Gruppi politici che rivendicano la loro radice fascista, l’uso di simboli fascisti o nazisti, centinaia di pagine web dedicate al fascismo e ai suoi meriti: molti filosofi ritengono che questo sia da attribuire, oltre che a deficit di conoscenza, anche al progressivo estraniamento dell’individuo rispetto ad un orizzonte di valori condiviso.
Che fare? Tenendo conto della sfida che pone il digitale, come si può promuovere una conoscenza che sappia ricucire un senso del “noi”? Che promuova il confronto critico con posizioni diverse dalle nostre, aiutandoci a superare la tendenza a cercare informazioni su siti a noi affini con la conseguenza di rafforzarci sempre più nelle nostre convinzioni e chiuderci alla possibilità di nuove visioni?
Siamo oggi all’interno di una trasformazione radicale del rapporto tra individuo e società.
La possibilità per tutti di utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione digitale come pure la globalizzazione planetaria delle conoscenze e dello scambio di informazioni vere e false pongono problemi decisivi per la democrazia: e la pandemia che ha investito con una rapidità incredibile tutto il mondo, dalle grandi metropoli ai più sperduti villaggi dell’Amazzonia e dell’Africa fa comprendere come sia necessaria una profonda riflessione. Non sono quindi soltanto i gruppi estremistici neofascisti che diffondono messaggi di odio e di violenza e di false notizie, anche il mondo della scienza viene colpito da messaggi assurdi e falsi che con la velocità della trasmissione via social colpiscono settori ampi dell’opinione pubblica.
In sostanza si pone il tema del “Diritto alla conoscenza”.
Non mi risulta che nella dichiarazione universale dei diritti umani (ONU) venga considerato anche il “Diritto alla conoscenza” forse perché è insita nella stessa natura umana. Da sempre abbiamo cercato di conoscere e interrogarci – da soli e con gli altri – su noi stessi, sugli altri esseri umani e sul mondo che ci circonda.
Ma il primo interrogativo che mi pongo è questo: la conoscenza oggi ha un “valore” diverso rispetto alla precedente storia dell’umanità? Sembrerebbe di si. Ma perché?
Sia in Italia, ma anche nelle Istituzioni europee e all’ONU si è aperto il confronto non tanto sul diritto alla conoscenza in quanto tale quanto sul diritto alla connessione digitale.
L’accesso a internet può diventare un diritto universale della persona umana? E questo può avvenire nel cuore dell’Africa come nelle steppe della Mongolia?
Stefano Rodotà si è fatto promotore di integrare il testo della Costituzione italiana per introdurre il “diritto di accesso a internet”.
E questo solo per sottolineare che siamo oggi entrati in una nuova fase della storia umana in cui la scienza e la tecnologia offrono scenari nuovi alla conoscenza.
La stessa pandemia da coronavirus pone sfide nuove all’intera umanità e apre la strada ad un confronto nuovo sull’emergenza climatica e ambientale, che non può che essere “conosciuta” e ”vissuta” a livello planetario.
Mi pongo un secondo interrogativo.
Le nuove dimensioni della “conoscenza” spinte dalla rivoluzione digitale offrono possibilità inedite di consumo della “conoscenza” stessa?
L’essere umano, oggi e domani, rischia di venir considerato, solo nella dimensione di consumatore passivo di conoscenza, vissuta sempre più in modo individuale, senza comunicazione con gli altri e con la comunità e quindi con un rapporto fisico ed emotivo inesistente o ridotto ai minimi.
Si aprono, quindi una serie di grandi interrogativi e di possibili opzioni a livello personale e a livello comunitario.
La conoscenza scientifica e tecnologica ha un impatto sempre più forte sulla vita della comunità umana.
Ma è doveroso porre un ulteriore interrogativo: chi produce conoscenza? E quali tipi di conoscenza? E quali conseguenze può avere su segmenti di comunità che sono esterni o del tutto marginali rispetto alla produzione di nuovi contenuti della conoscenza? In particolare di quella scientifica e tecnologica?
Prendiamo il caso dei vaccini anti-covid. L’Italia, ma anche altri grandi Paesi, è rimasta fuori dall’innovazione sui vaccini.
Se parliamo ai giovani di “conoscenza” condividiamo i dubbi, gli interrogativi sulla assoluta necessità di non restare nel ruolo solo passivo di fruitore della conoscenza e dell’innovazione.
A loro spetta il ruolo di “produttori” di conoscenza e innovazione. In sintesi mi sembra che i due temi più rilevanti siano quelli del diritto alla connessione digitale da un lato e dall’altro al ruolo positivo (e non solo di consumatore) nella produzione di conoscenza e innovazione nella società digitale.
Sappiamo che le sta molto a cuore la nascita a Genova di un Polo per lo sviluppo e la ricerca scientifica, che lei ha indicato nella collina degli Erzelli. Perché è importante una collocazione, una concentrazione fisica di tali attività? In che modo scienza, tecnologia e industria possono cooperare?
Anche nella società digitale resta decisivo il ruolo del rapporto “fisico” e diretto tra le persone.
Ma lo stesso smart-working oppure la didattica a distanza non possono essere concepiti come esclusiva forma di comunicazione e di conoscenza.
Non esiste soltanto la necessità di un rapporto diretto tra persone. Esiste anche la necessità che le diverse istituzioni possano trovare forme di rapporto tra realtà differenti. Nel parco Scientifico e Tecnologico degli Erzelli a Genova già adesso operano 2000 persone tra tecnici e ricercatori dell’Istituto italiano di Tecnologia, di grandi aziende tecnologiche, aziende high tech quali Ericsson, Siemens, Esaote, Cisco, Liguria Digitale e altre numerose imprese tecnologiche, start up e il Talent Garden.
Il trasferimento della facoltà di Ingegneria che finalmente dovrebbe diventare operativo nel corso del prossimo triennio, potrà essere un tassello decisivo per la funzionalità dell’intero parco scientifico.
In conclusione proprio l’innovazione digitale esalta la possibilità di rapporti tra istituzioni di formazione superiore, di ricerca, di produzione e di scambio con l’emersione di grandi sinergie facilitate dalla vicinanza e dal diretto contatto.
Quali le sfide affrontate dal settore industriale in questa prospettiva? Che cosa è cambiato dagli anni ’80 ad oggi nei rapporti tra scienza, tecnologia e industria?
Siamo al centro di una pandemia che sta sconvolgendo la vita della nostra comunità e quasi dell’intera umanità. Solo due numeri. Nell’arco di un solo anno si sono ammalati di covid oltre tre milioni di italiani e 100.000 hanno perso la vita.
Questa tragedia avrà un termine. Il progresso scientifico e tecnologico ha accelerato in una misura impensabile la ricerca e la produzione di vaccini e quindi è ipotizzabile che, entro un periodo ragionevole, si possa in qualche modo considerare sconfitto questo terribile morbo.
In questa situazione, che possiamo definire drammatica, i paradigmi sinora esistenti sono completamente saltati. Forse facciamo persino fatica a livello personale e come comunità a renderci conto della gravità e della profondità della crisi in cui ci troviamo, e in cui saremo ancora nei prossimi tempi, anche dopo la cessazione degli effetti sanitari della pandemia.
La definizione da parte della Comunità Europea di un grande progetto “Next Generation EU” incentrato soprattutto sulla rivoluzione climatica, sull’ambiente e sulla rivoluzione digitale dà il senso delle grandi trasformazioni che potranno avvenire nel corso dei prossimi 10 anni in un confronto duro e difficile, sempre più competitivo con due grandi protagonisti mondiali gli Usa e la Cina. L’industria europea e quella italiana devono quindi individuare spazi reali di crescita basati sull’innovazione scientifica e tecnologica.
Si apre quindi uno scenario nuovo con una difficilissima transizione con effetti seri sulla struttura sociale, sul lavoro e sull’occupazione.
In particolare tutte le fragilità esistenti nella nostra società sono allo scoperto e sono esplose. Le disuguaglianze di reddito e di condizione sociale si stanno drammaticamente allargando e l’ascensore sociale è di fatto bloccato. Oggi il nostro Paese deve misurarsi con gravi fenomeni di povertà e di indigenza che investono sia il nord sia il sud del Paese, i nuclei familiari più deboli e fasce sempre più ampie di popolazione giovanile. Tutto questo non ha una valenza solo economica ma investe la cultura, i comportamenti e la vita dei singoli e dell’intera comunità. Sta cambiando la cultura prevalente, si rischia una tendenziale regressività individuale e di comunità delle prospettive future.
In modo particolare il mondo giovanile, soprattutto le parti più fragili, sta subendo gli effetti negativi della forte riduzione dei rapporti personali e di gruppo soprattutto nella scuola. E gli psicologi riscontrano negli adolescenti senso di smarrimento, confusione, fragilità e un aumento dei disturbi somatici e dei comportamenti lesivi contro gli altri e contro se stessi.
Al di là della ricaduta economica nel territorio, possiamo ritenere che l’iniziativa del Parco Scientifico e Tecnologico degli Erzelli potrebbe avere una ricaduta culturale sul territorio e sulla nostra città?
A mio giudizio può essere rilevante individuare il ruolo delle nuove tecnologie digitali come strumento di promozione individuale e sociale. Genova è un contesto potenzialmente favorevole ad un utilizzo (che non sia soltanto consumistico), delle nuove tecnologie informatiche e digitali. Abbiamo istituzioni formative e universitarie, abbiamo centri di ricerca di eccellenza e un tessuto significativo di imprese dedicate all’hardware e al software digitale. Vi sono quindi campi applicativi delle tecnologie digitali molto ampi che investono il settore marittimo portuale, l’industria manifatturiera e il grande e variegato mondo dei servizi e le stesse istituzioni pubbliche. E tutto ciò è in coerenza con le linee proposte dalla Comunità Europea nel progetto di Next generation EU. Vi sono quindi potenzialità di crescita occupazionale soprattutto per le nuove generazioni “digitali”.
Genova accanto alla sua tradizionale struttura sociale ed economica legata al mondo marittimo e navale può avere un futuro importante, soprattutto per l’occupazione delle nuove generazioni, nel crescente e variegato mondo delle nuove tecnologie dell’informatica dell’elettronica e del digitale.
Certo è una sfida che va perseguita con grande coraggio e determinazione.
Il futuro è tutto da scrivere e certamente sarà scritto dal digitale ma spetta a noi tutti di non perdere il valore della persona e della comunità.
Carlo Castellano è imprenditore – Presidente ALPIM (Associazione Ligure per i minori), fondatore di ESAOTE (azienda leader nelle tecnologie diagnostiche medicali), fondatore di Genova High Tech (Parco Scientifico e Tecnologico di Genova), vittima nel 1977 di un attentato delle Brigate Rosse.