La rabbia degli adolescenti va in scena. Le nuove forme ai tempi del Covid-19

“Terribile è l’ira e difficile calmarsi
quando i congiunti
muovono guerra
ai congiunti”
Euripide

                                                                                                                                                  

Le generazioni corrono veloci e così le loro narrazioni. Se per passare da una generazione all’altra ci sono voluti circa vent’anni  (Rosina  2018), le cosiddette generazioni “Z” mutano con un ritmo che impone una rimodulazione continua per chi ha la presunzione di riuscire a tenere il fiato.

La storia recentissima della pandemia ha mostrato in maniera mirabile la velocità dei cambiamenti adolescenziali così come la loro descrizione. Si è passati dall’elogio alla maturità dell’accettazione del lock down (Pellai 2021), all’ indicazione degli stessi eroi come responsabile dell’aggravamento della situazione pandemica del settembre 2020, al considerarli nuovamente vittime della Dad e ad indicarli come irragionevoli nel volersi vaccinare perché mossi solamente dal desiderio di divertirsi. Quando si parla di adolescenza è evidente come l’essenza stessa dell’adolescenza rimanga nascosta, sconosciuta, inafferrabile.

“Quando mio padre dice che anche lui e stato ragazzo, lo prenderei a cartelle sul naso. Ma che ne sa? Ma soprattutto chissenefrega. Non mi interessa che capisca perché anche lui è stato ragazzo, non mi interessa perché riporta comunque a lui. A lui e basta. Non mi interessa proprio. Vorrei che mi capisse su di me non attraverso lui. E’ chiaro o no?”

Tuttavia l’attenzione dei clinici è stata attirata da due manifestazioni di sofferenza e di disagio che hanno caratterizzato l’evoluzione stessa del ciclo pandemico: in un primo momento, a partire dalla grande illusione di aver superato  la fase critica (settembre 2020), le richieste di aiuto riguardavo la difficoltà dei ragazzi a riconnettersi socialmente nel mondo reale a vantaggio di quello virtuale: superficialmente definiti “hikikomori” come se la realtà e la cultura giapponese potessero sovrapporsi a quella italiana, insomma i ritirati sociali per lo più afflitti da ansia sociale e relative fobie.

 “Sto nella mia camera e mi basta, non voglio vedere nessuno, mi stanno tutti sul cazzo, non voglio mangiare nemmeno con loro, mi da fastidio solamente guardarli in faccia. Mi rompono non capiscono che sto bene così con le mie cose.”

 A partire dal mese di febbraio 2021, quando la realtà delle nuove chiusure e privazioni era diventata la nuova normalità, hanno cominciato a modificarsi le richieste di aiuto nella direzione di trattare una rabbia manifesta, incontenibile ed incomprensibile agli occhi degli adulti.

La rabbia degli adolescenti è diventata il focus su cui i media hanno sviluppato l’attenzione.

Ma la rabbia è innanzitutto un’emozione. Ed è un’emozione elicitata quando si ha la sensazione percepita di essere vittime di un torto, di una ingiustizia. Può sfociare in comportamenti violenti ed aggressivi ma di suo ha una funzione adattativa circoscritta. Pur essendo un’emozione di base universalmente riconosciuta, mantiene una espressività del tutto personale.

Considerando l’innesco derivato dal senso di ingiustizia cognitivamente elaborato, come stupirsi ancora della rabbia intensa provata dagli adolescenti negli ultimi mesi. Quanto sono stati vittime di interpretazioni, giudizi, ma altresì al centro di una confusione e contraddizione che appartiene al mondo adulto quotidiano?

Ma la rabbia che avanza ci racconta qualche cosa d’altro. Non è più la manifestazione di collera, di furore che conosciamo e che riconosciamo: è qualche cosa di diverso. E’ come se tutti i mesi passati rinchiusi in casa, di fronte ad uno schermo, li avessero passati ad allenarsi, spiando le mosse, i gesti di influncer, di personaggi iconici, di videogiochi. E’ una rabbia scenografica, quasi coreografica che spaventa perché diversa, recitata, de-umanizzata.

“Io sono arrabbiato. Mi parte da dentro un fuoco che gira attorno alla ombelico da dentro e arriva alla testa che esplode, sento caldo, un maledetto caldo e le mani esplodono pure loro. 
Sto imparando a trattenere fino a colpire un cassonetto e non una faccia oppure una porta invece di uno stomaco. Sto imparando ma intanto i vicini si lamentano dei cassonetti della spazzatura sfondati. La mia rabbia scappa subito alle gambe e calcio con forza e sollevo le sedie e alzo il tavolo. Quello della sala è di legno leggero. Robetta di Ikea che si spacca di niente.”

“Anche i miei amici fanno così. Luca ha dato un pugno sul muro di cartongesso e ha sfondato la cameretta di suo fratello piccolo che si e messo a piangere forte spaventato. 
Ha fatto il video del nano che piange e di sua madre che urla di chiudere il cellulare. 
Io mio fratello non l’ ho mai toccato però in questi mesi mi sono incazzato davvero con tutti. Con così tante persone che ormai non riconosco nemmeno più i motivi.“

“La nostra epoca è contrassegnata da una accentuazione degli aspetti narcisistici che si costituiscono a spese dell’ideale dell’Io che si atrofizza e scompare” ( Francesconi 2001).

Si costruisce una sorta di corazza narcisistica che non può, per definizione, considerare l’altro da sé. Per questo motivo siamo lontani dalle teoria del “social learning”, ossia dell’apprendimento in un contesto sociale, di Bandura; il fenomeno è totalmente diverso perché manca l’interazione oggettuale, ciò che interessa è una sorta di pubblico passivo nell’interagire ma attivo nel guardare.

E il web permette  a tutti di esprimere parti di sé che non vengono mostrate nella vita reale. Viene alla mente quell’ “identità a palinsesto”, determinata dall’osservazione di modelli mutuati dai mass media, volatili più che liquidi, studiati da Bauman (Bauman 2009). Tanto più che l’osmosi che si respira dalla cosiddetta realtà virtuale, è fatta per lo più  di immagini, di impressioni, di sensazione e sempre meno di parole. E le parole veicolano i pensieri, la capacità di simbolizzare, di utilizzare un pensiero meno concreto e più basato sul ragionamento deduttivo. Gli adolescenti ci parlano attraverso gesti, pose che facciamo fatica ad interpretare perché manca l’aspetto dialogico: è come se recitassero un monologo interiore ad uso e consumo del mondo che li circonda.

“E la rabbia allora mi fa stare così male che mi fa male e mi fa così male che piango.
Dopo che ho pianto la rabbia passa, ma se guardo a quello che ho distrutto mi sento una merda. Allora mi arrabbio con me stesso.  Non finisce mai perché più mi agito più mi si bloccano le parole. E non so cosa dire. Perché non ho frasi per descrivere a mia madre o mio padre o i miei fratelli che cosa sento. So che se iniziassi a dire qualcosa partirebbero gli insulti. Mi fa male quando mi insultano. Tutti mi insultano. Dalla prof che dice che sono scansafatiche a mio padre che mi dice che sono un coglione che dovrei farmi più furbo, a mia madre che dice che sono immaturo e poco adulto e poco responsabile. Una volta mi ha detto bastardo. Le ho riso in faccia e poi l’ ho insultata anche io. La mia amica  Giulia ha tirato una scarpa a sua madre. Ha postato la foto perché la scarpa è finita dritta dritta nel lavandino. Un sacco di mi piace …perché l’acqua è schizzata addosso alla mamma di Giulia.”

Ed è evidente la correità del web che ha determinato una continua erosione dei contenuti verbali a vantaggio dei comportamenti socializzati, condivisi che fuggono dalla simbolizzazione e quindi dal pensiero stesso.
Anche il suicidio o il tentativo non sfugge a questa regola: gli adolescenti, per definizione hanno familiarità con pratiche a rischio anche estreme, pensano attivamente al suicidio a tal punto che viene considerato il pensiero stesso un indicatore di normalità nello sviluppo evolutivo adolescenziale ( Ladame 2014 )
Quando purtroppo il tentativo riesce assomiglia ad una sorta di uscita di scena, una specie di abbandono del palcoscenico della vita. Scrivono, lasciano lunghe  lettere  in cui spiegano le ragioni del loro gesto quasi ad essere certi che tutto sia chiaro, che niente sia lasciato al caso. Gli analisti segnalano da tempo un incremento dei suicidi tra gli adolescenti a seguito della pandemia (Vicari  2021 ) ma quello che tralasciano è la modalità con cui avviene, spesso spettacolare e “pubblica”,  in luoghi frequentati e ben visibili. Fino a qualche tempo fa il suicidio o il tentativo era caratterizzato dall’impulsività, dal rapido passaggio all’atto ( Marcelli-Braconnier 1984 ) oggi è una lenta preparazione, quasi ritualistica, narcisisticamente cullata.

“Morire non mi basta: mi manca l’aria ed ho un pugno nello stomaco perché è come se fossi lasciato indietro sulla mia bicicletta mentre i miei amici non li vedo più…dopo il primo sentimento di paura nell’essere lasciato solo nel bosco con la bici incagliata nel fango, questo svanisce subito ora che sono più adulto e mi soffermo a guardami intorno:  alberi e sentieri che sento di non poter percorrere…cerco approvazione in un cambio di vita che non lo prevede…vorrei allora sentirmi dire: “non ti capisco, non capisco però fallo pure, rispetto la tua scelta”.

E’ sempre quindi  più suggestivo  il richiamo al concetto di “Suicidosi” (Racamier1986), laddove la volontà di morte diventa inevitabile per contrapporsi alla “nonvita”, alla difficoltà di adattarsi ad un ambiente incomprensibile: la contraddizione è data dalla necessità di mettere in atto un gesto estremo per poter andare avanti ed ecco che il narcisismo trionfa e l’opera del suicida diventa quasi “una sorta di creatività artistica, in cui l’idea del bello serve da maschera all’orrido” (Ladame 2014), relegando quindi l’ adolescente ad un nuovo paradosso, l’ennesimo.

BIBLIOGRAFIA

Bauman Z., (2009) Intervista sull’identità ed. Laterza

Francesconi M., (2001) Adolescenti: cultura del rischio ed etica dei limiti, ed. Franco Angeli

Ladame F., (2014) Il pensiero di François Ladame sull’adolescenza, ed. FrancoAngeli

Marcelli D.-Braconnier A., (1984) Psicopatologia dell’adolescente, ed. Masson

Pellai A. (2021)  https://www.repubblica.it/salute/2021/05/25/

Racamier P.; (1986) Il lavoro incerto ovvero la psicodinamica del processo di crisi, ed. Cerp

Rosina A., (2018) Il futuro non invecchia, ed. VP

Vicari S., (2021) https://www.psycare.it/covid-19 2021

*Margherita Dolcino, psicoterapeuta. Si occupa di problematiche legate alla dipendenza e di adolescenza

*Nicoletta Vaccamorta, pedagogista e danzaterapeuta è autrice e attrice della Compagnia Filò

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