L’emergenza come espressione di resistenza al cambiamento
a cura di Margherita Dolcino
1 Sembra che l’emergenza Covid abbia rinforzato la cultura riparativa in tutti i campi: sanitario, ambientale e persino informatico. Cosa impedisce alla politica di fare progetti indirizzati al “prendersi cura” piuttosto che rincorrere i fatti con interventi appunto solo riparativi?
Penso ci sia un legame tra sguardo corto della politica e consenso sempre più volatile. Finita l’era dell’appartenenza a un partito, della condivisione piena di un’ideologia, il gradimento dell’elettorato si misura con metodi all’apparenza immediati. I sondaggi, ma anche solo gli indici di gradimento sui social, i cuori, i like, danno l’impressione di poter carpire i desideri e le necessità dei cittadini. Così si costruiscono programmi fatti per acquisire un consenso immediato, senza gettare le basi per proposte più solide. Più si va avanti, più questo meccanismo perverso impoverisce la politica.
2 Il ricorso coatto a chiusura ed isolamento, che sono poi meccanismi psicologici difensivi primari, ha legittimato la ricerca di socialità come bisogno per mantenere la salute mentale intesa come equilibrio individuale ma anche come sistema di assistenza. Quali sensibilità emergono nella classe dirigente politica sulla questione relativa all’ equilibrio psichico individuale?
Ci sono stati dei primi segnali di consapevolezza del problema quest’anno, dopo i primi dodici mesi di lotta al Covid, senza che ci sia stata prima alcuna sorta di previsione o di precauzione su questi temi. Che però restano secondari. Basti pensare alla scarsità di risorse dedicate al potenziamento delle neuropsichiatrie, infantili e non. O agli scarsi fondi dedicati a una pur buona idea come gli psicologi di comunità.
3 Nel tuo bel libro “Che fine hanno fatto i bambini” poni con decisione il problema di legittimare i diritti dei minori e non solo ma in generale di chi non ha voce. Alla luce dell’ampio dibattito che l’uscita del libro stesso ha creato, ti sei fatta una idea del perchè l’Italia e chi la governa non investe nella scuola seriamente?
L’idea che mi sono fatta è che si consideri secondario tutto quello che non riguarda la classe di età che regge il Paese, quindi i 30-40-50-60 o anche settantenni. I più piccoli, i più giovani, sono trattati come cittadini di serie b. Le loro necessità, le esigenze, i bisogni, sono demandati, quasi totalmente appaltati, alle loro famiglie. Questo dà luogo a una dimensione privatistica della crescita di un figlio che produce una doppia stortura: accresce le diseguaglianze, territoriali e sociali. Ma soprattutto inibisce una crescita armonica, piena, anche autonoma dalla propria famiglia di appartenenze. Abbiamo ristretto lo spazio di azione di bambini e ragazzi arrivando all’estremo di chiuderli nella loro stanza davanti a uno schermo, e così facendo impoveriamo la società e deresponsabilizziamo le istituzioni. Che proprio a bambini e ragazzi dovrebbero pensare sempre, dalla costruzione di un quartiere all’inaugurazione di una mostra. Resta solo la scuola, sulla quale non si investe adeguatamente e che ha al suo interno troppe forme di resistenza al cambiamento: quelle che non consentono di adeguare il calendario scolastico alla vita delle famiglie reali, dove le donne lavorano. Quelle che tendono a proteggere perfino gli insegnanti no vax proponendo tamponi gratis o che pensano che per insegnare basti una sanatoria e non una selezione reale su conoscenze e attitudini.
4 Bambini e adolescenti emergenza od urgenza?
Non mi piace ragionare in termini emergenziali, non serve. Quel che serve è invertire l’ordine delle priorità mettendo alla base di ogni politica pubblica quel che serve per infanzia e adolescenza e non rilegando le iniziative per i più giovani tra le cose a piè di lista, quelle che alla fine non si fanno mai.
*Annalisa Cuzzocrea è giornalista politica di “Repubblica”. Ha pubblicato nel marzo 2021 “Che fine hanno fatto i bambini” per la casa editrice Piemme
