di Rita Sciorato
Una sera dell’autunno scorso, davanti ad un bicchiere di vino in una bella piazzetta della nostra città mi sono trovata con due amici a parlare del “consenso”, e tra un discorso e l’altro ci siamo poi soffermati a discutere delle modalità che generavano consenso e delle modalità in cui veniva espresso nella nostra società.
Alla fine siamo arrivati a commentare le trasmissioni televisive di talk-show, ed in particolare quella condotta da Giovanni Floris.
Così abbiamo scoperto che nessuno di noi aveva dubbi circa il pubblico di “Di martedì “, che nello studio di La Sette applaudiva a tutti, a tutto e al contrario di tutto.
Come mai?
Intanto avevamo notato che applaudivano quando chi parlava diceva qualcosa in modo assertivo o con una inclinazione della voce piuttosto marcata.
Pertanto ci era sembrato ovvio dedurre che quel pubblico non seguiva il contenuto del discorso, o forse era confuso senza una propria idea sull’argomento del dibattito, visto che si lasciava così facilmente influenzare dal tono della voce dell’interlocutore di turno e indipendentemente da ciò che andava affermando.
Il pubblico di “Di Martedì” era quindi un pubblico scelto sulla base della sensibilità all’ascolto dei ritmi dell’eloquio e incapace di intendere e di pensare?
Che brutto pensiero!
La trasmissione voleva forse indurre il pensiero che la gente è confusa e disorientata?
Era questo forse un modo indiretto di far pensare che tutto è talmente relativo per cui non si può avere nessuna certezza?
Insomma eravamo alla ricerca di un bandolo che ci desse una spiegazione di un comportamento che appariva contradditorio in tutta la sua forza e che non poteva non avere un suo senso.
Quindi, forse la questione era più complessa nella realtà, sebbene nella sua apparenza si presentava in modo semplice: tutti applaudivano sempre: a chi sosteneva una tesi e allo stesso modo a che sosteneva la tesi opposta.
Abbiamo preferito abbandonare l’idea di un pubblico scelto sulla base di criteri demenziali, tipo nessuno del pubblico conosce la lingua italiana, e così ci siamo spinti verso altre ipotesi.
Doveva pur esserci un motivo che spingeva quelle persone ad applaudire tutto e il contrario di tutto.
Ridendo e scherzando siamo così giunti ad ipotizzare che il conduttore o chi per lui avesse escogitato un pubblico di tal genere per non scontentare nessuno del più ampio pubblico che seguiva la trasmissione sul proprio televisore da casa.
Insomma un pubblico che rappresentasse una sorta di par condicio preventiva, una neutralità confezionata per non rischiare di abbassare l’audience, per non scontentare nessuno dei telespettatori.
Poteva forse essere un modo per consentire a chi seguiva la trasmissione da casa di non sentirsi solo ed emarginato, comunque la pensasse, e di apprezzare una trasmissione che applaudiva quando avrebbe applaudito lui.
E l’irritazione per gli applausi non condivisi sarebbe stata, quindi, equamente distribuita.
Chissà se davvero è così, comunque sembrava una ipotesi accettabile.
Certo è che se così fosse sarebbe lecito pensare che quelle persone dietro il vantaggio dell’anonimato, e spero per loro anche di almeno qualche soldino, si siano semplicemente prestate al bisogno di mantenere alto l’audience della trasmissione.
In tal caso gli applausi e il consenso distribuiti a destra e a manca avrebbero una finalità prevalentemente commerciale.
L’idea che il consenso nasca e cresca dalla condivisione di progetti politici e culturali deve quindi oggi fare i conti con ragioni economiche e commerciali.
La nostra conversazione era terminata con l’impressione comune di vivere in un contesto sociale che dovunque ti giri si ha sempre a che fare con una richiesta di consenso, di approvazione, in una costante ricerca di seguaci.
Infatti sembra proprio che tra tutti i bisogni della persona, la nostra società abbia riservato un posto di primordine al bisogno di ricevere e offrire applausi e like.
Tutto ciò ha senz’altro a che fare con la dinamica relazionale prodotta dal narcisismo dilagante: quanto più uno è narcisista tanto più quanto più ha bisogno di rispecchiamento per alimentare la propria spavalderia a protezione della fragilità sottostante.
Il narcisista ha uno spasmodico bisogno degli altri e tra gli altri sono molti quelli che hanno un esistenziale bisogno di considerazione.
E’ facile cadere in questa trappola.
La clinica ce ne dà evidenza.
Questo costante bisogno di rispecchiamento narcisistico, richiesto anche quotidianamente nei social, mette in luce la fragilità di molti personaggi e allo stesso tempo genera l’illusione di superare la solitudine interiore, l’isolamento, il malessere psichico e il disagio sociale attraverso un “like”, che naturalmente al momento giusto può tradursi in un voto.
Sta di fatto che ci siamo assuefatti all’idea di dover comunicare il nostro consenso o dissenso su qualsiasi cosa voli sui social, in tv o nei media.
E il tentativo è sempre quello di catturarlo polarizzando le questioni, semplificandole in modo tale che l’interlocutore debba necessariamente esprimersi con un pro o con un contro.
Comunque si tratta di un consenso emotivo, di un applauso, di un “mi piace” che in men di niente può diventare un “non mi piace più”, come se avessimo tacitamente deciso di delegare ai personaggi in vista il compito di comprendere le questioni della vita e ci limitassimo a dire se ci piace o no l’interpretazione che ci viene offerta.
Nessun pensiero e nessun sogno, ma solo appiattimento sull’altro, non so se per mancanza di coraggio o di strumenti.
Non si può comunque rinunciare a distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è.
Sarebbe quindi auspicabile che i comportamenti e le azioni dei personaggi in vista rivolte agli altri proprio allo scopo di ottenere consenso fossero contenuti dal rispetto e dalla condivisione di principi etici di base.
A volte si ha l’impressione che si voglia rendere egemone l’idea che non possa esserci una morale condivisa e che tutte le opinioni, vere o false che siano, debbano avere uguale dignità.
Dobbiamo credo riprendere il tema dei rapporti tra morale e politica.
E allora in chiusura di questo mio breve intervento riporto qualche frase significativa di un articolo di Norberto Bobbio, pubblicato su MicroMega nel 1986.
“Per quanto, dunque, la questione morale si ponga in tutti i campi della condotta umana, quando viene posta nella sfera della politica assume un carattere particolarissimo. In tutti gli altri campi, la questione morale consiste nel discutere quale sia la condotta moralmente lecita e, viceversa, quale sia illecita, e per avventura, in una morale non rigoristica, quale sia indifferente, via via nei rapporti economici, sessuali, sportivi, tra medico e malato, tra maestro e scolaro, e così via. La discussione verte su quali siano i princìpi o le regole che rispettivamente gli imprenditori o i commercianti, gli amanti o i coniugi, i giocatori di poker o di calcio, i medici e i chirurghi, gl’insegnanti, debbono seguire nell’esercizio delle loro attività. Ciò che non è generalmente in discussione è la questione morale stessa, ovvero che vi sia una questione morale, che in altre parole sia plausibile porsi il problema della moralità delle rispettive condotte.
Naturalmente il problema dei rapporti fra morale e politica ha senso soltanto se si è d’accordo nel ritenere che esista una morale e in linea di massima su alcuni precetti che la definiscono. Per essere d’accordo sull’esistenza della morale e su alcuni precetti generalissimi, negativi come neminem laedere, positivi come suum cuique tribuere, non vi è bisogno di essere d’accordo sul loro fondamento, che è il tema filosofico per eccellenza su cui si sono sempre divise, e continueranno a dividersi, le scuole filosofiche. Il rapporto fra etiche e teorie dell’etica è molto complesso, e possiamo qui limitarci a dire che il disaccordo sui fondamenti non pregiudica l’accordo sulle regole fondamentali.
Se mai occorre precisare che, quando si parla di morale in rapporto alla politica, ci si riferisce alla morale sociale e non a quella individuale, alla morale cioè che riguarda azioni di un individuo che interferiscono con la sfera di attività di altri individui e non a quella che riguarda azioni relative, per esempio, al perfezionamento della propria personalità, indipendentemente dalle conseguenze che il perseguimento di questo ideale di perfezione possa avere per gli altri. L’etica tradizionale ha sempre distinto i doveri verso gli altri dai doveri verso se stessi. Nel dibattito sul problema della morale in politica vengono in questione esclusivamente i doveri verso gli altri.”
Bibliografia
Etica e Politica di Norberto Bobbio, da MicroMega 4/1986