Qualsiasi prodotto intellettuale, si sovrappone alla realtà, la ricostruisce e la interpreta in modo più o meno verosimile (Berger e Luckmann 1997).
La scrittura del pensiero è da sempre servita, sul versante dello sviluppo, per sintetizzare il sapere e permettere il progresso scientifico: “Sono salito sulle spalle dei giganti” diceva lo scienziato Newton. Contemporaneamente i conquistatori e governanti hanno usato la produzione intellettuale per definire e influenzare la cultura e la memoria, spesso distruggendo o screditando quella precedente.
Dalla Biblioteca di Ninive in poi, chiunque si sia avvicendato per la supremazia di un territorio e di un popolo o per una nuova ideologia, ha portato avanti una lotta per l’affermazione e la diffusione dei propri contenuti e la distruzione della memoria passata: “Non c’è stato regime, ideologia e religione immune da questa ossessione distruttiva. Hanno bruciato libri i reazionari e i rivoluzionari, i seguaci delle tradizioni minacciate e gli adepti di nuovi culti ansiosi di cancellare i vecchi, le inquisizioni cattoliche e le ortodossie ebraiche, i califfi islamici e i pastori protestanti, i nazisti e i comunisti ma anche le democrazie liberali, almeno in certe loro periferie ideologiche. Sono stati bruciati i libri degli illuministi e subito dopo quelli dei nemici della Rivoluzione francese. Nel Novecento totalitarismi diversi hanno applicato la stessa radicale cura del fuoco che è affiorata perfino nella più nobile delle lotte, quella contro l’ apartheid” (Baez, 2004)
Questo aspetto umano di Eros e Thanatos nella costruzione e distruzione dell’informazione è uno dei vertici osservativi del nostro percorso verso la complessità che attraversa la libertà informativa nell’epoca dell’eccesso di contenuti.
La storia dell’uomo sembra averci insegnato l’idea che chi detiene la possibilità di cristallizzare il pensiero e di diffonderlo detiene il potere di influenzare, controllare, “manipolare” la visione della realtà di chi legge o ascolta. Aumentando quindi la possibilità delle persone di governare i contenuti informativi, sia di produzione che di accesso alle informazioni rilevanti, potrebbe di pari passo migliorare il processo democratico all’interno della società ampliandone le libertà. La questione della libertà e dei diritti umani di espressione e di istruzione è diventata una questione cruciale dal 10 dicembre 1948, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ora, dopo 70 anni, nell’epoca in cui internet rappresenta la massima possibilità di espressione e ricerca, ci stiamo chiedendo se l’accesso alla rete ci renda davvero liberi.
I sociologi della corrente della Social network analisys hanno una visione positiva in merito. I loro studi concentrano l’attenzione sulle caratteristiche dei legami sociali a partire dalla teoria delle reti. L’odierna “network society”, sviluppatasi a partire dal dopoguerra, offre legami più deboli di quelli sperimentati nei gruppi coesi delle comunità precedenti, per lo più rurali, e permette di diversificare le relazioni sociali. Ampliando la quantità e la qualità delle relazioni e delle informazioni, i singoli nodi non assolvono più funzioni globali, ma possono assumere la forma di relazioni parziali e informazioni focalizzate.
Il concetto da loro sviluppato di Networked individualism sembra avvicinarsi alla teoria dell’ individuazione junghiana. “La cultura dell’individualismo proposta non conduce all’isolamento, ma cambia gli schemi della costruzione di socialità. L’esito sociale di questi network è duplice. Da una parte, dal punto di vista di ciascun individuo, il proprio mondo sociale è formato intorno ai propri network, ed evolve con la composizione del network stesso. Dall’altra parte, dal punto di vista del network, la sua configurazione opera come punto di riferimento per ciascuno dei partecipanti. Quando un network è condiviso da un certo numero di membri, esso diventa un gruppo di pari. In altre parole, la socialità basata sui network conduce sia a un network centrato sull’individuo, specifico rispetto a quell’individuo, sia alla formazione di gruppi dei pari, quando il network diventa il contesto di comportamento per i suoi partecipanti” (Castells 2006)
Il networked individualism è quindi un modello di legame sociale in cui le persone funzionano più come individui connessi che come parte di un gruppo coeso e si sarebbe sviluppato a partire da 3 rivoluzioni avvenute nel corso degli ultimi 70 anni: la rivoluzione delle Reti Sociali, di cui abbiamo parlato poc’anzi, la rivoluzione di internet e la rivoluzione della telefonia mobile (Rainie, Wellman 2012).
Questi ultime due rivoluzioni ci riportano al cuore del tema. Con l’avvento della rete l’uomo ha avuto uno spazio impensabile fino a pochi anni fa dove esprimere il proprio potere comunicativo e procurarsi informazioni in modo autonomo. Lo sviluppo della telefonia mobile ha reso queste tecnologie un’appendice del corpo rendendo le informazioni e le relazioni sempre e ovunque accessibili.
A tal proposito Il filosofo Luciano Floridi (2017) teorizza che la nostra vita sia oramai indissolubilmente onlife, e sostiene che l’esistenza umana si dipani all’interno di una realtà sempre più tecnologizzata e informazionale che egli nomina Infosfera.
Siamo, quindi, come evidenzia Wallace (2017) immersi in contesti in cui si svolgono processi psicologici fondamentali, che contribuiscono allo sviluppo delle identità personali e che influenzano le relazioni e la conoscenza umana.
Gli studi della Social network analisys hanno avuto il pregio di dimostrare che un sapiente uso delle ICT all’interno della nuova società promuove, mantiene e rafforza i legami sociali e lo sviluppo dell’individuo. L’accesso alla rete e la capacità di usarla in modo proficuo non sono però egualmente distribuite: età, fattori socioeconomici come il livello di istruzione o il reddito familiare, livello di conoscenza dell’inglese e disabilità generano barriere di accesso. Anche coloro che abitano in aree rurali hanno probabilità molto inferiori, rispetto a chi abita in aree urbane o suburbane, di avere una buona connessione in casa. Il digital divide getta quindi un ingombrante ombra sulla libertà di accesso all’informazione che non possiamo ignorare.
Lasciando per un momento sullo sfondo gli aspetti sociologici e concentrandoci ora sulle implicazioni psicologiche della libertà di scelta, gli studi di Schwartz (2000) sulla tirannia della libertà possono darci spunti di riflessione interessanti. Lo psicologo sottolinea che i gradi di libertà odierni, inimmaginabili fino a poco tempo fa (in USA e Europa) si sono moltiplicati negli ultimi anni. Conquiste sociali che sono motivo di gioia e celebrazione, soprattutto per quelle categorie di persone, per cui il vincolo tradizionale è stato vissuto come doloroso e opprimente. Queste conquiste hanno, nel fragile equilibrio degli opposti, rinforzato d’altro canto l’aspetto enfatico dell’espressione della libertà assoluta, che per paradosso diventa paralizzante, generando incertezza e una grande fatica mentale, nella ricerca della scelta giusta. Lo stesso processo mentale che accompagna una ricerca su internet, aggiungo io. Schwartz suggerisce che la psicologia possa avere un ruolo nel rendere le persone consapevoli della complessità della vita umana fatta non solo di potenzialità di sviluppo, ma anche di limiti e vincoli che definiscono i confini del possibile.
Nel suo saggio Sulla libertà (2019), il giurista ed esperto di modelli economici Cass Sunstein pone l’accento sul fatto che il principale problema delle società complesse sia la navigabilità attraverso le scelte possibili evidenziando un altro paradosso: “Quando la vita diventa difficile le persone sono meno libere anche se, apparentemente, il ventaglio di opzioni che viene loro offerto cresce”. La sua prospettiva propone un modello dove le istituzioni governative supportino le scelte del singolo attraverso nudges cioè spinte gentili verso la scelta migliore per la loro vita (ad esempio verso un’alimentazione più sana, o un’informazione corretta). Questo al fine di rendere maggiormente chiara e accessibile la navigabilità tra le scelte.
Proviamo a trasporre queste riflessioni in merito a libertà di scelta e navigabilità nel contesto di internet. Si calcola che ogni minuto vengano generati 3 quintilioni di byte (Cefriel 2019). Il senso di onnipotenza, nel pensare di avere tra le mani l’accesso al flusso del pensiero umano conscio e inconscio e, contemporaneamente, l’impotenza di non sapere come destreggiarsi in un universo grande come quaranta volte le stelle osservabili in cielo (Cisco 2019) è paralizzante.
Per trovare ciò che cerchiamo abbiamo bisogno di ordine, di suddividere in categorie, di un indice. Quindi a risolvere apparentemente il problema ecco i motori di ricerca. Peccato però che ad oggi a svolgere questo fondamentale ruolo di categorizzazione sono algoritmi sviluppati da aziende private. Per la loro natura commerciale, rispondono parzialmente al mandato “comunitario” di offrire all’utente il risultato che davvero sta cercando, per approfondire la conoscenza e acquisire informazioni valide.
Internet risulta quindi, ad oggi, un luogo privo di un governo e di una direzione che non sia di stampo liberista. Il liberismo sfrenato non è sinonimo di libertà. E’ la terra di nessuno dove domina la legge del più forte economicamente, dove gli utenti più fragili non sono tutelati, ma possono diventare più facilmente vittime. E’ un luogo dove, in nome della più assoluta libertà di espressione si trova tutto e il suo contrario senza nessun criterio di valore condiviso a livello internazionale. Dove ciascuno rischia di vivere in una bolla informativa per una funzione algoritmica che, mentre ci aiuta a non perdere i contenuti trovati in precedenza, impara le nostre preferenze di ricerca e ci propone contenuti simili. Creando una ridondanza che la nostra mente accoglie come conferma delle nostre tesi.
Serve una carta dei diritti dell’uomo su internet. Un codice condiviso dalle nazioni, e un processo più chiaro di certificazione delle fonti. Parallelamente la scuola e le scienze umane possono fare molto per osservare, ricercare, diffondere conoscenza e capacità di vivere la nostra vita onlife in modo sempre più consapevole. Internet ci interroga profondamente sui temi di libertà e democrazia, sulla loro interdipendenza. Come abbiamo visto, nello sviluppo di un nuovo contesto relazionale e informativo, i due concetti non sono sovrapponibili. Il problema della libertà su internet pare suggerire che affinché permanga la democrazia e vengano quindi tutelati i diritti di informazione, istruzione e partecipazione, le libertà individuali in rete debbano essere mantenute dentro i confini di un’etica condivisa. Non posso in conclusione, non citare Churchill: “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora.”
Bibliografia
A.A. V.V. Annual Report: defining the future of the internet. Cisco, 2019
A.A. V.V. Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. ONU Assemblea Generale, 1948
Baez F., Storia universale della distruzione dei libri. Dalle tavolette sumere alla guerra in Iraq. Viella, 2007
Berger P., Luckmann T. La realtà come costruzione sociale. Il Mulino, 1997
Castells M, The Theory of the Network Society. Felix Stalder, 2006
Floridi L., La quarta rivoluzione: Come l’infosfera sta trasformando il mondo. Raffaello Cortina, 2017
Porro D., Quanti dati viaggiano su internet in un minuto? Wired, 2019
Rainie L., Wellman B., Networked. Il nuovo sistema operativo sociale. Guerini Scientifica, 2012
Schwartz, B. (2000). Self-determination: The tyranny of freedom. American Psychologist, 55(1), 79–88. https://doi.org/10.1037/0003-066X.55.1.79
Sunstein C., Sulla Libertà. Einaudi, 2019
Wallace P., La psicologia di internet. Raffaello Cortina, 2017
Anna Pisterzi – Psicologa-psicoterapeuta, docente di Psicologia e Nuove Tecnologie all’Università di Torino
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