Intervista a Don Giulio Mignani: un prete politicamente scorretto?

A cura di Noemi Angelini e Mauro Carosio

Don Giulio Mignani è balzato ai vertici delle cronache proprio mentre stavamo ultimando questo numero di Varchi. Il parroco di Bonassola è stato  sospeso “a Divinis”, dal vescovo di La Spezia, per le sue posizioni “scomode” sull’eutanasia, sull’aborto e sui matrimoni tra le coppie omosessuali. Visto il tema della rivista abbiamo pensato che un suo contributo, quello di un prete che dice cose “scorrette” secondo la dottrina della Chiesa che ha scelto, potrebbe essere interessante. Lo abbiamo incontrato nella sua Bonassola proprio nei giorni dei seminari del Ruolo Terapeutico. Ecco quanto ci ha raccontato

Don Giulio, grazie per aver accettato di fare questa intervista. Dopo quello che è successo vorrei chiederle: lei si sente un sacerdote “politicamente scorretto” o no?

A volte mi sento politicamente scorretto. Credo che dipenda da dove si volge lo sguardo: se lo puntiamo sulla Chiesa come gerarchia mi sento totalmente scorretto, mi è stato dato il mandato di portare fedelmente la dottrina Cristiana e Cattolica, mandato accettato sotto giuramento e che non sempre ho rispettato.

Mi sono sentito come il cavallo di Troia nel senso che sapevo di essere rivestito di un ruolo datomi dalla Chiesa, però internamente lo vivevo in maniera tale da pensare di poter modificare quella realtà. Mantenendo le mie idee e la mia identità, spingendo verso le modifiche che conoscete, sono diventato “distruttivo per la dottrina della Chiesa stessa”.

Dentro di me però c’è comunque l’aspetto della “correttezza” nel senso che la Chiesa non è solo gerarchia, la Chiesa è anche tutto il popolo di Dio. Tutto è nato proprio dall’ascolto dei fedeli, che sono la Chiesa e tutto il corpo dei fedeli: il confronto con questi mi ha fatto percepire un desiderio verso quel cambiamento, quindi in questo senso, mi sento pienamente corretto nel portare avanti questo aspetto.

Ho sempre fatto ricorso al sinodo voluto da Papa Francesco. Gran parte del sinodo ha parlato dell’ascolto e ha richiesto l’ascolto. Ho costruito un questionario dove ponevo determinate domande anche un po’ scomode su questioni come l’aborto, l’eutanasia, le coppie omosessuali, il celibato dei preti e il sacerdozio delle donne; ho visto nascere difficoltà in alcuni fedeli.

Quindi mi sono chiesto se questi desideri di cambiamento fossero semplici zampilli che incontro ogni tanto o se in realtà c’è un fiume carsico che scorre sotto la Chiesa e come Chiesa non ce ne stiamo rendendo conto. Con quel sondaggio è come se avessi voluto dire: cerchiamo di capire cosa c’è davvero sotto; è stato sorprendente leggere le cose che le persone hanno scritto, dato che le domande potevano anche essere motivate, non solo a risposta chiusa. Si è costruito un lavoro stupendo.

Ho creato un dossier che ho consegnato al Vescovo, alla Segreteria generale del Sinodo, e ho spedito a Papa Francesco perché veramente su tanti temi la percentuale di fedeli che desiderano un cambiamento è molto elevata.

Quindi mi sento comunque “corretto”, essendo un Pastore della comunità, ad avanzare queste istanze.

Io ho fatto promessa, è vero.

Un prete anziano il giorno prima della mia ordinazione mi ha detto: “Ricordati che quell’obbedienza non deve essere mai cieca, deve essere sempre secondo coscienza”, per me è stato un insegnamento enorme. Io mi sento corretto a continuare ad ascoltare il Cardinale Newman quando diceva che la coscienza è il primo vicario di Cristo.

Come si sente a livello emotivo, psicologico e morale al di là della solidarietà espressa da molti?

Diciamo che ho passato e passo momenti e sentimenti contrastanti. A volte mi assale un senso di fallimento. Guardo a quello che ho anche perso avendo fatto una determinata scelta.  Sono diventato prete a 23 anni, abbastanza giovane, avendo percorso altre strade in precedenza: ho avuto le mie “simpatie” amorose, un lavoro in banca, stavo studiando all’università di Siena scienze economiche e bancarie, quindi avevo anche una prospettiva di carriera. Sono entrato in una Chiesa che non conoscevo: mio padre, medico, è agnostico, mia madre credente, ma non praticante almeno fino a che non ho preso i voti e mio fratello ateo, per dire che in famiglia non eravamo inseriti in nessuna comunità ecclesiastica.

Adesso che il mio percorso si è interrotto, penso che ho donato alla Chiesa 29 anni della mia vita, dai 23 anni ai 52, un lasso di tempo importante, perché è il momento in cui puoi formarti una famiglia, inserirti nel mondo del lavoro e altro. Ora la Chiesa mi dice che così come sono non vado bene.  Mi viene da pensare a quello che ho lasciato.

Poi cambio prospettiva, sapevo che avrei fatto questa fine e penso che rifarei tutto esattamente così, perché sento che quello che sono oggi è frutto di questi passi che se non l’avessi fatto non sarei il Giulio che sono adesso.  E il Giulio di oggi mi piace.

Questa è una cosa bellissima, nel fallimento ha ritrovato sé stesso, ha finalmente trovato il Giulio che le piace

Si, tutte quelle scelte hanno portato ad oggi, rifarei tutto.

Inoltre questo cammino mi ha permesso di conoscere persone stupende con cui ho condiviso battaglie e che hanno contribuito alla formazione di Giulio oggi.

Già cinque anni fa io avevo le valigie pronte per andarmene, ne avevo parlato anche alla mia famiglia perché mi sentivo quel cavallo di Troia, non avevo lo sguardo sui fedeli ma solo sulla gerarchia, quindi se avessi lasciato all’ epoca mi sarei perso tutto il bello e il positivo della vicenda.

Quale è la domanda che nessuno le ha fatto e alla quale sarebbe importante rispondere? Cosa vorrebbe dire che non ha ancora detto?

Una cosa che ho a cuore è la “Giornata del rispetto di ogni spiritualità”, che ho pensato e messo in atto qui a Bonassola. Se sapessi che quella giornata diventasse “mondiale” morirei felice.

Da 4 anni la prima domenica di settembre facciamo la giornata del rispetto di ogni spiritualità, con uno specifico messaggio: ci si ritrova, cattolici, buddisti, ebrei, agnostici, atei e altri. È una giornata semplice, stiamo seduti 15 minuti in silenzio, uno accanto all’ altro, il messaggio centrale è proprio una dichiarazione di intenti dove asseriamo che nessuno di noi possiede la verità.

Riconosciamo che c’è una dimensione spirituale che ognuno di noi cerca di nutrire, ma che ognuno nutre in maniera diversa; in quei 15 minuti ciascuno di noi si mette in contatto con la propria spiritualità nel rispetto dell’altro.

Il fatto che dichiariamo che nessuno di noi possiede la verità permette il vero rispetto.

Una persona crede ed è un atto di fede, ma è importante lasciare spazio anche alle posizioni diverse e altrettanto rispettabili.

Il mondo è pieno di violenze di tanti generi perché chi pensa di detenere la verità tenta di imporla all’ altro venendo meno al “rispetto”. Potessi lasciare qualcosa a questo mondo, vorrei lasciare questa giornata.

Inoltre, vorrei mandare un messaggio interno alla Chiesa, per sottolineare il valore delle diversità.

Con la mia sospensione qual è il messaggio che la Chiesa sta mandando? Che siamo una Chiesa omologante. O sei in un certo modo o non c’ è spazio per te. Io invece sostengo che la Chiesa debba essere aperta e inclusiva. L’ho detto anche al vescovo ed in alcune interviste, abbiamo dei preti che sono completamente diversi da me, più legati alla tradizione, e io sono contento che ci siano proprio perché anche nel nostro mondo cattolico, nel popolo di Dio, siamo diversi. Io sono consapevole del fatto che anche alcuni parrocchiani non trovano nutrimento spirituale in me. Bene quindi se esistono sacerdoti in grado di nutrire anche chi non condivide le mie posizioni.

Però vorrei che anche loro fossero contenti della mia esistenza per lo stesso motivo. Il popolo di Dio ha bisogno di trovare nutrimento a secondo della propria spiritualità, se passiamo all’omologazione ci saranno persone che non troveranno nutrimento spirituale da nessuna parte e quindi lasceranno la Chiesa.

L’ho detto anche al vescovo: non so che servizio diamo se siamo tutti uguali e conformi.

Come vede il suo futuro?

Per adesso sono ancora confuso. Attualmente sono sospeso “a Divinis”.

Ho due strade davanti a me: una è quella di rimanere prete, e quindi parte della Chiesa, dedicandomi ad altro, un settore che mi interessa è quello della Caritas. Mi piacerebbe dedicare il mio tempo svolgendo un servizio per le persone che hanno dei bisogni, se il vescovo me lo permette.

L’altra possibilità è la seguente: stando a quello che dicono i vertici della Chiesa dovrei restare zitto, ma io continuerò ad esternare le mie opinioni nella logica del primato della coscienza, quindi potrei essere dimesso dallo stato clericale e non essere più prete.

A quel punto la mia vita prenderà un’altra strada nel mondo.