Disabilita’ intellettiva e implicazioni per l’Attaccamento nella relazione genitori figli lungo l’arco di vita.

di Elisa Gaggero e Ilaria Scala *

“Per poter crescere bene un figlio non si dovrebbe tentare di essere genitori perfetti, così come non bisognerebbe aspettarsi dai figli che siano o diventino individui perfetti. La perfezione non è alla portata dei comuni esseri umani; gli sforzi per conquistarla di solito interferiscono con quella reazione indulgente all’imperfezione altrui, inclusa quella dei nostri figli, che da sola rende possibile la buona riuscita delle relazioni umane.” (Bettelheim, 1987).

Introduzione

La maggior parte degli studi storici in tema di relazioni di attaccamento ha riguardato gruppi di bambini a sviluppo tipo, mentre, nel corso degli ultimi decenni la letteratura ha espanso il proprio campo di interesse verso studi che comparano l’attaccamento di bambini con Disabilità intellettiva in quadri di Sindrome di Down e, più recentemente, con Disturbi dello spettro dell’autismo con quello di bambini normodotati. Le ricerche più recenti hanno, così, messo in evidenza, come il tipo di attaccamento che si sviluppa nei soggetti con ritardo mentale non sia da attribuire esclusivamente alla disabilità cognitiva, le difficoltà di coinvolgimento interpersonale, caratteristiche di questi quadri, rappresentano sì un fattore di rischio per il legame di attaccamento, ma sembrano non essere gli unici elementi discriminanti nel rendere di per sé più difficile la formazione di un legame di attaccamento efficace nei bambini che presentino questo funzionamento, ma piuttosto, come nei campioni normativi a sviluppo tipico, il contributo più significativo alla qualità dell’attaccamento sembra essere dato da un’interazione di più elementi e che le caratteristiche di questi legami possono differire da quelle riscontrate in soggetti senza disabilità, sia per via delle difficoltà a esprimere e comprendere le emozioni sia per le barriere nella comunicazione.

Approcci ai legami di attaccamento

Nel 1969, John Bowlby ha sviluppato la sua celebre teoria dell’attaccamento, integrando la formazione psicoanalitica con studi etologici. Bowlby definisce l’attaccamento come un sistema motivazionale e comportamentale, di origine neurobiologica e innata, che si stabilisce tra i bambini e i loro caregiver. La funzione principale di questo sistema è garantire la sopravvivenza e la sicurezza del bambino. L’attaccamento si attiva quando il bambino percepisce una minaccia, inducendolo a cercare la vicinanza e la protezione della figura di attaccamento, solitamente la madre biologica, ma anche altre figure caregiver (Bowlby, 1969; Ainsworth et al., 1978). Il legame di attaccamento è profondo e duraturo, influenzato dalla qualità delle interazioni e dalla sensibilità del caregiver verso i bisogni del bambino. Questo legame fornisce al bambino una base sicura da cui esplorare il mondo e offre conforto nei momenti di disagio. Un concetto centrale della teoria è la sintonizzazione affettiva, sviluppata da Stern (1985) e approfondita da Tronick et al. (1998). La sintonizzazione affettiva si riferisce alla capacità della madre di riconoscere e rispondere agli stati emotivi del bambino, creando un’interazione che permette al neonato di integrare e regolare le proprie emozioni. Gli studi di Tronick hanno dimostrato che la mancanza di sintonizzazione affettiva provoca disagio nel bambino, che cerca di attirare l’attenzione della madre. Tuttavia, momenti di mancata sintonizzazione sono normali, purché seguiti da esperienze di riparazione. I comportamenti di attaccamento sono azioni specifiche che i bambini mettono in atto per mantenere il contatto con il caregiver, soprattutto in situazioni di stress. Questi comportamenti includono il pianto, il cercare di essere presi in braccio e il rifiuto di separarsi dal caregiver, e variano a seconda dell’età del bambino e della qualità del legame. Mary Ainsworth, allieva di Bowlby, ha sviluppato la “Strange Situation”, un metodo per misurare l’attaccamento del bambino attraverso l’osservazione delle interazioni in un ambiente strutturato. Questo esperimento, che prevede separazioni e riunioni, consente di classificare i tipi di attaccamento in: sicuro, insicuro evitante, insicuro resistente e, successivamente, disorganizzato (Main & Salomon, 1990). L’attaccamento sicuro è associato a una “sensibilità materna” che permette al caregiver di rispondere adeguatamente ai segnali del bambino. In contrasto, i bambini evitanti mostrano poca attenzione al caregiver e minimizzano il disagio, mentre quelli ambivalenti manifestano comportamenti di esplorazione limitati e stress elevato durante la separazione. In sintesi, la teoria dell’attaccamento di Bowlby e i successivi sviluppi di Ainsworth forniscono un quadro fondamentale per comprendere le relazioni tra genitori e figli e l’impatto di queste dinamiche sullo sviluppo emotivo e sociale dei bambini. La qualità dell’attaccamento ha ripercussioni significative sulla capacità del bambino di esplorare e interagire con il mondo circostante, sottolineando l’importanza delle relazioni affettive nell’infanzia.

Da un altro punto di vista: << () Con un elegante e inedita teoria del legame sociale, Lacan formalizza le relazioni fondamentali che il linguaggio stabilisce tra gli esseri parlanti: governare, educare, curare, analizzare. Lo chiama “discorso” per designare il legame sociale in quanto è fondato sul linguaggio e non può essere basato su altro. I legami sociali sono modalità di organizzazione del vincolo tra i soggetti e una specifica forma di vita…Il sostegno del legame sociale è un discorso che ci tiene uniti di più di quanto noi lo teniamo insieme. Il discorso è ciò che ci tiene insieme, nel senso di sostenere il corpo e di far sì che i corpi stiano insieme…Il legame è la parola, alle parole prodotte nella loro contingenza e in una temporalità, servono delle bocche per parlare. Il legame è l’incontro di parole….Il discorso definisce luoghi, nomina luoghi (identificazioni), ma prescrive anche un modo di vivere, un modo di soddisfarsi nell’esistenza, una modalità di godimento. Il legame sociale in Lacan non si riferisce a una legge o a una norma, ma a un uso valido in un dato momento in una data società. Non ci sono istruzioni al di fuori del discorso. Così, i discorsi prescrivono i luoghi, i ruoli e anche le modalità di soddisfazione…Non c’è identità al di fuori del linguaggio e non ci sono istruzioni al di fuori del discorso; discorso in cui siamo immersi e di cui siamo l’effetto. Non entriamo direttamente nel legame sociale, è necessaria una mediazione: è necessaria una parola, una parola che promette…La causa del desiderio come proprietà fondamentale dell’essere parlante è sempre contingente, mai normalizzata. Richiede sempre un incontro. È un’esperienza vissuta, un incontro che dà ad ognuno una figura singolare di godimento (Alberti, 2022).

Disabilità intellettiva e relazione di attaccamento

La disabilità intellettiva è caratterizzata da significative difficoltà nel funzionamento intellettivo, con un quoziente intellettivo inferiore a 70, e nel funzionamento adattivo, che si riferisce alla capacità di svolgere attività quotidiane adeguate allo sviluppo. Questa condizione è spesso accompagnata da comorbilità con disturbi dello spettro autistico e disabilità fisiche e sensoriali (American Psychiatric Association, 2013; BPS, 2015). Ricerche iniziali hanno evidenziato che le persone con disabilità intellettiva presentano una prevalenza maggiore di strategie di attaccamento insicure e disorganizzate rispetto a quelle sicure.

Helen Fletcher, psicologa clinica presso l’Hertfordshire Partnership University NHS Foundation Trust e co-autrice del libro Attachment in Intellectual and Developmental Disability: A Clinician’s Guide to Practice and Research (Wiley), ha condotto revisioni sistematiche sui fattori di rischio associati alla disabilità intellettiva nello sviluppo di relazioni di attaccamento (Fletcher & Hamadi, 2019; Fletcher et al., 2024). Uno dei principali fattori individuati è la difficoltà dei genitori nel riconoscere e soddisfare i bisogni dei bambini con disabilità intellettiva. Questa difficoltà richiede una maggiore sensibilità e sintonia, complicata da un’angoscia e da problemi di salute mentale che i genitori possono affrontare. Inoltre, il lutto per un “bambino sano” immaginato può influenzare ulteriormente la capacità di rispondere ai bisogni del bambino. Le persone con disabilità intellettiva sono anche più vulnerabili a esperienze di abuso fisico e psicologico, che sono associate a strategie di attaccamento insicure.

Un’altra sfida significativa è rappresentata dalla necessità di supporto aggiuntivo da parte di familiari, caregiver professionisti o strutture residenziali. Questo può comportare frequenti cambiamenti nelle figure di assistenza, ostacolando lo sviluppo di relazioni di attaccamento sicure. Alcuni individui con disabilità intellettiva possono esprimere i loro bisogni attraverso comportamenti di disagio, noti come “comportamenti problema”, che possono risultare stressanti per i caregiver. Studi condotti nel campo dell’autismo hanno esplorato la relazione tra questa condizione e l’attaccamento, evidenziando l’importanza delle modalità di accudimento. Sebbene alcuni studi suggeriscano che l’autismo possa essere un fattore di rischio per lo sviluppo di un attaccamento sicuro, altri enfatizzano l’importanza di fattori individuali e contestuali, come il livello intellettivo e la qualità dell’accudimento. Ad esempio, uno studio del 2019 di Levy et al. ha esaminato la “comunicazione materna disturbata” e il suo impatto sull’attaccamento nei bambini autistici, rivelando una forte correlazione tra comunicazione disturbata e attaccamento disorganizzato/ambivalente. Nonostante le sovrapposizioni sintomatiche tra autismo e disturbi dell’attaccamento, ricerche come quella di Dickerson Mayes et al. (2017) suggeriscono che queste condizioni hanno cause distinte e possono coesistere. Circa il 47% dei bambini autistici sviluppano attaccamenti sicuri, un dato inferiore rispetto al 60% dei bambini tipici. Tuttavia, i bambini autistici senza disabilità intellettiva raggiungono percentuali simili a quelle dei bambini tipici (circa 80%), mentre quelli con disabilità intellettiva vedono i tassi di attaccamento sicuro scendere tra il 40% e il 48%. La sensibilità materna emerge come un fattore cruciale nello sviluppo dell’attaccamento. Una metanalisi ha confermato una forte correlazione tra sensibilità e attaccamento sicuro nei bambini autistici, suggerendo che un accudimento sensibile può ridurre lo stress genitoriale e migliorare la qualità dell’attaccamento. In conclusione, nonostante le difficoltà comunicative e relazionali legate all’autismo, i bambini possono sviluppare attaccamenti sicuri, con la disabilità intellettiva e la sensibilità materna che giocano ruoli determinanti. Ricerche future potrebbero approfondire la relazione tra questi fattori e identificare le modalità di accudimento più efficaci per i bambini nello spettro autistico.

Il ruolo del legame di attaccamento nel passaggio alla vita adulta.

Nonostante le difficoltà, l’accesso all’età adulta per la persona con disabilità è possibile, anche se, almeno in alcuni casi, non seguendo il percorso tradizionale verso una indipendenza totale. L’adultità, in questo contesto, si basa sulla possibilità di fare scelte autonome pur mantenendo la necessità di assistenza in altre aree. La famiglia ha un ruolo cruciale, ma deve supportare il figlio nel processo di autonomia, accettando che questo avvenga in modo graduale e soggettivo. Attualmente l’immaginario legato alle rappresentazioni dei familiari che spesso vedevano il disabile come un “eterno bambino”, senza possibilità di evoluzione, sono andate in parte scardinandosi grazie ad un’evoluzione culturale e ad una presa in carico riabilitativa che hanno contribuito ad aumentare la consapevolezza circa le diverse possibilità del vivere adulto anche in condizioni di disabilità. Tuttavia, i genitori spesso vivono un profondo coinvolgimento emotivo, identificandosi con la fragilità del figlio e creando dinamiche di dipendenza che ostacolano la possibilità di una vera autonomia all’interno delle quali la persona disabile viene talvolta ignorata come interlocutore.

Anna Maria Sorrentino, psicologa e psicoterapeuta con una lunga carriera nel campo della psicoterapia sistemico-relazionale e del lavoro riabilitativo con la disabilità, nel suo articolo “L’allevamento del bambino disabile: turbe dell’Attaccamento e tratti disarmonici della personalità”, riflette sull’evoluzione del soggetto disabile, esplorando come l’interazione familiare e la gestione dell’attaccamento influiscano sulla formazione della personalità. Abbiamo trovato molto interessante questo lavoro che, a mio avviso, rispecchia molte delle osservazioni che noi operatori nel campo della disabilità non facciamo fatica a condividere. Innanzitutto la Sorrentino osserva che, sebbene ci si possa aspettare tratti depressivi o dipendenti nei soggetti disabili, spesso emergono tratti narcisistici o autarchico-dominanti, a volte in contrasto con le aspettative. Un altro elemento su cui si sofferma l’autrice riguarda il comparire di segni di stress e frustrazione all’entrata nella vita adulta del figlio, anche in famiglie inizialmente molto empatiche e collaborative, con un peggioramento psicologico del sistema familiare che non era previsto.

Sorrentino sottolinea che i traumi psicologici legati alla disabilità, e l’impegno a lungo termine dei genitori nell’assistenza, generano uno stress che può compromettere le loro capacità di adattamento e percezione della realtà. In alcuni casi, questo porta i genitori a non riuscire ad accettare completamente il deficit del figlio, sviluppando una visione irrealistica della sua condizione. Sono frequenti i casi, ad esempio, in cui vi è un profondo disaccordo tra il sistema scolastico e quello famigliare nell’immaginare un percorso didattico per lo studente disabile: la scelta di un programma per obiettivi minimi o differenziato piuttosto che la programmazione didattica di classe rappresentano spesso una scelta dolorosa a cui si giunge dopo un lungo processo di lotta e la sensazione, da parte dei familiari, che questo rappresenti una sottovalutazione delle competenze del proprio figlio. Frequentemente sono i genitori stessi a proporre richieste a proposito della possibilità di iscrivere i propri ragazzi all’università o al corso per la patente, non ascoltando realmente i bisogni e le necessità dei figli e mostrandosi in difficoltà nell’immaginare un progetto di vita cucito “su misura” ma cercando sempre di proporre il raggiungimento delle tappe idealmente individuate come canoniche per i più. Al contrario, non sono infrequenti le situazioni in cui, nel tentativo di proteggere il figlio disabile dall’incontro con la presa di consapevolezza circa i propri limiti e punti di forza, questo viene tenuto lontano dalla possibilità di sperimentare alcune importanti situazioni di vita relazionale e di autonomia a cui potrebbe avere accesso pur con le proprie peculiari caratteristiche (es. relazioni sentimentali, gite, autonomie di spostamento, ecc).

Sorrentino si sofferma poi nel differenziare l’evoluzione e le caratteristiche del legame di attaccamento sulla base dell’epoca della diagnosi, evidenziando come il trauma della disabilità, diagnosticata nei primi giorni di vita, incida profondamente sull’interazione genitori-bambino, influenzando la genitorialità, le relazioni familiari e la comunità sociale. La reazione psicologica dei genitori si manifesta in una complessa gamma di emozioni, come colpa, insicurezza e angoscia, che danneggiano la qualità dell’attaccamento e lo sviluppo del bambino. I genitori possono sentirsi inadeguati e incapaci di generare un figlio sano, e la loro risposta emotiva si riflette sul bambino, che percepisce il mondo filtrato da ansia e confusione. Questo influenza negativamente la sua capacità di sviluppo mentale, portando a difficoltà nell’attaccamento e nella fiducia in sé. Il bambino, così, può crescere con un attaccamento disorganizzato, esponendolo a future difficoltà relazionali e cognitive. La difficoltà di adattamento genera emozioni contrastanti che si alternano tra percepire il bambino come “scopo della vita”, “vittima” o “persecutore”, influendo negativamente sullo sviluppo del piccolo e creando distorsioni identitarie. Nel lungo periodo, se la situazione familiare si stabilizza, il bambino può sviluppare una personalità funzionale, ma l’incertezza causata dalla malattia e dalla continua attenzione alla sua condizione sanitaria rende difficoltoso ogni adattamento. Il rischio è che il bambino cresca in un ambiente segnato da ansie e incertezze che ne comprometteranno lo sviluppo cognitivo ed emotivo. La mancanza di una gestione appropriata della condizione familiare e sanitaria può portare alla formazione di una personalità disturbata, oscillante tra sottovalutazione delle proprie risorse e difficoltà o una percezione irreale di sé. L’autrice sottolinea, inoltre che, quando la diagnosi avvenga nella prima infanzia, quando il legame di attaccamento è già ben strutturato, questo elemento può facilitare una migliore risposta del bambino alle difficoltà. Tuttavia, quando la diagnosi viene fatta in fase di sviluppo, i genitori percepiscono spesso i segnali di ritardo, prima dei curanti, e l’ansia può minare il legame sicuro, inducendo un attaccamento ambivalente. In alcuni casi, i bambini ricevono un messaggio contraddittorio, sentendosi al centro dell’attenzione materna, ma anche causa della sua ansia, il che influisce negativamente sul loro sviluppo. Un aspetto fondamentale è la necessità di una diagnosi chiara e un percorso riabilitativo comprensibile per i bambini, per evitare che sviluppino un senso di impotenza. I genitori, pur essendo angosciati, dovrebbero essere coinvolti nel riconoscere le risorse del figlio e sostenere l’impegno necessario per una vita di qualità. Tuttavia, alcuni genitori, in caso di disabilità intellettiva lieve o difficoltà, possono minimizzare il problema, impedendo un adeguato sviluppo. L’attaccamento gioca quindi un ruolo cruciale nell’emotività del bambino, può spiegare i disturbi emotivi legati alla disabilità, influenzati dalla capacità dei genitori di rispondere ai bisogni del figlio. Una corretta gestione delle difese emotive, sia nel bambino che nella famiglia, è fondamentale per evitare l’insorgere di tratti disturbati nella personalità e favorire un miglior adattamento al contesto.

L’importanza del legame introduce un costrutto di attaccamento che non si risolve solo nella relazione genitoriale, ma che apre la prospettiva ad altri attori che, nel processo di costruzione di identità e soggettivazione della persona con disabilità intellettiva, consentono di favorire il passaggio da bambino ad adulto. <<In particolare per interagire con chi è affetto da deficit psichico grave occorre impegnarsi in una dialettica di reciproco riconoscimento che soggettiva entrambi i poli della comunicazione nella misura in cui si è qualcuno per qualcuno>> (Vegetti Finzi, 2009). La quotidianità della persona con disabilità è strutturata spesso nella frequenza a centri diurni o a servizi dedicati che vedono il coinvolgimento di equipe multidisciplinari, operatori a supporto di attività riabilitative o di inclusione sociale. E’ all’interno di queste realtà che possiamo trovare un luogo preposto, fisico ma anche di pensiero, in cui l’operatore attraverso differenti forme di “ascoltare” rende viva la vita del disabile (Lolli, 2012). Dove le figure professionali possono fare spazio e dare un posto, dove è possibile esprimere le proprie capacità e potenzialità. Attraverso le riunioni di equipe il “parlare di” diventa una costruzione di significato, di desiderio che “fa esistere colui di chi si parla”. Dove la persona con disabilità è riconosciuta non solo per i bisogni espressi e osservabili ma anche come soggetto desiderante, desiderato.

Questa dinamica di pensiero consente di creare un processo tale per cui la persona con disabilità trova un legame in cui viene riconosciuto e desiderato, processo che come espresso precedentemente può non essere sempre costruito positivamente nelle modalità di attaccamento del nucleo familiare di origine. In tal senso questa forma di attaccamento può consentire alla persona di strutturare un nuovo pensiero su di sé e facilitare nuove modalità di legame e relazione anche con il nucleo familiare di origine, per ripensare il proprio figlio in un’ottica diversa. Quante volte ci siamo sentiti dire: <<Ma mio figlio a casa queste cose non le fa, a casa è diverso, solo con voi fa queste cose>>. Come se parlassimo di due persone differenti. Questo processo, lungo e spesso molto faticoso per tutti gli attori coinvolti, concede però nuove opportunità.

Luigi (nome di fantasia), persona con disabilità intellettiva, per anni ha seguito un percorso molto aderente all’immaginario impostato, lavoro in ufficio, abbigliamento molto formale, a volte eccessivo (giacca e cravatta), valigetta. Dopo il biennio del “Covid”, il progressivo invecchiamento dei genitori e una sempre maggior presenza del fratello nel supporto, è stata impostata, dal Centro diurno di riferimento, una presa in carico che coinvolgesse Luigi in attività socializzanti, supervisionate da educatori. Sono stati esplorati interessi che hanno fatto emergere una passione per la cucina. L’inserimento lavorativo del servizio di inclusione ha trovato un nuovo spazio di lavoro in un ristorante, contemporaneo è stato un cambio nelle abitudini personali, nell’abbigliamento, nel non dover frequentare in modo esclusivo la fidanzata, forma di uno status quo necessario. Luigi è invecchiato anagraficamente, ma ringiovanito e rivitalizzato in tutti gli aspetti della propria vita.

Conclusioni

La ricerca concorda sull’importanza di attivare interventi precoci che migliorino la sensibilità del caregiver e la qualità dell’accudimento. Quando i genitori sono sensibili e in grado di adattarsi alle esigenze del figlio, il bambino può sviluppare relazioni più profonde e positive, sfatando il mito dell’impenetrabilità emotiva nell’autismo e favorendo uno sviluppo più favorevole in vari ambiti della vita. Per studiare l’attaccamento e i concetti correlati nelle persone con disabilità intellettiva, potrebbero essere necessarie sensibilità e considerazioni aggiuntive nella misurazione, in particolare per coloro che presentano significative difficoltà di comunicazione.

Walker (2016) sostiene che sia necessario un ulteriore studio e validazione di misure specifiche per l’attaccamento per le persone con disabilità intellettiva a causa della mancanza di misure consolidate. Tuttavia, l’efficacia degli interventi basati sull’attaccamento può essere indicata da diversi risultati, come riduzione del disagio, riduzione dei comportamenti di disagio, miglioramento del benessere emotivo e/o aumento della sensibilità o sintonia genitoriale. A causa del rischio aumentato, è importante che venga implementato un supporto appropriato per le persone con disabilità intellettiva e i loro caregiver. Inoltre, poiché i genitori di bambini con disabilità intellettiva lieve sono sovrarappresentati nei servizi di protezione infantile, e i loro figli sono frequentemente adottati piuttosto che supportati dalla famiglia, gli interventi a sostegno delle relazioni genitore-figlio sono importanti, così come la costruzione di legami operatore – persona con disabilità che favoriscano il ruolo centrale della persona, abitandone il discorso, promuovendo un nuovo spazio verso la costruzione di una propria identità.

BIBLIOGRAFIA

Ainsworth M, Blehar M,Walters E, et al. (1978). Patterns of Attachment: A Psychological Study of the Strange Situation. Hillside New York: Lawlence Erlbaum Associatates.

Ainsworth Strange Situation. In: Greenberg M, Cicchetti D and Cummings M (eds) Attachment in the Preschool Years. Chicago: University of Chicago Press, pp.121-160.

American Psychiatric Association (2013) Diagnostic and statistical manual of mental disorders: DSM-5. American psychiatric association Washington, DC.

Bettelheim B. (2013). Un genitore quasi perfetto. Feltrinelli, Milano.

Bowlby J (1969) Attachment and loss: volume I: attachment. London: The Hogarth Press and the Institute of Psycho-Analysis, pp.1-401.

Bowlby J (1977) The making and breaking of affectional bonds: I. Aetiology and psychopathology in the light of attachment theory. The British journal of psychiatry 130(3): 201-210.

Bowlby J (1988) A Secure Base: Parent-Child Attachment and Healthy Human Development. New York: Basic Books.

Levy, G., Oppenheim, D., Koren-Karie, N., Ariav-Paraira, I., Gal, N., & Yirmiya, N. (2019). Disrupted maternal communication and attachment disorganization in children with autism spectrum disorder. Attachment & Human Development, 22(5), 568–581.

Alberti, C. (2022)estratti da – Conferenza al Seminario Clinico di Cochabamba –  Scuola Lacaniana di psicoanalisi.

Dickerson Mayes, S., Calhoun, S.L., Waschbusch, D.A., & Baweja, R. (2017). Autism and reactive attachment/disinhibited social engagement disorders: Co-occurrence and differentiation. Clinical Child Psychology and Psychiatry, 22(4), 620–631.

Fletcher H., Hamadi L. (2019). Are people with an intellectual disability at increased risk of attachment difficulties? A critical review. Journal of Intellectual Disabilities, 25, 1, Mar 01, 2021.

Lolli F. (2012). Riabilitare l’inconscio. Psicoanalisi applicata alla disabilità intellettiva. Edizioni ETS, Pisa.

Main, M., & Solomon, J. (1990). Procedures for identifying infants as disorganized/disoriented during the Ainsworth Strange Situation. In M. T. Greenberg, D. Cicchetti, & E. M. Cummings (Eds.), Attachment in the preschool years: Theory, research, and intervention (pp. 121–160). The University of Chicago Press.

Sorrentino A. M. (2009). L’allevamento del bambino disabile: turbe dell’Attaccamento e tratti disarmonici della personalità. Terapia Familiare, n. 91, novembre 2009.

Stern D.N. (1985). Il mondo interpersonale del bambino. Torino: Bollati Boringhieri Editore.

Tronick E.Z., Bruschweiler-Stern, N., Harrison, A.M., Lyons-Ruth, K., Morgan A.C., Nahum, J.P. et al. (1998). Dyadically expanded states of consciousness and the process of therapeutic change. Infant Mental Health Journal, 19(3), 290–299.

Walker S, Penketh V, Lewis H, et al. (2016) Assessing attachment relationships in people with intellectual disabilities. In: Fletcher HK, Flood A and Hare DJ (eds) Attachment in intellectual and developmental disability: A clinician’s guide to practice and research. John Wiley & Sons.

Viggetti Finzi, S. In Villa. A. (2009). “La mano nel cappello, psicoanalisi ed handicap grave”. Stripes Edizioni, Milano.

*Elisa Gaggero, Psicologa e Psicoterapeuta, lavora presso l’ambulatorio riabilitativo e il servizio adulti della Fondazione Cepim.

Ilaria Scala, Psicologa, direttrice tecnico operativa dei servizi adulti della Fondazione Cepim.