Andrà tutto bene

Marco Sommariva

22 febbraio 2020

Christian, il mio compagno di cella, mi ha chiesto cosa sto scrivendo. Gli ho risposto che ho appena iniziato a tenere un Diario che aggiornerò settimanalmente. Christian ed io siamo cresciuti nelle stesse strade: inseparabili dai cinque ai tredici anni. È un bravo cristo e per questo qualcuno si chiederà come possa esser vero se è qua, in carcere. Dico solo che ha commesso un reato ‘comune’ la bellezza di quarant’anni fa e che la pena la sta scontando oggi: un vecchio che nulla ha a che vedere col giovanotto di allora. La legge è lenta, a volte lentissima, ma arriva.

23-29 febbraio 2020

Domenica 23 febbraio si sono chiusi i cancelli del carcere per i volontari e qualche giorno dopo hanno interrotto i colloqui tra noi detenuti e i nostri familiari: l’emergenza Covid-19 ha aggravato una situazione già estremamente difficile, fatta di sovraffollamento e della convinzione che punire significhi soltanto recludere e non utilizzare, quando e dove sia possibile, misure alternative.Chissà quando potrò rivedere i miei gioielli: i miei figli.Speriamo che questa Brutta Bestia del Covid-19 non entri nelle nostre celle; dovesse succedere, temo non avrei scampo: anni e anni di droga mi hanno reso fragile fisicamente, e non solo.

1-7 marzo 2020

Da più parti sentiamo dire che il contagio nelle carceri ha avuto percentuali nettamente inferiori rispetto all’esterno perché s’è accelerata la detenzione domiciliare di coloro che avevano i requisiti per richiederla. Difficile crederlo: le istanze presentate dai miei compagni, chi attraverso il proprio legale chi avanzata per proprio conto, sono state davvero tante ma non risulta ne sia stata accettata una. Di fronte a questa nuova realtà carceraria così statica mi rendo conto soltanto adesso quanto quella precedente che ritenevo lenta e monotona, fosse viva e movimentata. I colloqui continuano a essere vietati per motivi di sicurezza ma arrivano detenuti da altre carceri e tutti sostengono non sia mai stato fatto loro alcun tampone. Spesso sento dire ‘andrà tutto bene’.

8-14 marzo 2020

Arrivano notizie di rivolte che stanno dilagando un po’ ovunque, di reparti incendiati e detenuti sui tetti: pare siano coinvolti circa seimila carcerati in oltre venti Istituti di mezza Italia.È proprio vero che la realtà supera sempre la fantasia: nemmeno guardando i film più apocalittici avevo immaginato di potermi ritrovare, un giorno, topo di laboratorio a strillare tutta la mia paura di morire durante un esperimento. Urla che mi sono costate care: mi hanno picchiato in tre. A dir la verità, hanno pestato tutti: nella confusione che s’era venuta a creare per l’agitazione di noi detenuti, non hanno guardato in faccia nessuno, hanno spento le luci e colpito a destra e a manca. Mi hanno tenuto a terra coi piedi e mi hanno picchiato coi manganelli.Dopo due giorni sono finalmente riuscito ad alzarmi; ieri e l’altrieri non riuscivo, mi sentivo svenire: stavolta me ne hanno date veramente tante.

15-21 marzo 2020

Ho chiamato casa e ho detto di portarmi da mangiare perché siamo tutti alla fame: ci passano solo acqua e sigarette.Ci hanno tolto i fornelli.Dopo una settimana dalle manganellate, dove guardo trovo lividi nuovi. Li ho fatti vedere anche al Direttore. Mi ha risposto: “Capisco la tua contrarietà, ma ti assicuro che i tuoi stessi lividi li ho nel cuore per tutto quello che è successo.” Belle parole, senza dubbio, ma le parole possono attenuare, smorzare, nascondere la dimensione reale delle cose, non possono cancellarla.

Non provo alcun piacere nel riportarlo, ma credo che il Direttore mi tenga leggermente più in considerazione degli altri per via delle mie due lauree e della mia estrazione sociale

22-28 marzo 2020

Il Direttore ha voluto sapere se stessi meglio. Non è una persona cattiva ma, come chi non è mai stato in carcere, non può capire come si vive costretti in una prigione: per rendersi conto delle reali problematiche bisognerebbe introdursi in un penitenziario fingendosi un detenuto per un certo periodo. Sarebbe l’unico modo per scoprire le drammatiche condizioni in cui i carcerati si trovano: le violenze fisiche e psicologiche, i continui soprusi, lo sfruttamento cui siamo costantemente sottoposti e, non di rado, il lasciarci la pelle. Insomma, bisognerebbe fare come Robert Redford nel film “Brubaker”: una storia realmente accaduta.Non ho mai trovato il coraggio di dire al Direttore che, nonostante tutta la sua buona volontà, questo è un carcere con poche regole per niente chiare e per nulla durature, che qua comanda chi si alza per primo al mattino, elementi che decidono cosa possiamo e cosa non possiamo fare. Che infamia è una prigione! Qui c’è un veleno che sporca ogni cosa, qua dentro ogni bellezza svanisce: se vi trovate un uccello, ha del fango sulle ali; se cogliete un bel fiore e l’odorate, puzza.

29 marzo – 4 aprile 2020

È molto brutto in un periodo come questo restare in un luogo così buio: l’oscurità divora gli spazi.Solo un detenuto sa quanto si restringa lo spazio intorno anche in assenza di oscurità, così come solo lui sa che l’unica cosa a dilatarsi in prigione è il tempo. I riferimenti dello spazio e del tempo che avete voi uomini liberi, per un carcerato si dissolvono. Anche per questo non riusciamo a mantenere le distanze nonostante lo sbattersi di sorveglianti, medici, cappellani, psichiatri, psicologi, educatori e chi più ne ha più ne metta: perché il galeotto vive in un’altra dimensione ma a chi viene da fuori, questo, non entra in testa.Non è facile mantenere le distanze sociali, così come non è semplice avere le giuste mascherine e riuscire a igienizzare tutto.La paura è che questo virus mi porti via senza l’abbraccio dei miei figli. È un po’ la paura di tutti quella di non poter più riabbracciare i propri cari. Fra detenuti abbiamo iniziato a salutarci con l’incoraggiante ‘andrà tutto bene’.

5-11 aprile 2020

Mi mette tristezza vedere che i tredici detenuti, forse quattordici, morti durante le contestazioni avvenute in molti penitenziari d’Italia, per i media siano solo numeri privi anche della dignità dei nomi: un ritorno mediatico che trovo incomprensibile e ingiustificabile.

12-18 aprile 2020

Mentre in molti Istituti hanno concesso una telefonata al giorno e otto videochiamate al mese di un’ora l’una, qua non vogliono mollare più di quanto ci hanno dato: due telefonate e una videochiamata di quindici minuti alla settimana. Forse solo per metterci un po’ a tacere, ci è stato detto che per il mese di maggio le videochiamate saranno di mezz’ora ma sempre solo quattro al mese.La politica continua a chiudere gli occhi sulla situazione dei penitenziari, non saprei neanch’io se per cinismo o perché pensa a un ritorno, un consenso elettorale da spendere al momento giusto.

19-25 aprile 2020

I media deludono sempre più. La TV è invasa da tuttologi che hanno competenza su tutto e su tutti e, quel che è peggio, non hanno contradditorio.Le televisioni che lasciano ampio spazio a questi signori che dicono bianco un giorno e dopo un mese sostengono nero, sono le stesse che non specificano che le poche persone sinora uscite dal carcere sono tutte gravemente malate e che restano loro pochi mesi di vita.Per consolarmi, spesso mi racconto che se la grande quantità di droga che ho assunto nella mia vita non è riuscita a uccidermi, molto probabilmente anche questo virus non riuscirà a piegarmi. Sarebbe davvero uno scherzo crudele del destino se morissi a causa del Covid-19. Mi racconto tutto questo sforzandomi di non ricordare che le vittime sono quasi tutte anziane e persone debilitate per motivi di salute o altro, e che la droga rientra nella categoria ‘altro’, purtroppo. Sarebbe davvero un peccato non poter più combattere, aver perso la guerra contro un’altra Brutta Bestia, la Scimmia, senza la possibilità di combattere l’ultima battaglia; una sconfitta indiretta, è vero, ma pur sempre una sconfitta.

26 aprile – 2 maggio 2020

Spero che questo virus mi risparmi.Sono molto preoccupato per le persone care che ho fuori da qua.Vedo i telegiornali, sento ciò che accade in tutto il mondo e spesso mi commuovo fino alle lacrime davanti all’enorme quantità di decessi. Come per i detenuti morti, anche in questo caso le persone mancate per Covid-19 vengono ridotte a banali numeri, addirittura in grafici. Nonostante le lacrime e un forte e nuovo senso di vuoto, bisogna superare la paura e cercar di vedere la luce in fondo al tunnel.Dopo il male viene sempre il bene, diceva mia nonna. Sono certo avesse ragione lei ma, intanto, sono ridotto in una condizione che invece di sognare la libertà come accadeva una volta, sogno continuamente le salette del carcere che tornano a ospitare i miei compagni, le nostre discussioni, a volte belle altre volte pesanti ma sempre delle boccate d’ossigeno nell’apnea della detenzione.Tempo fa mi sarei arrabbiato tantissimo se mi fossi svegliato dopo aver sognato la vita in carcere, l’avrei ritenuto un incubo. Ora no.

3-9 maggio 2020

Ho presentato anch’io domanda di scarcerazione anche se so già che non ci sarà niente da fare. Qua ti riconoscono le patologie solo quando sei in punto di morte e, a quel punto, accolgono le domande di sospensione pena solo per non allungare troppo l’elenco dei morti in carcere. Siamo tutti presi dalla paura di essere infettati, e questo ci priva di quelle piccole cose che ci hanno sempre aiutato, come una stretta di mano o un abbraccio. Fa impressione sentire quanti cittadini sono colti a spostarsi senza motivo: di certo non pensano a noi detenuti che viviamo la loro stessa situazione ma costretti in carcere, in totale assenza di libertà, e che nonostante tutto non molliamo e andiamo avanti.Non credo ci sia mai un momento in cui il cittadino medio pensa a noi.Il cittadino medio ride, batte le mani, applaude ogni qualvolta vede qualcuno tradotto in carcere, senza mai porsi il dubbio se davvero quell’uomo abbia sbagliato e, se sì, se la Vita gli abbia messo a disposizione almeno un’alternativa per non commettere errori; eppure, tra quella folla di teste consenzienti alcune sono destinate a raggiungerci: è più facile di quanto ognuno di loro riesca a immaginare.

10-16 maggio 2020

È stato organizzato un gruppo di lavoro con un infettivologo, tutti convinti che possa aiutare a capire, a fare un po’ più di chiarezza.È arrivato il medico per la lezione, ma non è servito a nulla: non era un compito semplice portare un po’ di luce dentro un mondo sprofondato negli abissi della disperazione. Fuori regna ancora il caos, figuratevi fra noi.

Continuiamo a percepire questa minaccia che arriva dall’esterno: il silenzio di chi sta fuori lo sentiamo in maniera particolare e amplifica le nostre ansie, paure, angosce, le nostre solitudini. Oggi con Christian si diceva che avremmo preferito che i cittadini avessero continuato a non mandarci alcun tipo di messaggio, anziché questo vuoto pneumatico che ci risucchia sempre più velocemente verso il fondo inesistente di questo pozzo nero infinitamente lungo. Oggi gli unici rumori arrivati da fuori sono state le sirene delle ambulanze: per chi ha ancora un briciolo di salute mentale c’è da impazzire. Gli unici momenti in cui si riesce a non pensare al Covid-19 – scrivo Covid-19 ma va letto sofferenza fisica, morte – è durante l’ora d’aria: troppo poco per le lancette incollate ai nostri quadranti. La frase ‘andrà tutto bene’ inizia a innervosirmi.

17-23 maggio 2020

Fuori il virus persiste e, purtroppo, è riuscito ad attraversare le sbarre: il primo contagiato è di oggi, un detenuto che è stato portato via, trasferito in un ospedale ben attrezzato, dicono.Si vive sperando che il primo contagiato resti l’unico.La tensione sale; per questo, da oggi ci sono alcune novità: sono stati programmati colloqui quotidiani via telefono e videochiamate più frequenti coi familiari, e si comincia a produrre mascherine al nostro interno.Le novità di ieri non sono bastate per calmare le acque: c’è elettricità nell’aria.Stamattina ho sentito arrivare dal corridoio dei rumori che si facevano via via più vicini e più forti: erano decine e decine di detenuti del piano di sotto. Ho sentito rabbia e grida. Ho visto distruzione. È successo tutto molto in fretta. Talmente in fretta che la sera la rivolta era già sedata.Il giorno dopo la rivolta siamo tutti in ginocchio: gli operatori, gli agenti e noi detenuti tutti chiusi nelle nostre celle. I corridoi sono deserti, i vetri rotti, i libri bruciati, le stanze di socialità piene di macerie. Fa male vedere tutti i miei compagni nuovamente chiusi dietro le sbarre, fa male vedere i luoghi distrutti, così come fa male ricordare che sino a qualche settimana fa cantavamo i cori accompagnati dalle chitarre, dalla fisarmonica e dal pianoforte di cui oggi restano solo i tasti rotti e un cumulo di pezzi in terra.Il carcere è sovraffollato, siamo un terzo in più della capienza massima, troppi per riuscire a gestire le pressioni che ogni individuo – detenuto o agente non fa differenza – può affrontare senza un adeguato sostegno psicologico. Specie in un periodo come questo. Da tempo, i risvolti di una tale situazione sono tristemente noti: pestaggi, tentati suicidi e autolesionismo. Non è un problema solo nostro, ma di tutto il Paese: nelle carceri italiane il sovraffollamento medio è del 119% e gli eventi critici aumentano continuamente.Il carcere che dovrebbe essere la misura estrema, è sempre più la ‘prima scelta’, un ottimo narcotico delle coscienze: l’immagazzinamento di anime dannate dentro a stanze chiuse al mondo esterno, rimanda all’infinito i problemi di questa Società infernale. Oggi pare sia stato portato via un secondo contagiato.

24-30 maggio 2020

Sono venuto a sapere che fra i tredici morti nelle rivolte messe in atto in più di una prigione, c’è anche un mio caro amico detenuto per furto e utilizzo di una carta di credito rubata. Dai primi rilievi, è emerso che i ribelli sarebbero morti per avere ingerito metadone e altri medicinali saccheggiati dalle infermerie ma, al momento, è ancora ignoto l’esito dei test tossicologici e sierologici, così come non sono ancora emersi i dettagli dei tumulti. Si chiamava Fabrizio, ed era la persona più simpatica del mondo. Chissà come l’avranno toccato. Forse per niente, o forse per menarlo, o forse come si tocca la carne inerme, magari con tenerezza, più verosimilmente con schifo, ma in ogni caso senza preoccuparsi troppo del suo stato. Un vero peccato andarsene così, a due mesi dalla definitiva scarcerazione. Fabrizio aveva già rischiato di andarsene anni fa, in un altro Istituto, durante una protesta avvenuta in risposta a uno sciopero dei direttori dei penitenziari che aveva avuto la conseguenza di lasciare i prigionieri in condizioni di invivibilità; ne conseguì un pestaggio violentissimo perpetrato dalle stesse guardie che avevano incitato i detenuti a protestare. Fu terribile. I prigionieri vennero picchiati selvaggiamente, torturati, buttati giù dalle scale, umiliati in ogni modo possibile e tutti gli oggetti nelle celle furono distrutti. Fu un miracolo che tutti si salvarono. I giorni dopo con delle scuse vennero annullati i colloqui per evitare che i parenti potessero vedere i loro cari nelle condizioni in cui erano stati ridotti. Una mossa che, per fortuna, non bastò: una settimana dopo lividi e fratture erano ancora evidenti e così scattò la denuncia pubblica e legale dell’accaduto. Nei racconti dei detenuti il capo delle guardie venne descritto con indosso uno spolverino bianco, in piedi sopra un tavolo dell’aula dei colloqui a urlare per incitare le guardie al pestaggio.Il secondo contagiato non ce l’ha fatta: era asintomatico e pare sia deceduto poco dopo il ricovero in ospedale.Oggi mi hanno misurato la febbre: era leggermente sotto i 38 gradi, ma non posso dire di star male. In infermeria mi hanno detto di star tranquillo, che andrà tutto bene.

* * *

Post scriptum: mi spiace molto non poter più rivedere i miei figli. Se state leggendo queste mie ultime righe è perché Christian, il mio compagno di cella, ha esaudito il mio desiderio: rendere pubblico il mio Diario e questo mio post scriptum. Sì, avete capito bene: non ce l’ho fatta. Vi lascio con questa frase tratta da “L’ultimo giorno di un condannato a morte” di Victor Hugo, un’opera di circa duecento anni fa: “Ma in fondo, che cos’ha la vita perché io debba tanto rimpiangerla? Solo un po’ di luce fioca, il tozzo di pane nero del carcere, la povera razione di brodaglia presa dalla marmitta dei galeotti; e venir maltrattato, malmenato dai carcerieri, dagli aguzzini – proprio io, affinato all’educazione –, non vedere mai un essere umano che mi creda degno di una parola e a cui rispondere, trasalire di continuo per quello che ho fatto e che mi faranno: son questi, pressappoco, i soli beni che il boia possa togliermi”?

Ho finito. Grazie.


Marco Sommariva è nato a Genova nel 1963. Ha pubblicato i romanzi “Il cristallo di quarzo” (1999), “Vorompatra” (2003), “Fischia il vento” (2005), “Il venditore di pianeti” (2006), “Lottavo romanzo” (2013) e “L’uomo degli incarichi” (2019) per Sicilia Punto L, “L’Osteria dei Soprannomi” (2014) per Chinaski e una seconda edizione de “Il venditore di pianeti” (2008) per Marco Tropea; i saggi “Ribelli 1000-2000” (2002), “Lula”(2003) e “Pillole situazioniste” (2005) per Malatempora, “Written in the U.S.A.”(2016) e “Italian Graffiti” (2017) per Antonio Tombolini, “Indispensabile” (2019)per Ventizeronovanta e “Sbirri!” (2019) per More Nocturne Books; diversi racconti, fra cui “Cronaca di una morte annunciata” (2011) nell’antologia “Per sempre ragazzo” per Marco Tropea e “Siamo carne da macello”(2018) nell’antologia “Fuoco!” per Red Star Press. www.marcosommariva.com