Stefano Ratto
Nella Seconda Guerra Mondiale, alla fine della guerra lampo in Polonia, subentrarono lunghi mesi di stasi del conflitto. In Inghilterra, nelle scuole, si facevano costanti esercitazioni in vista delle possibili incursioni aeree. Metti la maschera antigas; togli la maschera antigas; vai nel rifugio antiaereo; esci dal rifugio antiaereo. Gli Inglesi la chiamarono la ‘Guerra Noiosa’ o la ‘Guerra Finta’, i Francesi la ‘Guerra Farsa’, noi Italiani, con il vitalismo che ci piace ostentare, la ‘Guerra dei coriandoli’ perché dal cielo piovevano non bombe ma volantini. Sappiamo lì come andò a finire, la Campagna di Francia, la Battaglia d’Inghilterra, il bombardamento navale di Genova.
Oggi, 9 maggio 2020, a Genova, se la metafora deve essere per forza di guerra, molti stanno combattendo una guerra noiosa, nonostante i comportamenti incauti di alcuni siano una sottile tentazione di ingaggiarne altre. Il Covid è arrivato, ma non ha bastonato come altrove, la Didattica a distanza (d’ora in poi DaD) è stata attivata, ma senza la necessità della gestione di un dolore pietrificante. Gira in rete una bella lettera di una Dirigente scolastica di Bergamo, rilanciata in maniera virale dal personale della scuola, soprattutto nel passaggio che riporto: “Scusate. A me la didattica a distanza si è inceppata, avvitandosi su se stessa dopo un’iniziale e scoppiettante partenza. Non sono stati problemi tecnici a farla implodere, e nemmeno forse quelli legati ai limiti culturali o strumentali di alcune famiglie. E’ stato proprio il virus. Un virus che qua ha falciato nonni, madri e padri in quasi tutte le famiglie dei miei studenti e dei miei docenti”.Non si è mai risaliti all’autrice, nemmeno si è circoscritta la zona da cuipotentemente emerge, pertanto va trattata da fake news. Bella sì, verosimile, pedagogica, ma pur sempre, fino a prova contraria, una fake news: lo esige il metodo, lo esigono i tempi. Non ne ho discusso con gli alunni. Dovesse mai arrivare – speriamo di no – il dolore stringente, la manipolerò con cura.
Io sono l’Animatore digitale del mio istituto, un istituto comprensivo che va dalla quasi culla al motorino; in tempi di guerra, se metafora di guerra deve essere, mi hanno sul campo promosso colonnello della DaD. “Animatore digitale” è locuzione che si è sempre prestata a ironie, a storpiature obbligate: Ri-Animatore digitale, Clown digitale, Infermiere digitale… Figura mai contrattualizzata (sono sempre arrivati, centellinati, fondi per le attività collegate alle azioni, mai per il ruolo in sé), si è negli anni occupata dell’ingresso in aula di strumenti, della formazione dei colleghi, in presenza di bravura o fortuna nei PON perfino di arredi (il “terzo insegnante” secondo Loris Malaguzzi, dopo il docente e il ruolo attivo degli alunni). Nella prassi quotidiana, però, gran rigeneratore di password, perché tutti ne perdono a iosa, colleghi, genitori, alunni.
E’ partita da subito la nostra “macchina da guerra”. Hanno risposto tutti alla chiamata alle armi, persino, in modo commovente, i pensionandi deportati digitali. Non gioiosamente, ma responsabilmente. Non perché siamo bravi nelle emergenze come qualcuno, credendo di farci un complimento, ci riconosce, ma perché siamo stati bravi nella programmazione. Di altro, vero, ma trasferibile. E perché, come sempre va fatto nella scuola, non ci siamo fatti affascinare dallo strumento, bensì tutto è stato incorniciato nel framework pedagogico. Nulla vale come la presenza fisica, ma da subito la DaD fatta bene è stata ‘presenza’. Li abbiamo tirati giù dal letto alle otto del mattino, li abbiamo voluti vestiti e non in pigiama. Perché è presenza, presenza al mondo. Abbiamo preparato fin da subito le verifiche: didattica c’è quando c’è restituzione da parte dell’alunno, quando c’è valutazione (sono solo cambiati gli aggettivi della valutazione, sempre meno sommativa e accertativa, sempre più riflessiva, proattiva, formativa). Intanto intorno a noi, quando si è subodorata la promozione assicurata, tutti a parlare dei danni culturali del 6 politico del Sessantotto, pochi a ricordare, se metafora di guerra deve essere, che questa Italia è stata fatta anche dai ‘promossi di guerra’ della Seconda Guerra Mondiale.
Finalmente addio alla sistematica, addio alla storica. Sono gli approcci che in Letteratura, una delle discipline che insegno, seguono ordinatamente la linea del tempo.
Non vi parlo, alunne e alunni (qualcuno sotto il bombardamento nemico, se metafora di guerra deve essere, ha il tempo di rilevare che dovrei chiamarvi alunn*) della peste del Boccaccio, nemmeno di quella del Manzoni, voglio parlarvi dell’Infinito di Leopardi. Pure lui, per altri motivi certo, in distanziamento sociale, pure lui con verbi di stasi, guardate qui quel ‘sedendo’, quel ‘mirando’ (non vi viene in mente in Inglese il mirror, cioè un guardare per portare dentro a sé l’immagine?) e poi quel “fingo” (voi direste “mi faccio un film”) e che cosa? su che cosa? interminati spazi, profondissima quiete e sovrumani silenzi. A voi, ora, ditemi, riesce?
Al 10 marzo i numeri della nostra secondaria sono confortanti.
Numero alunn* (non capisco l’impellenza dell’asterisco, ma mi adeguo): 530.
Numero alunni (non ce la faccio proprio) non raggiunti dalla didattica a distanza: 3 (0,56%).
Numero alunni parzialmente o saltuariamente raggiunti dalla DaD per problemi tecnici o mancanza di strumenti o condivisione degli strumenti con altri componenti della famiglia: 17 (3,2%). Sulla primaria e sull’infanzia c’è molto più da lavorare. “Quasi” tutti sono stati raggiunti, ma la differenza tra il “quasi” e i “tutti” è una montagna difficile da scalare. La segreteria tempesta i “non-tutti”, il Dirigente scolastico si spoglia dei tablet della scuola, i primi li consegna personalmente, poi attiva, come azione più funzionale, collaborazioni con altre agenzie del territorio.
Parliamo, alunne e alunni, della differenza tra il complemento di compagnia e il comportamento di rapporto. Chi di voi mi fa un Kahoot! per i compagni in proposito? O preferite un Questbase? No, Fabio, qui il ThingLink non è funzionale. Parliamo come all’interno di una bottega artigianale. DaD non è didattica digitale tout court, ma la didattica digitale è più agevolmente trasmigrata sulle necessità del momento. Talvolta faccio ritornare la vita. Lo domando loro a bruciapelo: “Come sono i vostri amori al tempo del Covid?”. Sorridono, divagano, abbozzano. Naturalmente non rispondono. Io avevo difficoltà a parlarne con le dirette interessate, a un prof. figuriamoci. Gli amori non vissuti andranno riportati alla voce ‘danni’ tanto quanto quelli economici. A meno che non siano uscite fuori nel frattempo e poesie e canzoni e scritte originali nottetempo sui muri.
Quello che mi fa impressione nella DaD è entrare nelle loro case. Vedere i libri che hanno sugli scaffali, i quadri o i poster alle pareti, verificare se hanno una scrivania o un ambiente disturbato. Ci ero abituato quando facevo l’educatore territoriale, ma lì si entrava bussando, il permesso era più o meno volontariamente accordato. Io che mal tollero gli sconfinamenti dei genitori nella scuola, che ho fastidio quando la scuola si fa ai giardinetti o al supermercato (per questo ho sempre preferito lavorare fuori dal mio quartiere), che rivendico il ruolo della scuola di segnalare ad altri quando intuisce che qualcosa non va (ci sono troppi bambini in preda a famiglie patologiche, altro che Bibbiano), ecco lì, su quella soglia, anche di una famiglia o fragile o precaria o scompaginata, la scuola si deve arrestare.
Un paio di alunni, messi alle strette, lo confessano: vorrebbero che questa situazione proseguisse all’infinito. Perché tutto arriva senza la fatica dell’incontro o perché hanno acquisito un nuovo ruolo o perché così evitano l’indesiderato. Si inventano persino lavori da poter un giorno fare a distanza. Richiediamo loro tutto ciò che abbiamo sempre rimproverato: chiusura nella stanza, connessione continua, lavoro collaborativo senza dividere la merenda. Anche gli hikikomori da Covid saranno un’emergenza al rientro.
E’ maggio e, come era prevedibile, a noi che siamo in larga parte gente di sinistra, arrivano attacchi da sinistra. Che non abbiamo messo al centro la RELAZIONE, ma senza la DaD non ci sarebbe stato nemmeno il ‘contatto’ e la ‘presenza’. Che non abbiamo messo al centro l’ABBRACCIO, quando dalle medie in su è nei fatti vietato pena l’aver qualcosa di cui scagionarsi. Che istighiamo gli HIKIKOMORI, e invece li limitiamo. Che andiamo avanti incuranti del DIVARIO che si va a creare tra connessi e parzialmente connessi, ignorando che altrimenti si sarebbe decuplicato, quel divario. Che si sarebbe dovuto ATTENDERE, cosa, l’ennesima commissione di saggi? Che ci sarebbe voluta PROGRAMMAZIONE e NON TENTATIVI, cosa, programmazione di una pandemia?
Arrivano attacchi ‘digitali a distanza’ attraverso l’uso massiccio delle stesse piattaforme che non andrebbero bene al mattino per fare scuola, spesso da gente pronta in ogni momento a essere richiamata alle armi, se metafora di guerra deve essere, per un urgente flash mob, dopo il pilates, prima della tisana. Noi che abbiamo lavorato – lo confesso – oggi siamo un po’suscettibili.
Un’alunna aspetta che quasi tutti i compagni si siano disconnessi, poi mi mostra a video la mano novellamente affusolata. Basta un paio di mesi per queste radicali metamorfosi, è questo il miracolo alla loro età.
“Prof., guardi che bell’anello!”
“Ma, Rachele, quella è una vera di fidanzamento. Hai trovato il tempo e il modo di farlo in questa situazione?”
“…mentalmente…”
Ok, soldato Rachele, la più brava in battaglia oggi sei stata tu. Che hai capito che, vita o quarantena, non si cresce solo quando si fanno strappi in avanti, ma anche quando ci si mette disciplinatamente in fila per accogliere il nuovo.
Stefano Ratto: Insegnate di Lettere nelle Scuole medie. Coniuga la didattica digitale con l’amore per i libri– Genova