Ho paura anch’io

Irene Bartolucci

Codogno? Ma dove si trova, precisamente?
La Cina, per definizione, è lontana, nonostante il detto La Cina è vicina.
Si dice, no? Quando la moglie torna tardi dalla spesa: “Dove sei andata a comprare la frutta? In Cina?”. Cosa ha a che fare un quartiere della Cina con Codogno, che è in Lombardia? E i pipistrelli? Che ci azzeccano i pipistrelli cinesi con un giovane sportivo di Codogno che sta morendo in terapia intensiva tra medici che non sanno cosa fare?

“Dice che lo salveranno? Sta per diventare papà, non può morire …”.
Si sapeva, tutta colpa dei Cinesi … Ma non erano i Nord-Africani, che portavano le malattie?
“Noi abbiamo tre ragazze cinesi, in classe, prof, a Natale sono andate in Cina a trovare dei parenti, si ricorda?”.
Ma erano pipistrelli, questi parenti?
E, se sì, come stavano? Starnutivano? Tossivano?
Cosa dicono i medici? Cosa dicono i veterinari? Boh. Pare che sia un virus.
“Ragazzi, in latino virus significa veleno”.

“Ma prof., non sa dirci altro?”. L’etimologia è importante. Posso aggiungere che la Scienza ha soprannominato il virus dei pipistrelli cinesi “Coronavirus” perché al microscopio appare come disseminato dai raggi di una corona. Pare un re.

Ecco, ve lo disegno sulla lavagna come riesco … Non so altro. Veramente. Mi dispiace.

È un caos … Provate a chiedere al prof. di Scienze …

So solo, cari ragazzi, che stamattina, per legge, mi ritrovo come voi, scaraventata fuori dalla mia vita, dai miei amici, dalle mie tranquillizzanti abitudini e da voi, che vedo a distanza, in rete, in remoto o come cavolo si dice e, lo sappiamo, non è la stessa cosa.

Maturità sì, maturità no? In presenza, in assenza? Nel dubbio si deve studiare, anche con problemi di connessione, anche murati vivi nelle proprie case, come neanche nei film apocalittici americani si è mai visto. Si deve studiare il male di vivere di Montale, oggi più attuale che mai, e la timida depressione di Pavese, perché dietro la fila funebre dei camion che portano le bare dei morti al cimitero di Bergamo, più popolato di un centro commerciale, dobbiamo immaginare la vita di sempre, fantasticare l’esistenza che ci è stata tolta.

A qualcuno per sempre. Dobbiamo proseguire idealmente la mesta, lenta sequenza che ci propinano i notiziari immaginando dietro quei carri grigio-verde pieni di morte i carri allegri e colorati di Bacco e Arianna, perché, vi dico sinceramente, oggi come non mai, sono convinta che “… Chi vuol esser lieto sia: di doman non v’è certezza”; la vita è un soffio, un alito, anzi, che inizia all’uscita di un tunnel dove intravedi una luce, ma non riesci a respirare, e tutti si sbattono per farti piangere e respirare, a costo di picchiarti anche se sei poco più di un feto, e quando finalmente piangi e ti disperi sono tutti contenti. E poi muori, come tutti quei poveretti lombardi, mentre qualcuno cerca, ancora una volta, ma invano, di farti respirare, a costo d’infilarti tubi grandi come grondaie in gola e buttandoti a pancia in giù sul letto come uno straccio abbandonato.

La vita è respiro. La vita è un respiro. M’interessa sapere, per voi ragazzi, per tornare ai versi di Lorenzo il Magnifico, cosa rende speciale questo respiro che ci è dato in dono da chissà chi e chissà perché. Un buon lavoro? Sì, in effetti un mestiere appagante riempie la vita, ci rende soddisfatti di noi stessi, ma tutto il resto da colmare? Dico, ad esempio, i sentimenti? Ecco, appunto, le ragazze pensavano la stessa cosa a cui pensavo io, l’Amore, quello vero! Ma rileggete Flaubert o anche le poesie della Merini, l’Amore vero non esiste e se anche si profila appena all’orizzonte, porta guai e angoscia se non alla morte. Leggete “Giulietta e Romeo” di Shakespeare o “Le affinità elettive” di Goethe. Mi dispiace dirvelo proprio in questo momento in cui ce n’è un disperato bisogno di Amore… Però esistono tanti altri sentimenti, andate, andate a cercare tra le pagine dell’Amico ritrovato di Uhlman, poi mi saprete dire. L’amicizia, forse, dà un senso al respiro che tutti dobbiamo fare, se siamo in questo mondo.

È dura, lo so. Nessuno è immune e tante ore a casa, pensando al peggio, non aiutano. Ho paura anch’io. Ma noi, quando ci connettiamo, abbiamo da ragionare, cari ragazzi. Da riflettere. Da connettere, tutti insieme, i nostri neuroni affranti da immagini di guerra.

Nulla va congelato. Nessun pensiero, nessuna idea, nessun progetto o concetto di futuro.

Mai come adesso la paura va contenuta, gestita, dominata, addomesticata. Mai come adesso dobbiamo farcela amica e trattarla bene, senza darle eccessiva importanza, ma nemmeno far finta che non ci sia. La paura c’è e assume forme personalissime. Ognuno dei vostri visi è spaventato in modo diverso. Qualcuno non lo sembra affatto. Ognuno di noi dovrà convivere con la sua, di paura, che sarà l’unica compagna nei mesi a venire.

Non sarà, credo, il virus a condizionarci, ma il timore che di esso abbiamo e avremo per chissà quanto tempo. Il virus è invisibile, la paura è invisibile, come i fantasmi e i fantasmi fanno tremare tutti, ma proprio tutti, anche quelli che dicono di non crederci.

Due pagine, due pagine soltanto, quelle iniziali de La peste di Camus, e capirete come il terrore si propaga inesorabilmente, rapidamente, più di qualunque virus,

Scambiamoci a inizio collegamento le notizie essenziali, contiamoci ogni volta, informiamoci se stiamo tutti bene, ma poi facciamo finta di niente e scrutando ogni tanto le cucine dei compagni, la mia, i soggiorni, le camere più o meno disordinate, sentendo cani abbaiare sullo sfondo, gatti miagolare, mamme brontolare, andiamo avanti, in una Scuola nuova che mai ci saremmo immaginati e che è l’unica che abbiamo.

Eravamo rimasti a Pirandello, alle sue novelle più emblematiche …

Leggiamo insieme un nuovo racconto, di questo grande Autore, s’intitola “La toccatina”. No, non è niente di “hard”, ma ci farà riflettere.

I protagonisti sono due signori di mezza età, borghesi, conoscenti, che ogni giorno s’incontrano mentre passeggiano tranquillamente al parco, e si salutano educatamente, sollevandosi il cappello, scambiando due parole di circostanza e soprattutto chiedendo garbatamente uno lo stato di salute dell’altro. “Benissimo!”, “Perfetto!”, “Mai stato così bene!”, sono le quotidiane risposte. Nasce una sorta di tenzone, tra i due, per vedere chi per primo crolla, chi per primo vacillerà, avrà un malanno, che so, chi per primo subirà “la toccatina” della morte, una sua improvvisa avvisaglia, un segnale.

Uno dei due signori per qualche giorno non vede, alla consueta passeggiata, l’altro. Strano. Ma ecco che lo rivede dopo una settimana, sostenuto da un bastone. È curvo su se stesso e pallido in volto. Alla domanda su cosa gli fosse accaduto, l’ormai anziano malato minimizza un ictus, facendolo passare per una brutta influenza. Con mille auguri e ringraziamenti i due si salutano, ma l’uomo rimasto sano si sente forte, pieno di vita, il vincitore del duello silenzioso si sente un leone e vorrebbe urlare al mondo la sua fierezza, il suo giubilo, la sua vittoria. Ha conquistato l’immortalità, pare.

Ma l’anziano con il bastone, per qualche giorno, non vede il signore che si sente come un leone, fino a quando lo scorge, ridotto all’ombra di se stesso, che cammina piano, aiutato da una grossa signora. Stupito, l’uomo con l’ictus e il bastone chiede spiegazioni, ma ottiene una risposta consolatoria: una banale forma reumatica improvvisa. Ma curabilissima, per carità!

E così, entrambi, erano stati beccati dalla “toccatina”, ma non volevano ammetterlo e ogni giorno a seguire, incontrandosi, senza nemmeno più la forza di togliersi il cappello in segno di riverenza, dicevano di stare bene, sempre meglio, ormai in via di guarigione, sperando, ognuno dei due, di sopravvivere all’altro.

In questa pandemia, molti sono stati “toccati” dal regale virus, non sono morti, né moriranno, ma ne porteranno per sempre i segni, come il famoso ragazzo di Codogno, il paziente soprannominato “Uno”.

Leggiamo con attenzione, questa novella. e poi ditemi cosa vi suggerisce.

M. dice “vergogna”. Giusto, in un certo senso, ma in quale? A volte non sta bene ammalarsi e nemmeno morire. Chi si ammala è visto come un essere inferiore. La vita, per molti, coincide con il vigore, con la forza fisica, la salute. Da cosa lo avete notato, ragazzi, in queste settimane di pandemia, che si è inferiori, nell’ammalarsi?… Che improvvisamente, per esempio, il malato viene chiamato con il proprio nome di battesimo, che so Mario, Francesco, Giuseppe… Non è più il Signor… Oppure il Dottor… O il Geometra… Bravo L. Si perde qualcosa di sé, con la malattia.

Il malato perde gran parte della sua identità, della sua forma.

Non è giusto, dite, la dignità e l’identità fino alla fine. Concordo. Dopo, saremo tutti uguali. Ma se un infermiere mi chiamava Dottor Parodi fino a ieri e oggi, che in più respiro male, lo stesso infermiere mi chiama “Franco”, comprendo che sono peggiorato.

Bene, continueremo con queste letture e con queste riflessioni che non avremmo mai fatto, senza il Covid. È una magra consolazione, lo so. Ma i ex malo bonum, dicevano i latini.

È stata dura, tre mesi di lezioni a distanza, senza un confronto diretto, senza un contatto, un sorriso dal vivo. È stato terribile, per me. So anche per molti di voi.

M. è depresso, non voleva presentarsi all’esame di Maturità, e c’è voluto del bello e del buono per convincerlo. Lui ama gli abbracci, le pacche sulle spalle, i sorrisi dal vivo e la fisicità. La quarantena gli ha tolto l’aria, dovrebbero intubarlo e fargli arrivare tutto il calore umano che non ha ricevuto in questi lunghi mesi. Vorrebbe parlare del Foscolo, in sede d’esame, anch’io vorrei che lo facesse, per sottolineare come questo regal-virus abbia impedito anche una sepoltura degna a molte persone, senza una carezza da parte dei propri cari, in certe parti del Mondo senza nemmeno una croce.

È stata una guerra, ragazzi, ma l’abbiamo vinta, in compagnia di chi conosceva già la paura, la malattia, la morte e la desolazione. L’impotenza e la fragilità del vivere. La speranza. E ci ha fatto dono di tutto questo scrivendo e scrivendo ancora.

Vi ho visto distratti dai carri dei morti, in quei giorni di lettura e riflessione.

Non chiedetemi più, da oggi, a cosa serve la Letteratura.


Irene Bartolucci: Insegnante di Lettere, Genova