I mostri

Nicola Spinosi

Abito a Firenze, sono pensionato, ex docente universitario di materia psi, ex psicoterapeuta, passo otto nove ore delle mie giornate, dal lunedì al venerdì compreso, in uno studio che si trova a circa un chilometro e mezzo da casa mia, dove scrivo, traduco e leggo in libertà ciò che, quando ero operativo come “accademico”, per ovvi motivi non mi era pienamente possibile. Esco presto al mattino di casa, vado allo studio, verso le 11 faccio un giro a piedi, torno in studio, riprendo il “lavoro” dopo aver mangiato qualcosa – sempre poi ci scappa un sonnellino, e nel pomeriggio riprendo l’attività. Attorno alle 17 eccomi in strada per casa mia. Ebbene, durante il periodo di clausura non ho cambiato di una virgola le mie giornate. Nessuna autorità mi ha mai “fermato”. Certo, evitavo di passeggiare nei pressi di sedi delle varie polizie. Il sabato e la domenica sono sempre, tempo atmosferico permettendo, uscito per fare una passeggiata oppure per guidare l’auto attraverso le colline che circondano a est, a sud, a nord, la città. Quando ciò è divenuto rischioso (blocchi, domande, “autocertificazioni”, multe eccetera) ho sostituito i transiti collinari con quelli urbani. Quest’ultima pratica mi ha consentito di vedere l’effetto strano, ma non del tutto infame, che sulla città ha avuto la realizzazione di due linee della cosiddetta tram-via, fin lì a me del tutto ignota. Mi ha consentito altresì di apprezzare la differenza che c’è tra il guidare cui siamo abituati e quello nuovo, nel vuoto. Sia a piedi sia in auto vedevo combinazioni “estetiche” di paesaggio urbano del tutto insolite.

La clausura mi ha impedito dunque di spostarmi in auto tra le colline. È vero, ho pensato di rifilare alle eventuali forze dell’ordine inquisitorie la storia di un mio desiderio di recarmi al santuario di Monte Senario, bellissimo luogo tra i boschi, ma ho evitato di mettere in pratica tale progetto per non incorrere in dibattiti che mi avrebbero scoperto ghignante. Che altro mi ha impedito la clausura? Di “vedere” qualche persona che avrei desiderato per vari motivi. Altro comune, altra provincia, igiene & sanità.

In strada a piedi presto mi sono accorto che diverse persone, tra le poche che incontravo, si e mi scansavano in modo che non posso fare a meno di giudicare sfrontato, oltre che stupido. Io non mi scansavo né scansavo alcuno.

Poi è arrivato l’obbligo delle “mascherine” cui ho dovuto adattarmi non perché io ci creda, ma per non dovermi trovare a discutere. In una piazza qui vicina, intitolata all’autore del libro Dei delitti e delle pene, una signora piuttosto anziana e scarnita – ci stavamo incrociando in uno stretto passaggio transennato per motivi di scavi – si è fermata e si è addossata alla transenna. “Ma cosa fa?” – le ho chiesto. “Cosa fa lei?” – ha risposto, “tra un po’ mi si strofina addosso!” “Ma mi faccia il piacere!” – le ho detto, al che lei, mentre già mi ero allontanato, ha emesso quanto segue: “lei se la merita!”

È (stato) il momento d’oro dei fobici! Molte volte la sera ho seguito spezzoni di telegiornali che parlavano solo del Covid19, come se nel vasto mondo non ci fosse nient’altro su cui applicare la nostra attenzione. Il giornale che scorro e leggo qua e là ogni giorno, Il Corriere della sera, dedicava più della metà delle sue pagine al Covid19, una noia! Un cosiddetto esperto in uno dei campi chiamati in causa dal Covid19, convitato in effige (o “effigie”) nel salotto dei tacchi a spillo tenuto da Lilli Gruber, presto mi ha ricordato un personaggio interpretato da Ugo Tognazzi del film “I mostri” (1963): è un marito teledipendente, occhialuto genere culo di bicchiere, che resta ore davanti allo schermo mentre la moglie, Giovanna Ralli, se la fa in camera da letto con un bel giovane, Antonio Cifariello. Ecco, l’espertologo invitato dalla Gruber gli somigliava. Presto si è presentato, costui, con la sua brava maglietta con striscioline tricolori e non so più quale sigla.

Ah già! Le file! Bene, io ne ho fatte poche, in effetti c’era chi le faceva al posto mio. Però ho dovuto provvedere alla pappatoria in studio – v. sopra – così sono andato a cercarmi negozietti “alternativi”, semideserti, dove compravo sciocchezzuole utili a ingannare il mio appetito. È così che ho conosciuto una piacente quarantenne che una volta mi ha venduto crema di arachidi. Cosa non si fa! Simpatica: quando le ho proposto che il suo vino “biologico” era “ideologico” non solo ha capito la battuta, ma ha anche sorriso e annuito. Le file erano dovute al fatto che quasi ogni altro tipo di commercio, si sa, era stato chiuso, e al fatto che la gente aveva paura, senza contare che per molti miei ligi concittadini quello di fare la fila era l’unico modo per uscire di casa. A parte portar fuori il cane.

Altro. Grande scambio di messaggi WA con amici, amiche, parenti, inclusi foto e filmati più o meno spiritosi. Allegria da naufraghi. Si sarà capito che non ho preso molto sul serio tutta questa Cosa. In effetti è così.

Perché? Non mi fido dei media. Né di un governo, il “nostro”, trovato nel Tide (i vecchi si ricorderanno del detersivo contenente una “sorpresa”). Perché la morte e la malattia ci accompagnano sempre: ogni giorno, ogni notte montagne di cadaveri, caterve di ammalati gravi o gravissimi, che non vengono conteggiati perché interessano solo ai loro cari. C’è chi muore di fame, di guerra, o a causa di incidenti stradali. Altra fonte, però segnalata, è quella degli annegamenti in mare da parte di chi tenta di passare in Europa da Africa e Asia. Eccetera.

Non mi fido, infine, perché zitto zitto verso la fine del “secolo scorso” una volta mi beccai una grippe mostruosa che mi tenne a letto diversi giorni in compagnia di febbre alta e difficoltà di respirazione, né so di quale nome fosse dotata.

Nicola Spinosi :Psicologo Docente in pensione -Università di Firenze