di Alessandra Pagni *
“Solo se il seme muore può dare molto frutto”
Giovanni 12, 24-26
La genitorialità è una funzione dell’individuo (parzialmente autonoma, Palacio Espasa, 2001) in quanto soggetta al mondo interno del futuro genitore, in un complesso susseguirsi di identificazioni, contro-identificazioni e proiezioni.
Mi piace pensare alla genitorialità come la realizzazione della propria capacità di oltrepassare i confini individuali nel dono di sé all’altro: un dono che trasforma, che espande la vita e l’esistenza a partire dall’accoglienza di un altro essere umano (Anpep, Musi, 2009).
Tuttavia, come recita il Vangelo di Giovanni 12,24-26: “Solo se il seme muore può dare frutto”, così il processo del “diventare genitori” assume la connotazione non solo di espansione del Sé, della coppia, della famiglia, ma anche di rinuncia a una parte di sé stessi, di astensione dalla propria volontà di decidere o di affermare un dominio o un controllo.
La vita quindi si rinnova, nell’espressione della sua potenza umana, grazie a questo complesso paradosso – soddisfazione vs rinuncia – emblema della complessità del nostro essere.
Nello scenario della genitorialità, corpo e mente iniziano un complesso lavoro di creazione biologica e di elaborazione psichica atto a creare una nuova esistenza, che si strutturerà su primarie esperienze ed attaccamenti e che si modellerà, giorno dopo giorno, in continuo scambio con l’ambiente circostante.
Siamo quindi spettatori di un nuovo individuo che si crea, espressione della potenza biologica umana e di un lungo processo psichico, complesso e tutt’altro che lineare, volto a creare una “mente genitoriale”. <<La nascita deve essere intesa nel suo senso biologico, ma, contemporaneamente e con altrettanta forza, come la nascita della psiche del bambino e come la nascita della rappresentazione della psiche del bambino nella psiche dei genitori>> (Carel,1990).
La gravidanza e, ancor prima “l’essere pensati” da qualcuno, rappresenta il primo luogo di determinazione dell’attaccamento e quindi della strutturazione del Sé.
“Tutto quello che voglio è raggiungere e toccare un altro essere umano, non solo con le mani, ma con il cuore”.
Tahereh Mafi
Il costrutto dell’attaccamento prenatale ha origini antiche, già nella cultura faraonica la gravidanza e il parto erano accadimenti considerati “armonici” nella vita di una donna, posti sotto la protezione di divinità, il cui possibile esito negativo andava ascritto ad una sopraggiunta disarmonia e all’interferenza di spiriti maligni. All’interno di uno dei primissimi testi sulla ginecologia e perinatalità, il papiro di Kahun del 1850 a.C., si legge la consapevolezza di quanto la gravidanza fosse un evento bisognoso di un “monitoraggio” e la gestante di attenzioni e cure particolari. Analogamente la cultura greca considerava la gravidanza un momento critico nella vita di una donna, che anche in questo caso doveva essere affidata alla protezione divina. Un interessante aneddoto, che spesso mi ha portato a riflettere, è quello relativo alle prescrizioni da osservare durante il parto, nella fattispecie il travaglio: veniva infatti posta l’attenzione affinché ogni nodo venisse sciolto (ad esempio quello di capelli, vesti o sandali) per evitare che la loro presenza potesse influenzare il feto nascituro, tenendolo “legato” all’interno dell’utero, impedendogli così di uscire dal ventre materno.
Questi pochi esempi mostrano come la letteratura sia piena di antichi rituali e credenze connessi alla gestazione e all’attaccamento prenatale, considerati da sempre eventi fondamentali, legati a processi profondi di cambiamento.
“La Vita comincia là dove comincia lo sguardo”.
Amelié Nothomb
Uno dei primi autori a sistematizzare in letteratura un pensiero prenatale fu lo psicoanalista inglese Bowlby (1969) ritenendo il legame che unisce il bambino alla madre non una conseguenza del soddisfacimento di un bisogno di nutrizione, bensì identificandolo come un bisogno primario, geneticamente determinato, la cui funzione è quella garantire la crescita e la sopravvivenza biologica e psicologica del bambino. Bowlby individuò nella ricerca della vicinanza la manifestazione più esplicita dell’attaccamento.
Mecca Cranley nel 1981 invece coniò per la prima volta il costrutto dell’attaccamento prenatale, definendolo come: <<La misura in cui la donna manifesta comportamenti che rappresentano interazione e coinvolgimento affettivo verso il bambino che attende>> e ne propose un modello multidimensionale di misurazione: la Maternal-Fetal Attachment Scale (MFAS), composta da sei diverse dimensioni volte a misurare aree come la differenziazione tra sé e il feto, l’interazione con il feto, l’attribuzione di caratteristiche al feto, il donarsi, l’assunzione di ruolo e la nidificazione.
Ancora, Winnicott (1956) parlò di Preoccupazione Materna Primaria come quella tendenza della madre, che ha origini già in epoca prenatale intorno all’ottavo mese di gravidanza, ad identificarsi inconsciamente con il feto, con il “bambino atteso”, il “bambino immaginato”. Una condizione per Winnicott: <<Quasi come una malattia che la madre deve sperimentare per poter entrare in sintonia con il bambino e con i suoi bisogni. Un’aumentata sensibilità grazie alla quale la madre riesce ad anticipare i bisogni del figlio, imparando a riconoscere i suoi segnali>>.
Più recentemente Daniel Stern (2000), chiamò “costellazione materna” uno stato mentale, a suo parere nuovo, all’inizio della gravidanza, per cui ogni donna che diventa madre viene a trovarsi in una situazione nuova che orienta i suoi comportamenti e la sua sensibilità, le sue tendenze, i suoi timori e i suoi desideri, rimettendo in gioco le sue fantasie infantili.
Per Bruschweiler-Stern (2017) è importante tenere conto del processo maturativo della donna che affronta una gravidanza e che raggiunge il culmine nell’effettiva dimensione del “diventare madre”. Questa “crisi maturativa” (Bibring, 1991) riguarda lo sviluppo psichico femminile, che prende primariamente forma nel “desiderio” di un figlio. Come scrive Pines (1972), il desiderio di un figlio è presente prima che esista la possibilità fisiologica di crearne uno ed è presagito nel gioco e nella fantasia durante i primi anni dell’infanzia.
Ancora, nel desiderio di un figlio: <<Può prevalere da un lato il bisogno narcisistico di provare che il proprio corpo funziona come quello della madre oppure prevalere la disponibilità ad occuparsi e prendersi cura di un bambino>>”.
È necessario pertanto che contestualmente ad una “gravidanza fisiologica” si possa realizzare una “gravidanza psicologica” (Ferrara Mori, 2008; Ammaniti, 2008) intesa come “un pensare per due” ovvero creare uno spazio mentale, un luogo-tempo destinato a contenere l’idea di un figlio che verrà e l’immagine di sé come madre, del partner come padre e del futuro bambino.
Si parla di genitorialità prenatale (Righetti, 2000) non limitando più solo l’attenzione ai vissuti materni, ma anche a quelli paterni. La paternità prenatale, evocata da un bambino “percepito” e “raccontato”, ha un ruolo determinante già durante la gestazione, contribuendo alla produzione di dinamiche intrapsichiche nel nucleo familiare nascente; anche il padre, insieme alla compagna-madre, contribuisce allo sviluppo nel figlio – non ancora nato – un Io-prenatale (Bion, 1973)che produce proto pensieri, ovvero pensieri preesistenti, sogni e immagini con le quali il bambino si mette in relazione con i genitori.
I nove mesi della gravidanza, quindi, sono un tempo necessario alla maturazione e all’accrescimento fetale, ma anche alla maturazione delle competenze genitoriali che sono alla base del legame madre-figlio/padre figlio.
L’utero non è solo la prima culla per il bambino, ma è anche il suo primo vero mondo
A ventidue giorni dal concepimento il cuore inizia a battere. All’inizio della vita, mamma e bambino iniziano una profonda relazione, frutto di tante forme: il contenimento, la voce, i suoni e i pensieri. Via via che il bambino cresce e i canali comunicativi si sviluppano, il dialogo si evolve in diverse forme di conversazione con la madre e con lei, fin dalla vita intrauterina, vive un’esperienza indispensabile alla sua crescita e al suo sviluppo, cominciando ad esplorare e a conoscere il mondo.
Il primo senso a formarsi è il tatto, sollecitato dall’incontro con il liquido amniotico, il cordone ombelicale e le pareti dell’utero. Il tatto inizia a strutturarsi a sole sette settimane di gestazione. Attraverso la pelle il bambino riconosce il calore, la pressione, il benessere ed il dolore. Il dialogo tra lui e la sua mamma accresce, alimentato dal tocco delle mani, dalle carezze e dai movimenti corporei. È il canale privilegiato nel contatto, nella relazione e nella conoscenza di sé stesso e dell’ambiente.
Se ogni canale sensoriale è capace di attivare un dialogo, allora anche il gusto, attraverso i sapori, parla al bambino prenatale. Ciò che la madre mangia è ciò che il bambino conosce.
Il suo gusto si fonda su queste prime esperienze legate ai sapori conosciuti nella vita intrauterina. Le sue papille gustative si formano a circa otto settimane di gestazione. Dalla dodicesima il bambino comincia a deglutire il liquido amniotico. L’esperienza del sapore e dell’odore del liquido, simile al gusto del latte materno, consentiranno al bambino di riconoscere la madre alla nascita.
Il bambino è immerso in un ambiente sonoro costante, fatto dal battito cardiaco della madre, dal ritmo del suo respiro, dai gorgoglii del sistema digerente, da suoni, rumori e voci provenienti dall’ambiente interno ed esterno. Il contatto uditivo cambia con l’aumentare dell’età gestazionale; tuttavia, dalla ventiquattresima settimana il senso dell’udito del bambino è completo: fra i suoni ciclici e ricorrenti, uno emerge diverso da tutti: la voce della madre. È una voce che c’è e non c’è, raggiunge il bambino attraverso le vibrazioni e si propaga all’interno di tutto il corpo. Viaggiando su vibrazioni diverse anche la voce del padre può essere percepita dal bambino facendogli scoprire frequenze nuove, ma in futuro familiari.
La vista è la funzione sensoriale meno stimolata nel corso della gravidanza, tuttavia, il feto che si trova nell’utero materno non vive nell’oscurità, ma all’interno di una variazione di tonalità luminose e cromatiche, dipendenti dal clima, dalla stagione e dallo stile di vita della madre.
Le palpebre si dischiudono mediamente verso le ventisei settimane, mentre a partire dalla trentesima settimana la funzione visiva si sviluppa, in concomitanza alla capacità di mantenere uno stato di veglia.
A partire dalla trentaduesima settimana di gestazione, infatti, il feto matura diversi stati di comportamento che si alternano in un ciclo sonno-veglia sempre più definito come quello di un neonato. Le nuove tecnologie permettono di comprendere se il piccolo è sveglio o dorme, se il suo sonno è profondo o addirittura se sta sognando. Il feto è in grado di effettuare movimenti spontanei fin dalle prime sei/sette settimane di vita, anche se, è a partire dalla sedicesima settimana che la madre inizia a percepirli, prima come un battito d’ali e poi come veri e propri colpetti. Quando i genitori cominciano a rispondere ai suoi movimenti, inizia un dialogo corporeo e affettivo, preludio del futuro legame d’amore.
<<Un bambino non può esistere da solo, ma è essenzialmente parte di una relazione … la cosa importante è che – Io sono – non significa nulla, se non c’è il presupposto che Io all’inizio sono insieme ad un altro essere umano>> (Winnicott, 1964).
È durato un attimo, tutto mi manca di te e di noi (dedicato a tutte le famiglie conosciute in Terapia Intensiva Neonatale)
Non tutti i genitori hanno la fortuna di vivere un’esperienza prenatale appagante. Quando l’attesa si interrompe, perché la nascita avviene prematuramente, l’attaccamento prenatale si configura come un complesso groviglio di dinamiche intrapsichiche, fatte di dolore, di preoccupazione, di ambivalenze affettive e strategie difensive. La nascita pretermine, interrompe bruscamente il progetto gestazionale della coppia, sconvolgendone le attese e le aspettative. Spesso la nascita pretermine avviene in condizioni di estrema urgenza e malattia materna e il primo incontro con il proprio bambino è posticipato rispetto a quanto avviene normalmente. Il processo del bonding (quel periodo sensibile immediatamente conseguente la nascita, evocato da istinti primordiali nella madre e nel bambino e che rappresenta l’inizio di un legame d’amore) non è possibile, poiché è necessario immediatamente dopo il parto l’intervento dell’équipe medica. I genitori pertanto rivedono il proprio bambino direttamente nella realtà ospedaliera della Terapia Intensiva Neonatale, all’interno di un incubatore e avvolto da fili e apparecchi necessari alla sua sopravvivenza, circondato da monitor e persone sconosciute. Il vetro dell’incubatrice è un ostacolo all’interazione fisica e affettiva tra il genitore e il suo bambino, ma, al contempo, è un elemento salvifico, date le condizioni di estrema fragilità del piccolo. L’impatto con questa realtà inaspettata può essere sconvolgente e spesso la dissociazione è il meccanismo di difesa più evidente durante le consultazioni perinatali. Ansia e depressione possono raggiungere livelli molto elevati e prolungati nel tempo ed è molto alta l’incidenza di disturbi post-traumatici da stress (PTSD).
I genitori vivono la loro genitorialità in uno stato di precarietà ed incertezza, viene quindi sospesa la progettualità, l’investimento affettivo e psichico verso il figlio. L’unica dimensione psichica possibile è quella del presente, connotata da angosce di morte e di paura. È necessario operare una ristrutturazione graduale della propria genitorialità psichica, che sarà diversa da quella costruita durante la gravidanza (Pancer et al, 2000). Per permettere una riparazione della genitorialità, i genitori hanno bisogno di adeguato supporto e cura da parte degli specialisti che lavorano nella perinatalità, nella profonda convinzione che tutelare tutti i processi di attaccamento rappresenti un investimento di cura e una sfida per tutto il mondo sanitario.
Allo stesso modo, la morte perinatale è un accadimento estremamente traumatico nella vita dei genitori. Saper accogliere questo tipo di dolore, in faticose, ma fondamentali “buone prassi” ospedaliere è importantissimo, così come poter dare voce e contenimento alle paure dei genitori, ai sensi di colpa e ai profondi interrogativi che tanto caratterizzano questo evento.
Raccogliere con la famiglia degli oggetti significativi del loro bambino è una delle azioni più importanti, il cui senso è proprio quello di “contenere”, non solo oggetti, ma attimi, momenti, ricordi, amore. Fondamentale è anche dare la possibilità ai genitori di tenere in braccio il loro bambino, sostenendoli in questo momento così intenso emotivamente, magari offrendo loro anche uno spazio più appartato, dove poter trovare intimità e magari poter far entrare altri familiari. Il pensare psicologico fa da cornice a tutto l’agire. Riparare un processo genitoriale in formazione è molto difficile, ma estremamente affascinante. Se si parte dall’assunto che la qualità del coinvolgimento affettivo perinatale influisce sui processi della gravidanza, del parto e sulla successiva relazione di attaccamento tra genitori e bambino, nonché sullo sviluppo psichico dello stesso, è inevitabile non ammettere quanto sia importante lavorare sui primi legami, soprattutto in condizioni di fragilità, già preesistenti o sopravvenute. La prevenzione che si mette in pratica è spesso palpabile e rende quindi salda la cornice di riferimento del proprio operato.
Concludo, condividendo brevemente uno dei casi clinici più complessi mai avuti in carico, emblematico in relazione a questo articolo. Ho conosciuto per la prima volta Lara e Marco, giovani genitori napoletani, presso l’Unità di Medicina Fetale e Perinatale dell’ospedale, durante uno dei tanti ricoveri a cui Lara è stata sottoposta durante la sua gravidanza gemellare. La coppia, pochi mesi dopo l’inizio della gestazione, ha scoperto la TTTS (Twin-to-twin transfusion syndrome), ovvero la sindrome da trasfusione feto-fetale, una severa complicazione che colpisce gemelli identici che condividono la stessa placenta e che, per questo, sono definiti “gemelli monocoriali”. La placenta monocoriale, nelle donne portatrici di questa sindrome gravidica, possiede molte connessioni vascolari che mettono in comunicazione le circolazioni dei due feti. Generalmente questo sistema di interscambio ematico è in equilibrio, ma in alcuni casi, invece, il sistema si sbilancia e viene favorito il passaggio di sangue da un gemello (che viene chiamato donatore) all’altro (che viene chiamato ricevente). Il verificarsi di questa sindrome può comportare, innanzitutto, un maggior rischio di parto pretermine, ma altrettanto importante può creare uno sbilanciamento tra il feto “ricevente”, che va incontro ad un aumento del volume sanguigno, con possibili complicazioni a livello cardiocircolatorio e il feto “donatore” che, d’altro canto, venendosi a trovare con una quantità inferiore di sangue, può andare incontro ad una riduzione del suo accrescimento, anche molto grave.
Lara si sottopone alle cure specifiche per questa patologia (intervento di laser coagulazione in fetoscopia), ma purtroppo uno dei due bambini muore (evento piuttosto comune in questa sindrome). Nonostante Marco e Lara fossero stati ampiamente preparati a questa eventualità dal personale medico, quest’ultima “sente la morte dentro” passando molti giorni a seguire in pieno stato dissociativo. I “bambini immaginati” (Lebovici, 1989), oggetti di proiezioni e fantasie genitoriali, diventano parzialmente i “bambini reali”, in quanto non ancora nati, ma uno dei due già non più vivo, soggetti quindi ad ulteriori elaborazioni, vissuti, investimenti affettivi, in profondi e disperati grovigli emotivi.
Ciò che di più impensabile può caratterizzare una gravidanza, ovvero la contemporaneità dell’avere dentro di sé “la Morte e la Vita”, è ciò che ha accompagnato ogni seduta con Lara e Marco. Dario e Leonardo (i nomi dei due bambini) sono sempre stati presenti come “terzi” nel setting psicoterapico. Il lavoro sul lutto svolto con i genitori, attraverso la visione delle ecografie e i ricordi della gestazione di “quel bimbo” – Leonardo – veniva accompagnato quotidianamente dalla forza vitale “dell’altro” – Dario – che, pieno di energia, richiamava l’attenzione della sua mamma e del suo papà alla sua presenza. Le tante sedute svolte con Lara e Marco hanno permesso alla coppia di arrivare “sufficientemente pronti” al momento del parto, che ancora oggi fatico a descrivere, per la portata emotiva che ebbe per chiunque fosse accanto a loro quel giorno. Aver fornito a questa coppia uno spazio dove poter affrontare subito il trauma penso abbia preservato in loro, non del tutto, ma almeno in parte, un progetto di genitorialità – in divenire – e abbia protetto il legame di attaccamento di Lara e Marco con entrambi i loro figli e il destino delle loro piccole vite.
Sostenere Lara, nel profondo lavoro di ricostruzione del suo Sé materno – così messo a dura prova – le ha permesso di rivedersi come madre, capace di prendersi cura di suo figlio; supportare Marco, e poi la coppia, ha contribuito, in uno dei momenti più tragici delle loro vite e grazie all’incredibile fiducia di entrambi nei confronti dell’altro, a rafforzare la loro unione, e a non lasciare che il dolore potesse separarli o allontanarli.
BIBLIOGRAFIA
Ammaniti M. (2008), Pensare per due. Nella mente delle madri. Laterza, Bari.
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Anpep, Editoriale. Rivista di Psicologia e di Educazione Prenatale.
Bion, W. (1962), Apprendere dall’esperienza. Armando Editore
Bion, W. (1973), Trasformazioni. Armando Editore, Roma.
Brazelton, T.B, Cramer G.B., (1991), Il primo legame. Sperling&Kupfer
Bruschweiler-Stern (2017), Nascita di una madre. Come l’esperienza della maternità cambia una donna. Mondadori Ed.
Ferrara, G.M. (2008), Un tempo per la maternità interiore. Gli albori della relazione madre-bambino. Borla Ed.
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Imbasciati, A., Dabrassi F., Cena L. (2007), Psicologia clinica perinatale. Piccin, Padova.
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“Le cure palliative nel neonato terminale” redatto dal Gruppo di studio “Analgesia e Sedazione nel Neonato” della Società italiana di Neonatologia.
Negri, R. (2004), Il neonato in Terapia Intensiva Neonatale. Raffaello Cortina Editore
Palacio Espasa, F. (2001), Scenari della genitorialità. Raffaello Cortina Editore
Righetti, P.L. (2000), Non c’è due senza tre. Le emozioni dell’attesa dalla genitorialità alla prenatalità. Ed. Bollati Boringhieri
Stern, D. (2000), Nascita di una madre. Mondadori Editore
Stern, D. (1998), Le interazioni madre-bambino. Raffaello Cortina Editore
Winnicott, D.W. (1958), La preoccupazione materna primaria – In Dalla Pediatria alla Psicoanalisi, Firenze, Ed. Martinelli
Winnicott, D.W. (1987), I bambini e le loro madri. Raffaello Cortina Editore
* Alessandra Pagni: Psicoterapeuta e psicologa clinica perinatale