“Mi sente? E mi vede?” Trionfi e catastrofi della psicoterapia online

di Paolo Chiappero

“Buongiorno dottore. Ho pensato che la seduta di domani potremmo farla online…sa arriva mia cugina dalla Svizzera e non riesco a esserci in tempo nel suo studio. Che dice?”

“Dottore mi trasferirò per qualche mese a Toronto. Potremo continuare la nostra terapia online?” 

“Salve, vorrei un appuntamento con lei per iniziare un percorso psicoterapeutico, ma non riesco a uscire di casa. Soffro di attacchi di panico e di agorafobia (si chiama così?). Mi hanno detto che si può fare anche una terapia online. Lei la fa?”

 “Buonasera, ho avuto il suo numero da una sua ex paziente. E’ una collega di lavoro. Ma c’è un problema: io lavoro da un anno a Roma. Torno a Genova solo nel weekend e non sempre. Si può iniziare una psicoterapia in remoto?”

Chissà cosa avremmo risposto come terapeuti, anche solo fino al 2020 (anno dell’inizio della pandemia). Esistevano da qualche tempo questi “mezzi”, ma non erano stati sdoganati. Non solo nella psicoterapia, ma nella formazione, nel lavoro, ecc…

Partiamo da due premesse. Lo sviluppo tecnologico e la diffusione di nuovi strumenti in questi ultimi anni, nella nostra società contemporanea, e la storia della psicoterapia “virtuale”. Nota

Nota. Con la parola “virtuale” si intende in genere un fenomeno, relazione, situazione illusori o apparenti. In realtà deriva dal “virtus” latino che aveva più significati tra cui soprattutto: potenzialità e possibilità. Nel linguaggio comune si perde quest’accezione positiva e non solo si cambia area semantica (vero vs falso), ma la connotazione si riferisce ad un qualcosa di limitato, in quanto “apparente”. In realtà se pensiamo alle relazioni interpersonali cosiddette “virtuali” (chat, social) si tratta di relazioni speso concretissime e reali, nei loro effetti, e che possono integrarsi con aspetti “reali” della stessa relazione. Per non dire delle conseguenze reali del “virtuale”: in questo senso anche un film può essere inteso come fatto virtuale, ma che può creare riflessioni ed emozioni rispettivamente profonde e intense. Personalmente riteniamo che riferirsi solo al medium rende, nel linguaggio parlato, la parola “virtuale” di serie B se paragonata al reale. In realtà il mezzo è una parte della questione, per quanto non insignificante. E realtà e virtualità vanno valutate in base agli effetti.

Secondo uno degli ultimi rapporti di “Coop innovazione e digitale”: “(…) il 65% degli italiani si dice soddisfatto rispetto al proprio rapporto con la tecnologia, sia pure in una relazione a due facce, tra vantaggi e svantaggi in vari ambiti. Se da un lato permette di restare connessi con i propri cari (47%) dall’altro diminuisce le relazioni dal vivo (per il 37%). Aiuta a restare sempre aggiornato sui temi di interesse (42%), ma aumentano le fake news (33%). Consente di migliorare la visione di film e di svagarsi, ma intanto aumenta lo stress (36%) (Monaco, 2022) (il corsivo è nostro).

Già da questi dati emergono luci e ombre legate all’innovazione digitale. Se da un lato stiamo valorizzando, di fatto, il potenziale della tecnologia e dei suoi “tool”, è crescente la convinzione che sia necessario un sistema “ibrido”: tecno-umano. Tra gli effetti collaterali dell’uso massivo e continuo della tecnologia digitale è stato esaminato il fenomeno che va sotto il nome di infodemia. L’OMS nel 2020 lo ha definito così: “Quell’abbondanza di informazioni, alcune accurate e altre no, che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno”. Troviamo questo neologismo per la prima volta in un articolo del Washington Post del 2003, come crasi tra le parole information ed epidemic (in inglese: infodemic).

Relativamente a ciò le disuguali età anagrafiche fanno spesso la differenza nell’approccio, nell’uso e nella soddisfazione o meno delle funzioni tecnologiche. Da questo vertice di osservazione sono meno indicative le differenze culturali e socio-economiche, il che fornisce maggiormente la cifra del fenomeno: che è di massa e, siccome tipico della post-modernità, radicatosi a partire dalle fasce giovanili (oltre che dagli addetti ai lavori del mondo della tecnologia). Non a caso si usa il termine di “nativi digitali”. Nota

Nota. La definizione è un composto del sostantivo nativo e dell’aggettivo digitale (deriva dall’espressione inglese digital native) e designa chi abitualmente, fin da giovanissimo, usa tecnologie digitali essendo nato nell’epoca del web. 

Eppure, negli ultimi anni contrassegnati dalla pandemia il salto percentuale più elevato, in termini di uso (in genere di “primo uso”) della tecnologia informatica e digitale è proprio tra la popolazione della terza e quarta età. Le limitazioni logistiche e relazionali seguenti alle politiche restrittive dovute a loro volta al Covid-19, hanno reso necessario (e vitale in molti casi) che anche chi era meno avvezzo ad usare smartphone, computer, tablet, ecc… decidesse di fare il “salto tecnologico”, spesso con l’ausilio delle generazioni più giovani. Quest’ultimo è un altro dato importante sociologicamente, su cui non abbiamo la possibilità di soffermarci, ma che segna un’altra rivoluzione del post-moderno: i giovani come portatori di maggiori saperi ed esperienze, rispetto alla popolazione anziana, cioè il contrario di quanto è sempre avvenuto nella storia dell’umanità!  

E la psicoterapia?

In questo scenario della contemporaneità non potevano esserci ricadute anche sulle modalità di svolgimento della relazione terapeutica (psicoterapeuta/paziente).

La velocità con cui si sono diffuse le sedute di psicoterapia a distanza ha spesso oscurato il fatto che già nello scorso secolo si erano adottate, in ambito clinico, comunicazioni che non prevedevano la presenza fisica del terapeuta e del paziente, ad esempio negli anni ’50 con l’esperienza delle sedute telefoniche.

Questi antesignani delle terapie online (telefonate audio, chat, e-mail) si sono diffusi dapprima nei paesi anglosassoni. Maggior espansione per gli avanzamenti tecnologici? Esempio di pragmatismo della cultura anglofona? 

Negli Stati Uniti già negli anni ’50 nacque un dibattito sulle terapie psicoanalitiche telefoniche.

Inoltre, questi mezzi non permettevano sempre una comunicazione sincrona: nel caso delle chat e della mail la comunicazione (oltre alla specificità del mezzo, cioè la scrittura) è asincrona. Due elementi fondanti del dialogo, non solo psicoterapeutico.

Trattandosi di casi limitati geograficamente e rappresentati una piccola percentuale dei modi di conduzione delle psicoterapie il dibattito non ebbe la stessa risonanza dell’attuale discussione e produzione di materiale letterario in proposito. Uno dei pochi esempi noti a chi scrive è il testo di Saul (1951) (vedi Migone, 2003, per un approfondimento).

In questa sede ci occuperemo della comunicazione online che prevede la simultaneità sia della comunicazione audio sia di quella video: l’esempio più calzante e diffuso è la videochiamata con lo smartphone attraverso WhatsApp, ma sono usate anche piattaforme come Skype e altro.

In questi quattro anni circa (dal lockdown del marzo 2020) la mia esperienza di terapie online si è intensificata. In precedenza avevo avuto solo due esperienze continuative di analisi non in presenza, e negli anni ancora precedenti due casi di analisi telefonica. In questo periodo sono sei i pazienti con cui lavoro esclusivamente e sistematicamente con l’ausilio delle nuove tecnologie audiovisive, a cui vanno aggiunti 6/7 colleghi con cui svolgo online delle supervisioni individuali, con frequenza variabile.

E il resto della comunità scientifica? Vediamo con alcune brevi note l’approccio scientifico e istituzionale alla tele psicologia degli ultimi decenni.

Sono concorde con molti colleghi che si sono occupati dell’argomento sul fatto che non si possa generalizzare includendo in un’unica categoria omogenea le esperienze online. Del resto è quanto facciamo con la psicoanalisi in presenza: fermo restando la copresenza del corpo di terapeuta e paziente, che dire della diversa comunicazione tra la posizione vis-à-vis e quella sul lettino? E che dire di chi, come Fairbain, utilizzava il lettino, ma stando di fronte o a fianco del paziente? Come si rappresentano e con quale significato emotivo, in termini di fantasie, transfert e controtransfert, resistenze, ecc…. le diverse prassi? Ѐ questo, per chi scrive, il piano ineludibile di qualunque discussione sulla materia. Ragionare sulla terapia online deve essere tanto doveroso ed euristico quanto sulla terapia tradizionale. 

Le terapie online hanno differenti modi e regole di essere condotte così come sono variegate le modalità di conduzione delle terapie in presenza. Tutto ciò per rendere evidente i rischi di superficialità e generalizzazione, ad esempio pensare che esista “una” terapia in presenza anziché 10 100 1000 psicoterapie (parafrasando uno slogan degli anni sessanta mutuato a sua volta da una frase di Ernesto Che Guevara).

Prima di addentrarci maggiormente in una, seppur inevitabilmente sintetica, disamina delle variabili maggiormente significative che differenziano la tele psicologia dalla psicoterapia in presenza, dovremo fare un doveroso accenno a come essa è stata recepita in ambito istituzionale (Ordini degli Psicologi, Associazioni varie di psicoterapia).

Per rimanere nell’ambito che ci compete (Psicologi-psicoterapeuti) e a livello nazionale, il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi, 2017) ha redatto delle linee-guida sulla psicoterapia online, partendo da una sua possibile inclusione nelle prassi psicoterapeutiche correnti. Già nel 2012 era stato creato un gruppo di lavoro “Psicologia e nuove tecnologie” dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia.

Ma ancora nel 2002 (G/256 del 20/4/2002) una delibera dello stesso CNOP vietava espressamente l’utilizzo di tecnologie online. E sia nel 2003 sia nel vicino 2013 lo stesso organismo si era espresso limitando le possibilità di erogare un servizio psicoterapeutico online.

Resta il dato rilevante, secondo chi scrive, che nelle “Raccomandazioni del CNOP sulle prestazioni psicologiche attraverso tecnologie di comunicazione a distanza” (CNOP, 2013) il punto 6 recita: “Nell’ambito delle attività cliniche (quali la psicoterapia, la psicodiagnosi, ecc…) l’instaurazione di un rapporto diretto, di persona, è condizione indispensabile per un eventuale successivo utilizzo dei dispositivi di comunicazione a distanza” (il corsivo è nostro) e al punto 9: “Considerati lo sviluppo delle prestazioni psicologiche a distanza e le loro complessità, spetta a ciascun Ordine territoriale tenere un registro degli iscritti che svolgono tali prestazioni” (registro che non mi risulta sia mai stato attivato).

Quest’ultimo punto, e altri di significato normativo che abbiamo tralasciato, dimostrano che “sviluppo” e “complessità”, costringono la scienza ad inseguire un fenomeno che dal 2020, con la pandemia, ha subito uno sviluppo esponenziale.

Quanti colleghi, conosciuti personalmente e stimati, hanno “imbracciato” lo smartphone o la consolle del computer per svolgere sedute online con i loro pazienti, quando fino a non molto tempo fa erano scettici o non interessati a questa pratica! Ecco il rischio che vogliamo sottolineare: la diffusione di un fenomeno che è accettato per la sua diffusione e non il contrario: diffondersi perché si è studiato e riflettuto sulla sua efficacia. Ovviamente non è il dato quantitativo che vogliamo mettere in risalto, di per sé, ma l’errore di essere “contro” quando il fenomeno era di nicchia e “a favore” quando è diventato esteso. Quest’approccio governato da concetti come popolarità, diffusione, moda non è certo appannaggio solo della psicoterapia online nel mondo in cui viviamo! Nel nostro caso si tratta di auspicare sempre nuove ricerche e studi sull’argomento cosa che per fortuna avviene nella comunità scientifica con gli studi sul processo terapeutico e sugli esiti della psicoterapia tout-court. Sicuramente un po’ meno nel nostro microcosmo di singoli terapeuti…….

E nel resto del mondo? E in tempi passati?

Tralasciando alcuni rapporti epistolari dello stesso S. Freud, che alcuni autori considerano alla stregua di primitive forme di psicoterapia a distanza (vedi ad es. Freud 1909, Skinner e Zach, 2004), è nel già citato testo di Saul (ibidem) che troviamo un primo approccio al problema. Un’altra esperienza prodromica è stata quella condotta alla Nebraska School of Medicine nel 1959, che utilizzava un sistema di televisioni a circuito chiuso per il dialogo terapeutico con i pazienti. E ancora, con mezzi diversi da quelli attuali, il software Eliza ideato nel 1966 da Joseph Weizenbaum. Oggi lo paragoneremmo a un chatbox (come la nota “Alexa”). All’epoca si trattava della prima possibilità di interazione, sincrona, con una macchina che simulava domande e risposte “verosimili” da parte di un terapeuta (Carr, 2011). Nota

Nota. Il programma Eliza è stato il primo software di dialogo computer-essere umano in cui gli utenti non erano in grado di distinguere se le risposte provenissero da un terapeuta o da una macchina (superamento del test di Turing) (Manzo, 2013). Mi permetto di aggiungere, andando volutamente fuori tema, che negli anni ’60 vi furono ricerche-azione, tra cui quelle di Strupp e Handley (1979) negli Stati Uniti, che proposero qualcosa di simile. Questa volta però si trattava di terapeuta vs non-terapeuta (persone che svolgevano ruoli lavorativi di docenza universitaria ed erano stimati per le loro capacità empatiche, ma estranei alla psicoterapia e alla psichiatria) e i “pazienti” avevano difficoltà a capire che i secondi non fossero psicoterapeuti! Non solo, i livelli di soddisfazione/efficacia, da parte dei “pazienti” era la stessa. Ma questa è un’altra storia…..la storia del ruolo dei fattori d’efficacia specifici e aspecifici in psicoterapia.  

Poi verranno, oltre alle sedute telefoniche già disponibili, le mail, le chat al computer, Skype e altre piattaforme simili fino alle videochiamate attraverso gli smarthphone che hanno reso fattibile, sul piano concreto, un vero e proprio salto di qualità nella diffusione della “e-therapy” (negli anni cinquanta chiamata negli USA anche tele-health).

In questo periodo ci si indirizza soprattutto sulla valutazione dell’efficacia delle sedute psicologiche online. La diffusione del fenomeno ha fornito una molteplicità di dati che non erano disponibili soltanto tre o quattro anni fa e che la pandemia (non dimentichiamolo: di dimensioni planetarie) ha fornito con l’intensificarsi di prassi tele psicologiche.

Ad esempio nel 2015, per concentrarci su ricerche del nostro secolo, molti studi hanno dimostrato l’efficacia della terapia online di tipo cognitivo-comportamentale (ad es, Hallgren e coll. 2015). Altri studi sembrano dimostrare il contrario (ad es. Victor e coll. 2018) ma sono stati condotti utilizzando anche modalità asincrone di comunicazione, come le chat. Questi stessi studi su questo modello psicoterapeutico hanno anche prodotto risultati “accessori”: ad esempio il fatto che i pazienti più giovani fossero più favorevoli a questa forma di comunicazione. Un dato intuitivo per coloro, come il sottoscritto, che incontrano pazienti in terapia online. Facilmente spiegabile con la diffusione e “normalità” di una comunicazione interpersonale di questo tipo (vedi oltre sulla differenza tra “noto” e “ignoto”). Nota

Nota. Un nuovo punto di forza che deriva dalle nuove tecnologie comunicative è quella di intercettare pazienti adolescenti rubricati nel fenomeno psicopatologico detto Hikikomori. Auto reclusione sociale e continua connessione con il web e i giochi online, che comportano una scelta di vita che si limita al microcosmo della propria stanza, evitando l’esposizione sociale e interpersonale (Chiappero, 2023).

La ricerca sugli interventi e-mental health è ancora agli inizi, in termini di significatività dei risultati. La maggior parte degli studi ha preso in considerazione l’approccio cognitivo-comportamentale perché il processo terapeutico è maggiormente standardizzato, con linee-guida e parametri di efficacia e svolgimento del processo più chiari ed esplicitabili. Ѐ ciò che è avvenuto anche con le ricerche sulla psicoterapia tradizionale. Inoltre, le ricerche prendono in considerazione soprattutto pazienti affetti da disturbi d’ansia e disturbi dell’umore. Quest’ultima è un’altra variabile da considerare e comprendere meglio in futuro: il confronto tra psicoterapia virtuale e in presenza a parità di categoria diagnostica.

In campo psicodinamico sono significativi i risultati di Johansson e coll. (2012), sia per i risultati moderatamente positivi dell’uso della terapia online, sia per i risultati simili ottenuti comparando diversi approcci psicoterapeutici.

Comunque già nei primi anni del secolo erano stati condotti studi approfonditi che avevano messo in risalto le potenzialità della tele psicologia equiparabili a quelli della comunicazione terapeutica tradizionale (vedi tra gli altri: Jedlicka e Jennings 2001, Day e Schneider 2002).

Infine, la maggior parte degli studi degli anni duemila consiglia di escludere soggetti con disturbi psichiatrici gravi e vittime di abusi sessuali e violenze. 

Se è vero che alla domanda “Terapia online sì o no?” si risponde sottintendendo che si tratti implicitamente di un interrogativo sull’efficacia, ci sono altri quesiti da porci. E l’alleanza terapeutica? E la tipologia di attaccamento? Siamo sicuri che questa, scientificamente legittima, “anatomia della psicoterapia (online)” non ci faccia dimenticare le profonde differenze esistenti da sempre tra le psicoterapie “in presenza” e anche all’interno della stessa tecnica psicoanalitica? Nota

Nota. La frase tra virgolette riprende il celebre testo di Friedman “Anatomia della psicoterapia” (1983), rilevante e utile contributo di analisi, anche microscopica, di ciò che avviene nella psicoterapia psicoanalitica, soprattutto per quanto attiene all’atteggiamento del terapeuta.

Chi scrive ritiene che a volte ci possano essere meno differenze tra una terapia online e una offline, di quanto ne sussistano tra due psicoterapie a parità di assetto/setting comunicativo, tante sono le variabili intervenienti in un processo così complesso, continuo e più o meno duraturo qual è la psicoterapia individuale.  

Su questo aspetto ritorneremo, indirettamente, per sottolineare la differenza tra una psicoterapia, come la chiama chi scrive, “nativa digitale” e una dove l’e-therapy inizia dopo un più o meno lungo contatto nello studio del terapeuta, oppure è soltanto un breve periodo d’intermezzo di una psicoterapia in presenza o, ancora, una seduta estemporanea online per motivi contingenti. Queste differenze basilari sono in parte rappresentate dalla “casistica” presentata all’inizio dell’articolo, attraverso le richieste esplicite dei pazienti.

Inoltre, fino a pochi anni fa, alcuni dati pessimistici sull’efficacia della terapia online dovevano tenere conto di variabili intervenienti, di cui la principale era la poca dimestichezza con i dialoghi virtuali (se si eccettuano il telefono, o le mail che però danno luogo ad una conversazione in genere non sincrona).

Quest’ultimo esempio è una buona dimostrazione dell’impatto di variabili socio-culturali e tecnologiche nella nostra percezione e valutazione del mondo e, in questo caso, di uno strumento vissuto come “noto” o “ignoto”, “familiare” o “estraneo”. Nota

Nota. «All’inizio la gente rifiuta di credere che una nuova cosa strana possa essere fatta, poi iniziano a sperare che possa essere fatta, poi vedono che è possibile farla – poi è fatta e tutto il mondo si chiede perché non è stata fatta secoli prima» questo aforisma della scrittrice inglese Frances Burnett (1910), mi ha riportato al cambiamento di prospettiva di fronte ai mutamenti, che non devono però soggiacere solo alla logica del nuovo vs vecchio, ma soprattutto del positivo vs negativo, efficacia vs inefficacia, per quanto declinati in base alle situazioni concrete.

Considerazioni si possono applicare anche per l’uso del lettino in psicoanalisi. Noto e familiare per l’analista, ignoto ed estraneo per il paziente, se teniamo conto delle consuete norme di contatto sociale, anche professionale, cui siamo abituati. Riflettere sulla psicoterapia online è anche uno spunto per riflettere su quella in presenza, tutt’altro che omogenea in termini di tecnica, atteggiamento e regole d’ingaggio come abbiamo già anticipato (vedi Migone, 2003, 2013 e 2021).

Ritornando all’ambito scientifico, sfrondiamo subito i dubbi sull’efficacia delle terapie online, ma non dimentichiamo che soprattutto nell’ambiente psicodinamico è imprescindibile analizzare la relazione terapeutica, sia nelle sue componenti di alleanza terapeutica sia riguardo al transfert e controtransfert. Mutare in maniera così radicale “il modo di stare con l’altro” (vedi ad es. Stern 1998, per il concetto di “conoscenza relazionale implicita”) comporterà fantasie, speranze, timori, movimenti transferali e controtransferali, differenti (in maggiore o minore misura a parità di paziente), per non dire degli aspetti oggettivi del setting (ad esempio l’importanza di “entrare visivamente” nel mondo reale del paziente, come vedremo in seguito). Nota

Nota. La conoscenza relazionale implicita è una forma di memoria procedurale, formata dalla “storia” delle nostre interazioni e si forma nel primo anno di vita. Ognuno di noi ha personali e unici modi di stare con l’Altro in diversi ambienti e diverse relazioni reali. Una situazione nuova e mai sperimentata, anche soltanto per il mezzo di comunicazione, comporta un’automatica e più o meno facile/difficile riorganizzazione delle nostre modalità familiari. Si tratta di processi prevalentemente inconsapevoli e al di fuori della verbalità. Nella psicoterapia online, se si tratta della prima esperienza (non importa se per il terapeuta, il paziente o ambedue) è inevitabile un riadattamento della “modalità di stare con l’altro”, che può discostarsi più o meno da quelle abituali e, in particolare, da quella precedente con la stessa persona o gruppo, quando la comunicazione non era virtuale. Ѐ il motivo per cui vanno distinte le esperienze di una psicoterapia che “nasce” in modo virtuale con una che transita da reale a virtuale. 

Osservazioni su fenomeni clinici della terapia online vs la terapia in presenza

Ho provato a distinguere tra:

Psicoterapia online occasionale (per motivi specifici ed eccezionali).

Psicoterapia online transitoria (per periodi più lunghi, nell’ordine delle settimane o mesi e il più delle volte programmati).

Psicoterapia online “ad libitum” (senza un prevedibile ritorno alla psicoterapia in presenza).

Psicoterapia “nativa online”, quando tutto il processo psicoterapeutico si svolge a distanza. In questo caso l’inizio stesso della terapia è subordinato al fatto che l’analista accetti che il processo analitico si svolga solo ed interamente non in presenza.

Nella mia esperienza ho raccolto molti dati che si possono collocare nelle prime tre casistiche. Per scelta non ho accettato le (rare) richieste di iniziare una psicoterapia in remoto. Confidando che, nel luogo o nelle vicinanze dell’abitazione della persona, potessero esserci “bravi” colleghi.

Potrei soffermarmi su questa scelta che sicuramente tradisce la mia esperienza ormai trentacinquennale di psicoterapeuta ad orientamento psicoanalitico. E non escludo che in futuro potrò operare scelte diverse. 

Si tratta di un’idiosincrasia personale, come tante altre che condizionano nelle sue scelte ogni psicoterapeuta. Perché idiosincrasia? Perché nasce da un’esperienza così sedimentata nell’essere “due persone che parlano in una stanza” (Nissim Momigliano, 1984), alla quale sono così abituato e quindi “comodo” (la comfort zone), che il desiderio di incontrare l’altro in uno spazio che è anche la presenza simultanea di corpi è per me irrinunciabile. Ho bisogno e mi sento più a mio agio ad iniziare una conoscenza dell’Altro, così intensa, intima, prolungata nel tempo, che è come se chiedessi al paziente: <<Prima ti voglio conoscere>>. Una “conoscenza” che è la forma di contatto e visione dell’altro cui sono abituato da sempre, professionalmente e no. Il che conferma come l’analista debba trovare le sue “condizioni per poter lavorare”, che spesso chiamiamo: “Stare comodi sulla propria poltrona”.

Se il titolo di questo paragrafo fosse stato: “Osservazioni (…) vs la terapia”, il messaggio implicito sarebbe stato quello che esistono la Psicoterapia e la psicoterapia online, con il ruolo di Cenerentola rispetto al mainstream della storia e delle tecniche psicoterapeutiche. La Psicoterapia, appunto.

Il titolo anticipa quindi che la nostra visione non presuppone una psicoterapia di serie A e una di serie B, per lo meno nel senso che tutte le psicoterapie condotte non in presenza siano in qualche misura (e modo) inferiori nella loro efficacia a quella, più familiare, di due persone presenti nella stessa stanza d’analisi.

Questa presa di posizione, che non siamo certamente gli unici a rappresentare nella comunità scientifica, può contenere il pericolo di minimizzare fenomeni clinici estremamente salienti per il processo psicoterapeutico, che vanno (nell’ordine): messi in preventivo, percepiti nel loro accadere e analizzati in conformità a quello specifico rapporto tra terapeuta e paziente che, a proposito di realtà, è già di per sé un groviglio di fenomeni transferali e controtransferali, reali e immaginari, adattivi e disadattavi.

Per questo motivo mi soffermerò su alcune situazioni interpersonali che possono essere una vera e propria novità nel rapporto terapeuta-paziente o una variazione rilevante di dinamiche interpersonali già presenti nella terapia in presenza (dal punto di vista euristico è più efficace fare il paragone con lo stesso paziente, quando si passa da una relazione nella stanza a una in remoto).

In principio dobbiamo soffermarci su alcune differenze oggettive che hanno implicazioni generali. La più ovvia, che è alla base della stessa nascita della psicoterapia nella sua forma online, è la possibilità di intercettare la domanda clinica d’individui che per varie ragioni non potrebbero accedere a un trattamento psicoterapeutico. Possono essere condizioni contingenti, di durata più o meno estesa (trasferimenti di abitazione, malattie fisiche, ma non dimentichiamo anche condizioni sintomatiche come l’agorafobia e il disturbo di panico).

Si tratta della “pistola fumante” da cui nascono le prime esperienze di telemedicina. Come abbiamo visto anche quelle più datate come l’uso del telefono, prima, e quello delle chat e delle mail, poi. Precisiamo che in questa sede ci occuperemo soltanto di forme di terapia a comunicazione sincrona e audiovisiva.

Sarebbe sufficiente tutto ciò per sdoganare questa nuova forma di trattamento? Sì, ma a due condizioni. La prima è l’efficacia del trattamento stesso (rispetto alla quale gli studi condotti sembrano rassicurarci, vedi sopra), la seconda è il dover fare i conti con fenomeni interpersonali nuovi. Di questo scriveremo qualcosa nelle prossime righe.

Individuiamo alcune peculiarità che distinguono le due forme di psicoterapia (in presenza e a distanza). Ricordando ancora una volta che, anche all’interno della stessa psicoterapia tradizionale, esistono molte differenze tecniche, di atteggiamento dell’analista e legate alle caratteristiche del setting (i criteri estrinseci di cui parla Gill, 1984 e lavori seguenti, e che comprendono anche la frequenza delle sedute settimanali, la posizione sul lettino o meno, ecc….).

La terapia online comporta importanti variazioni nel setting e nel processo. Quest’affermazione possiamo, pari pari, utilizzarla anche per distinguere diverse scuole di psicoterapia (e differenti autori) per quanto riguarda la tecnica e il setting utilizzati (vedi Colli 2016, per una serie di argomentazioni e grafici sulle aree comuni e non tra i vari approcci).

Potremmo dire: la psicoterapia lacaniana comporta questo e quest’altro, se paragonata alla tecnica classica (ammesso che esista qualcosa di simile, e questo è un ulteriore problema). Oppure: la tecnica (e anche il setting?) dei teorici del campo psicoanalitico si distingue da quella kleiniana, o da quella della Psicologia del Sé. Ci saranno in alcuni casi differenze ragguardevoli, così come sovrapposizioni per quanto concerne sia la costruzione del setting sia la tecnica del terapeuta, per non dire di mezzi simili denominati diversamente e mezzi diversi chiamati con lo stesso nome….“è la psicoterapia, bellezza”. 

Metodologicamente è preferibile segnalare alcune caratteristiche della psicoterapia online e analizzarle di per sé. In questo modo potremo occuparci dei cambiamenti più macroscopici, tra i quali quelli riguardanti il setting sono sicuramente quelli maggiormente in primo piano.

Nel lavoro terapeutico online: “Il paziente diventa promotore e agente attivo del setting” (Gullo, 2020). La stanza d’analisi è una somma di due stanze: quella del terapeuta e quella del paziente. Se la prima è la stessa, la seconda è scelta dal paziente, costituisce una novità per il terapeuta e può cambiare, sia nel senso di cambiamenti apportati dal paziente e visibili dal terapeuta, sia nel caso (non infrequente) che il paziente stesso utilizzi stanze diverse. In quest’ultimo caso si pongono problemi di vario tipo e interrogativi. Perché un’altra stanza? Problematiche di privacy? Aspetti che possiamo interpretare psicodinamicamente? Il paziente può voler mostrarsi in una stanza piuttosto che un’altra, essersi trovato in imbarazzo nella sistemazione precedente e voler cambiare, ecc….

E che dire delle psicoterapie online “d’emergenza”? Non nel senso di una seduta extra, ma di una collocazione di fortuna, per motivi contingenti (in auto, a casa di un amico/a, sul posto di lavoro). Anche ipotizzando che la necessità sia soltanto logistica, ciò non vuol dire che a noi non tocchi esplorare i significati per il paziente di questo tipo particolare di nuovo setting. Che cosa svela, volontariamente e involontariamente (ma potrebbe essere: inconsciamente) il paziente di sé? E il nostro controtransfert che si riferisce a questo nuovo (e inaspettato) setting? Anche in queste situazioni è il paziente che determina parte del setting.

Tutto ciò al netto di un elemento obiettivo, ma non per questo meno importante, che è la qualità della ricezione audiovisiva, da cui la frase ironica del titolo del presente articolo: in fondo si tratta della prima domanda che pongo ai miei pazienti online e che non può esistere nella psicoterapia in presenza, dove, in silenzio, attendo che sia il paziente a iniziare la comunicazione verbale.

La domanda del titolo è rilevante, soprattutto se cogliamo qualche problema di connessione. Una sorta di conditio sine qua no.

Ecco sì….la connessione. Problematica tecnologica, a meno di non pensare che il paziente (o l’analista?) voglia sabotare la comunicazione…. anche se l’inconscio…… accantoniamo per il momento quest’ipotesi. 

Anche in questo esempio partiamo da dati oggettivi, inconfutabili: si tratta di dispositivi tecnologici. Ma che impatto hanno sulla seduta? Sulla comunicazione interpersonale? Non solo in termini di efficacia della comunicazione, anche di “vissuto” della coppia terapeuta-paziente.

Non vedere bene l’altro, non riuscire ad ascoltare bene le sue parole. E che dire della prospettiva visiva? Secondo la distanza della telecamera dagli interlocutori avremo un’immagine più o meno ampia dell’altro. E non sempre la stessa in ogni seduta, con lo stesso paziente. Non abbiamo quella fissità e prevedibilità del contesto visivo e sensoriale che contraddistinguono la seduta in presenza.

E quale significato ha per il paziente (soprattutto se correlato con l’esperienza in presenza) l’essere in un altro luogo? Che ne è dello stare con l’altro, oppure del winnicottiano stare solo con l’altro. Quale qualità della “regressione al servizio dell’Io” è quella in cui l’altro non è con noi fisicamente?

A fronte di difficoltà di comunicazione che non possono che essere un limite oggettivo, ce ne sono altre che, pur provenendo da difficoltà di connessione, possono essere importanti da indagare nel loro valore psicodinamico. In sintesi, anche ciò che è obiettivo, non deciso dagli interlocutori, non significa che non vada indagato nelle sue correlazioni con l’emotività, l’affettività, la visione di sé e dell’altro, il transfert e il controtransfert, ecc….

Anche l’attivazione della sensorialità subisce modifiche. La visione dell’altro è peculiare (vedi sopra), ma l’udito? Nella psicoterapia tradizionale (se il paziente è sdraiato sul lettino) attiviamo maggiormente l’udito; in quella vis-à-vis la messa in azione dei nostri sensi cambia: siamo letteralmente “bombardati” da stimoli verbali, paraverbali, non verbali, cinestesici ed estetici. E online? Che cosa cambia nella coordinazione tra vista e udito? E che dire della possibilità di una maggiore distraibilità? Per il paziente l’ambiente scelto può essere maggiormente oggetto di distrazioni (anche non previste), rispetto allo studio del terapeuta. Allo stesso tempo c’è anche una distrazione soggettiva. La reciproca percezione parziale dell’altro può permetterci distrazioni maggiori: ad es. dare un’occhiata allo smartphone per vedere chi ci sta chiamando, oppure indugiare, incuriositi, a osservare dalla finestra ciò che accade fuori perché qualche stimolo ha attratto la nostra attenzione. Tutto questo vale per il terapeuta e per il paziente e, alcuni esempi, valgono anche per la differenza di setting tra le terapie condotte sulla chaise longue e quelle faccia a faccia. E torniamo all’intersecarsi di analogie e differenze.

E gli altri sensi? <<Non sento più il profumo del suo studio dottore>> mi ha detto poco tempo fa un ragazzo di vent’anni, che ora continua la sua psicoterapia, ma da una località del Nord Europa; <<Certo che così non ci stringiamo la mano quando ci salutiamo …>> afferma un mio paziente mio coetaneo, col quale una volta avevamo affrontato proprio questo argomento: stretta di mano forte e decisa, avvolgente, “molla”, ecc….come differenti forme di porsi verso l’altro (ed è così in effetti); potremmo continuare. Ci poniamo in relazione e in comunicazione tra esseri umani attraverso la reciproca attivazione della sensorialità che intrecciandosi, modificandosi, interrelandosi reciprocamente co-costruisce una dimensione intersoggettiva che è determinata anche dalla situazione ambientale.

Anche quando vogliamo affrontare una questione saliente con una persona cara, preferiamo farlo in un luogo tranquillo e appartato, spesso a casa propria, piuttosto che in un locale pubblico chiassoso o allo stadio!

Le stesse differenze tra le due forme di psicoterapia di cui ci stiamo occupando devono, a nostro parere, essere oggetto di investigazione non solo nel passaggio alla modalità da remoto; anche il passaggio inverso è oltremodo di grande interesse. Proprio una settimana fa una ragazza appena ritornata dall’estero, dopo sei mesi di psicoterapia a distanza, ha concentrato tutta la sua seduta sul suo “vissuto” legato al ritornare nel mio studio, ad “esserci” nel senso della Daseinsanalyse, ma correlato all’essere nella stessa stanza. Chissà gli psichiatri fenomenologi del secolo scorso cosa avrebbero detto del “dasein” in videochiamata Whatsapp? Nota.

Nota. Ritroviamo il termine di “dasein” nella filosofia tedesca per indicare l’esistenza (ad esempio nel pensiero kantiano, così come in Hegel dove assume il significato dell’essere determinato, finito). Per Heidegger, l’esserci è l’ente privilegiato, gettato nel mondo, con tutto i suoi vincoli e limitazioni, ma capace comunque di atti di libertà. Lo psichiatra svizzero Ludwig Binswanger, prima, e Karl Jaspers, poi, teorizzeranno e praticheranno una psichiatria che, ispirata alla fenomenologia, si chiamerà proprio Daseinanalyse, nota anche come “Analisi Esistenziale”. 

Il vero errore, a nostro parere, è considerare tutti questi fenomeni come variabili indipendenti. Come dire: “Ѐ naturale siamo online” oppure “Si sa che online certe difficoltà capitano” o ancora: “Ma cosa ha a che fare con il racconto del paziente? Malgrado oggi non riuscissimo bene a vederci…”.

Proviamo ad andare ancora oltre.

Un’altra particolarità del setting audiovisivo è l’asincronicità dell’incontro tra gli sguardi e la possibilità per ogni interlocutore di osservare se stesso oltre all’altra persona. Spieghiamo meglio: nel primo caso si tratta di una continua oscillazione del nostro sguardo tra il viso del paziente e la telecamera del nostro schermo, qualunque esso sia, per poter guardare direttamente l’altro. Nel secondo caso osserviamo anche noi stessi: con quali risultati? Con quale percezione e valutazione inconscia della nostra immagine riflessa, e potremmo continuare…

Proprio per tutte queste variabili in gioco io sono solito monitorare l’andamento della comunicazione virtuale soprattutto nelle prime sedute che hanno sancito il passaggio dalla psicoterapia in presenza alla teleterapia. E, per altrettanto validi motivi, quando si tratta di sedute online eccezionali per questioni varie.

L’alleanza terapeutica, la conoscenza reciproca paziente/terapeuta, la gravità o meno della patologia, la durata nel tempo della terapia sono fattori che influenzano in vario modo i fenomeni che abbiamo posto in primo piano in precedenza.

Come si può vedere: cambiano i fenomeni, ma non il metodo (l’interrogazione e l’ascolto psicoanalitico) e l’alleanza terapeutica e le altre variabili succitate sono anche in questo caso fattori prognostici e variabili intervenienti importanti nello svolgimento del processo analitico.

Ci sono alcuni accorgimenti tecnici che possono aiutarci a trasferire online alcuni elementi del setting e/o del nostro personale modo di lavorare con i nostri pazienti. Ovviamente gli elementi in sé, reali o virtuali che siano, possono esseri giudicati con criteri differenti, in termini assoluti. Qui si vuole evidenziare la possibilità di alterare il meno possibile il setting precedente (cioè quello che prevede i due attori del processo analitico ambedue presenti nella stanza).

Nel caso dell’uso del lettino, a prescindere dal dibattito contemporaneo su questo “criterio estrinseco” psicoanalitico (Gill, cit.), abbiamo almeno due modi di trattare la questione online. Esse rappresentano ottimamente, per chi scrive, la superficialità, da un lato, e l’approfondimento dall’altro, dei problemi che pongono nuove forme comunicative in psicoanalisi.

Non me ne vogliano eventuali colleghi ma, il fatto che un paziente che si è visto abitualmente sul lettino, sia visto vis-à-vis attraverso una telecamera, a distanza è…. come sparare sulla Croce Rossa. Immagino che codesti colleghi tratteranno la questione del nuovo assetto con il paziente: fantasie, dubbi, stati d’animo, ecc…. ma resta sempre un cambiamento altamente indicativo e, non sempre, i nostri interventi chiarificatori/interpretativi in proposito hanno la meglio sull’entità del cambiamento che diventa duplice e contemporaneo. Un combinato disposto fatto di: comunicazione vis-à-vis sommata con l’uso di strumenti virtuali.

Molto più coerente, come facciamo in molti, mantenere la stessa posizione anche con la telecamera. Il paziente darà le spalle al terapeuta e peccato se è sulla sedia o sul divano di casa e non sulla classica chaise-longue di Le Corbusier…. Ma un aspetto strutturale del setting quale la posizione terapeuta-paziente va conservata (se nel proprio studio si usa il lettino ovviamente e con quel definito paziente).

Conosco anche qualche collega che oscura la telecamera, per non essere visto, però può vedere il viso del paziente, a questo punto si introduce un’altra variabile di non poco conto: tu non mi vedi, ma io sì! Tutto sbagliato tutto da rifare avrebbe detto il buon Gino Bartali.

Un altro esempio è quello che qualifico con: “Chi chiama chi?”. La maggior parte dei colleghi chiede ai rispettivi pazienti di essere contattati per la seduta: su Skype, con Whatsapp, non importa il mezzo specifico. Sono d’accordo: permette di mantenere un’altra invarianza di ciò che avveniva in precedenza nello studio di psicoterapia. Con la chiamata del paziente si ristabilisce la regola per cui è il paziente che viene autonomamente, con i suoi tempi: anticipi, puntualità, ritardi, nel nostro studio. Allo stesso modo sarà lui/lei che, contattandoci, ci potrà permettere di notare gli eventuali scostamenti di orario. Allo stesso modo noi attendiamo il paziente e se non rispondiamo (perché ci siamo attardati qualche minuto in più nella seduta precedente o perché abbiamo fatto una telefonata urgente) avremo noi l’onere del ritardo, dando la possibilità al paziente di poter nel caso parlare o alludere a esso, così come avviene nelle sedute in presenza.

Viceversa, se sono io a prendere contatto col paziente non potrò mai sapere se sarebbe “arrivato” in ritardo, o puntuale o con mezz’ora di anticipo!

Chi svolge da molti anni il lavoro di psicoanalista sa quanto queste eterogenee problematiche di setting incidano sul processo psicoanalitico, dando luogo a diverse dinamiche comunicative, ma soprattutto a porsi come novità, nel passaggio (temporaneo o definitivo che sia) tra psicoterapia nella stanza e attraverso un mezzo tecnologico.

Infine, l’elemento più macroscopico: l’assenza del corpo nella psicoterapia online. In realtà il corpo c’è, ma a distanza e, generalmente, con minori possibilità di essere osservato nelle sue specificità comunicative. Vediamo meno la persona e più il suo ambiente! Ѐ un’altra caratteristica saliente di questa forma di lavoro terapeutico. Che cosa conta di più? Ricordo una mia paziente che preferiva essere vista attraverso una videochiamata proprio per non mostrare il proprio corpo (soffriva di dismorfofobia e sintomi anoressici) o un giovane ragazzo che si sentiva “invaso” dal mio osservare i suoi spazi domestici (in quel caso in particolare la stanza da “ragazzino” e i peluche regalatigli nell’infanzia).

Il corpo non è solo quello anatomico, ma quello vivente, percepito, vissuto, con il quale dialoghiamo come area transizionale tra il sè e il non-sé (pensiamo a frasi comuni quali: “Il mio corpo mi ha tradito”, oppure “Non controllo il mio corpo”, ecc….). Nella lingua tedesca der Körper è il corpo fisico, mentre der Leib è il corpo vivente, sinonimo di vita.

Nelle mie sedute attraverso Whatsapp mi rendo conto che vedo/osservo meno il corpo e più il contesto. Meglio? Peggio? Ancora una volta la questione è la diversità di contenuti (osservati) ed emozioni (percepite). “Viviamo in una società scopica che conta sul fatto di essere esaminati dall’altro” (Rumsey, Harcourt, 2005). 

Nella società occidentale contemporanea la soglia di tollerabilità dello sguardo altrui sembra essersi abbassata, ma il punto non è “quanto vedo”, ma “cosa vedo”.

Il piede che picchietta nervoso sul pavimento dello studio non lo potrò osservare, così come alcuni gesti della mano durante l’eloquio. E cosa dire del poster di un noto cantante, assente sul muro della camera della paziente nella seduta successiva e ora, non a caso, presente dopo che è stato un argomento della nostra ultima seduta?

“Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente” sosteneva Mao Tze-Tung agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso. Lo stesso vale per le nuove forme di comunicazione in psicoterapia, dovute all’utilizzo della tecnologia messaci a disposizione. E in futuro? Avremo gli ologrammi, così da avere il paziente “presente” in seduta, ma assente corporalmente? Un ossimoro.

Chi svolge il mestiere di terapeuta sa che deve sostare nell’incertezza (Bion, 1970), tollerare di non capire, per trasformare una situazione “confusa” in “eccellente”. La psicoterapia online ne è un ulteriore sfida e possibilità.

P.S. Il titolo del presente articolo riprende quello del libro dell’analista statunitense Giovacchini “Trionfi e catastrofi del controtransfert” (1989). Nel testo l’autore analizza e approfondisce il tema estremizzando, nel titolo, il ruolo positivo (funzionale) e negativo (disfunzionale) che può avere il controtransfert nel processo di cura. Da un diverso vertice concettuale ho preso a prestito questo titolo per inserire anche un po’ d’ironia nella questione affrontata.

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