata e di questo si dà la colpa ai ragazzi: i contenuti didattici non sono più correlati ai loro bisogni.
I ragazzi spesso sono molto più avanti, consideriamo ad esempio il pregiudizio che gira intorno al gaming: sta nascendo un nuovo profilo cognitivo nei ragazzi esaltato dagli schermi portatili interattivi che introducono un nuovo modo di pensare, costituito più da immagini che da parole. E gli adulti che accusano i nuovi strumenti sono gli stessi che magari si dissociano con un cellulare in mano.
Non è il cellulare che fa male ma è la solitudine che fa male.
Prendiamo nuovamente la scuola, che si ostina a far comprare libri cartacei e fa andare i ragazzi con zaini che poi diventano trolley quando basterebbe adeguarsi e semplificare la vita guardando alla nuova realtà. Il mondo adulto è inadeguato spesso a comprendere i bisogni e i desideri dei ragazzi e si ostina a fornire un modello che non esiste più.
Torniamo ai giochi: anche attraverso quelli considerati più pericolosi, gli “sparatutto”, gli adolescenti imparano qualche cosa ad esempio la lingua inglese, sono molto più veloci nell’apprendere di quello che pensiamo o immaginiamo. E questa che è l’incomprensione che gli adulti hanno nei confronti dei ragazzi genera noia, ma soprattutto rabbia che poi è la genesi delle nuove psicopatologie.
Invece bisognerebbe fare il tifo per i ragazzi, meravigliarsi per le competenze e la capacità di strutturare il pensiero: quando ci si confronta, la loro capacità di ragionare e le conoscenze che presentano, lasciano disorientati per la quantità e qualità di nozioni che hanno incamerato grazie ai nuovi modelli interattivi.
Penso che il grande numero di diagnosi, attualmente formulate, di disturbo dell’apprendimento, non sia altro che un tentativo abortito di mettere in atto un nuovo modo di apprendere da parte degli adolescenti, dove il linguaggio per immagini ha la precedenza sulla lingua delle parole.
Io credo che i nuovi malesseri che citavo all’inizio, la disforia di genere, il ritiro sociale e i disturbi dell’apprendimento, abbiano una matrice comune. E questo è da ricercarsi nella rabbia, in quella rabbia che non si vede, proprio quella che viene scaricata attraverso il game.
I genitori, poi, sono di una fragilità disarmante, non hanno una visione di campo, bloccano la tendenza all’autonomia dei figli che sono sempre più disincantati dal mondo che gli abbiamo lasciato: si tengono lontani dalla religione e dalla politica.
Quando un bambino sperimenta l’autonomia per la prima volta comincia a gattonare e qui ci troviamo di fronte a due tipi di reazione: c’è la madre che gli va dietro, sorride e condivide l’esperienza sostenendolo; prova meraviglia e provare meraviglia significa prendere atto che sta crescendo.
Poi c’è la madre che si preoccupa, non lo lascia andare, ha già messo i paraspigoli da tutte le parti, teme l’autonomia e la crescita.
Bisogna considerare che l’immagine idealizzata che qualsiasi mamma ha di suo figlio prima ancora che nasca, sarà psicoattiva per il bambino in tutto il corso della vita come avviene per le droghe.
Le inevitabili aspettative che i genitori hanno sui figli sono potenzialmente pericolose: prendere atto delle aspettative deluse è un vero e proprio lutto che i genitori faticano ad elaborare, in fondo la distanza adolescenziale di cui i ragazzi necessitano per crescere sta nella accettazione dei propri genitori di sentirsi delusi rispetto alle aspettative che avevano riposto in loro. Il sentimento è quello di sentirsi traditi. Sono i genitori che spesso devono crescere: madri che controllano e padri che sono assenti devono provare a perdonarsi.
Consideriamo la disforia di genere che può essere, a volte, un tentativo di ricerca di autonomia, di libertà attraverso la provocazione che non può essere capita dagli adulti che nel frattempo pensano a farmaci in grado di interferire nei normali processi della crescita alterando nei ragazzi desiderio ed esperienza. Entro certi limiti gli adolescenti dovrebbero trasgredire anche esternalizzando lievi livelli di rabbia.
Lavorare con i genitori sul focus edipico è l’unico modo per agganciare i genitori: il diritto ad odiare rende più liberi dell’empatia nel farli crescere, focalizzarsi sull’odio e sulla rabbia.
Questa credo sia la vera sfida per il futuro.
* Federico Tonioni è Psichiatra, Psicoterapeuta, Direttore del Centro Interdipartimentale per la psicopatologia da web presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma