Analisi dei discorsi retorici da Ulisse a Obama

INTERVISTA AD ADRIANO PENNACINI

di Mauro Carosio*

Adriano Pennacini (Torino 1929) ha insegnato lettere italiane, latine e greche nel liceo di Stato fino al 1969, quando è stato chiamato dall’Università di Lettere e Filosofia di Torino. Qui ha insegnato letteratura latina, storia della retorica classica e infine retorica e stilistica. E’ stato preside di facoltà dal 1984 al 1993. Dal 2007, su proposta della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, gli è stato conferito dal Ministro dell’Università e della ricerca il titolo di professore emerito. Ha studiato la retorica antica e moderna in quanto strumento di composizione e di analisi di testi, anche nell’ambito delle scienze e tecniche contemporanee della comunicazione. Ha pubblicato diversi articoli, saggi e una storia della letteratura latina /con Gian Franco Gianotti). Nel 2000 ha partecipato, in qualità di esperto, a “Gorgia, la retorica in TV” una trasmissione televisiva condotta da Corrado Augias e Michele Mirabella in dieci puntate per RAI Educational. Per Giulio Einaudi Editore ha curato la traduzione italiana delle Guerre di Giulio Cesare (1993) e dell’Istituzione Oratoria di Quintiliano (2001). Nel 2002 ha pubblicato per le Edizioni dell’Orso, Forme del pensiero. Studi di retorica classica, nel 2015 Discorsi eloquenti da Ulisse a Obama e oltre, una voluminosa raccolta di discorsi antichi e moderni, con relative analisi, che ha lo scopo di dimostrare la durata e la persistenza della retorica in quanto pratica e tecnica della comunicazione persuasiva sia nei rapporti tra le persone sia nell’azione politica e culturale.

L’intervista che segue ha come oggetto quest’ultimo testo di Adriano Pennacini.

Qual è la retorica efficace per cercare il consenso?

Nel mondo antico, in particolare i greci e poi in seguito i romani, hanno sviluppato una serie di sistemi per discutere intorno a temi e a trovare, come osserva Aristotele, i mezzi di persuasione. La persuasione si ottiene attraverso due percorsi. Quello dell’emozione e quello del ragionamento, questi sono i due mezzi efficaci. Il sistema del ragionamento inoltre passa attraverso la deduzione, stiamo parlando degli entimemi, o attraverso l’induzione e parliamo degli esempi. Se si pensa ai modi tutt’ora in uso anche da persone che non hanno studiato, ci rendiamo conto che queste due vie per la persuasione continuano a essere usate, non si sono limitate all’antichità. Noi viviamo in un’epoca in cui sulla retorica si sono esercitati tutta una serie di divieti, di disprezzi. La parola retorica è quasi diventata un insulto. Ha trionfato il romanticismo che ha insegnato per alcune generazioni a scrivere come il cuore ti detta. La retorica si presenta invece come un sistema che rielabora il sentire e gli dà forma appunto persuasiva. Cito, per esempio, il famoso sistema per scrivere una narrazione cosiddetto “dei sette approcci” che sono stati formulati in forma di un verso di un esametro: “quis quid ubi quibus auxiliis, cur, quomodo, quando?”. E’ un esametro e rappresenta sette loci o luoghi nel senso di approcci al tema, e il tema è narrazione. Quis quid (cosa racconto): racconto chi, quis, ha svolto l’azione; quid: quale azione ha fatto; ubi: dove; quibus auxiliis: con quali mezzi; cur: perché; quomodo: come; quando: la cronologia dei fatti. Fra le cose che i giovani romani e greci studiavano, quei pochi che ne avevano il privilegio, ci sono proprio queste sette “circumstantiae”, così le chiamavano i romani, è una traduzione letterale dall’espressione greca. Noi abbiamo ancora il ricordo dell’uso di questa parola, circostanza, quando andiamo eventualmente a denunciare un fatto criminoso e ci viene chiesto di fare una descrizione circostanziata, che vuol dire identificare l’autore, la definizione dell’azione ecc. probabilmente la parola circostanziato/circumstantia segnala uno degli aspetti più efficaci di una narrazione.

Professor Pennacini cos’è la retorica?

Retorica è un termine che deriva dal greco. Rhetorichè è un aggettivo che sottintende tecnè che era tradotto dai romani con ars quindi arte. Però attenzione: l’arte retorica è la tecnica della composizione del discorso, questo è il significato specifico di ars rhetorica. Tecnica, in quanto la parola ars, che i romani adoperano per tradurre tecnè che significa precisamente tecnica, non è l’arte con le connotazioni romantiche dell’ispirazione del sentire. Quindi nel comprendere quanto ci dicono gli antichi dobbiamo fare attenzione a non sovrapporre il nostro sentimento linguistico riguardo a questa parola, tecnè. Cicerone stesso nel riferire sulla origine della retorica sostiene che prima che esistesse la retorica le persone parlavano secondo buon senso. A un certo punto a Siracusa, lì viene collocata l’origine della retorica, i politici inventano un metodo per persuadere sul piano politico i concittadini. Si incomincia quindi a stabilire in che modo si inizia un discorso, per esempio, o come si identifica il nocciolo del discorso o il punto essenziale sul quale si regge la dimostrazione. Questa tecnica -faccio presente che i romani chiamano tecnica, cioè ars, anche l’arte di fare le scarpe – diventa in un paio di generazioni un’arte di apprendere a parlare in pubblico cosa a cui già Omero accennava quando si riferisce a Achille che fin da giovane fu addestrato non solo al combattimento con le armi ma anche a parlare e a cercare il consenso nelle assemblee. Quindi la retorica viene introdotta dai siracusani, nel quinto secolo a.C. come pratica democratica assembleare per la definizione delle azioni politiche. Sempre in quel periodo diviene anche un sistema scolastico di istruzione e apprendimento da parte della classe dirigente e viene anche esportato dalle città greche dell’Italia meridionale, la cosiddetta Magna Grecia, a Roma. C’è persino una polemica interessante nel senso che nel 92 a. C. (è il tempo di Gaio Mario) vi fu un editto dei censori che ordinava la chiusura delle scuole dei Rhetores Latini che insegnavano la retorica in latino, con l’accusa che i giovani oziavano e imparavano la sfrontatezza, mentre ai patrizi (gli Scipioni) e ai nobili (i Licini) piacevano professori che insegnavano in greco.

Come nasce il suo interesse per l’argomento?

Quando ero al principio della mia carriera conobbi il professor Italo Lana, il quale aveva in mente di realizzare una squadra di studiosi che coprissero i vari aspetti della cultura classica. Tra questi aspetti c’era appunto la retorica in quanto pilastro della formazione dell’uomo politico come sostiene Cicerone quando dice che occorre un uomo che conosca da una parte lo stato d’animo della cultura del suo tempo e dall’altro la formazione stessa di questa cultura nella quale c’è la retorica. Lo sforzo di Cicerone fu proprio quello di rielaborare la cultura retorica greca in termini latini e romani. Bene, il professor Lana mi affidò questo incarico. Altra cosa fu quando andai in pensione e pensai di estrarre dalla mia carriera una serie di seminari che avevo tenuto e che avevano per oggetto gran parte di questi autori a cominciare da Omero proprio perché gli stessi greci sostenevano che Omero oltre ad avere fondato la letteratura greca fondò anche la retorica classica. Nel mio libro ho esaminato, all’inizio, il discorso fatto da Ulisse a Nausicaa. Ulisse arriva nudo a nuoto sulle coste del regno dei Feaci si addormenta stanco e si risveglia sentendo voci femminili. Sono le ancelle di Nausicaa che fanno il bucato. Ulisse decide di presentarsi. Si copre le pudende con un ramo e tiene un discorso completo alle signore per convincere Nausicaa ad aiutarlo. Questo è uno dei primi discorsi in cui mi sono imbattuto e che mi ha colpito per la capacità di persuasione dell’oratore.

Quel è stato il criterio per la scelta degli oratori che ha analizzato nel suo testo?

Il criterio generale è stato quello di trovare dei discorsi nei quali tutta o gran parte della tecnica retorica venisse usata, con particolare attenzione agli strumenti dell’argomentazione e cioè l’entimema come ragionamento deduttivo e l’esempio come ragionamento induttivo. Ho cercato quindi di esaminare una raccolta dei procedimenti di persuasione. Partendo dai tempi antichi troviamo Cesare non tanto per un discorso in prima persona ma perché nel De bello Gallico ogni tanto compaiono dei discorsi molto interessanti, per quanto riguarda la nostra analisi, anche messi in bocca a dei Galli. Cicerone compare più volte. Interessante una parte del discorso Pro Milone, che aveva ucciso Clodio, un avversario di Cicerone. Cicerone difende l’assassino dicendo che uccidere Clodio, il quale minacciava lo stato e la repubblica, era un’opera meritevole. Ecco, proseguendo, Catone il vecchio il quale parlò nel 167 a.C. in senato a favore degli abitanti di Rodi che durante la guerra tra Roma e la Macedonia, benché fossero amici del popolo romano, tentarono tuttavia di aiutare i macedoni. Di questo vennero chiamati a rendere conto dopo la vittoria dei romani. Il succo del discorso è che in realtà Rodi per timore di avere a che fare con un unico potentato, e cioè Roma, preferiva avere dei rapporti anche con degli avversari di Roma in modo da mantenere un equilibrio nei rapporti esteri.

Dopo l’epoca classica quali sono i personaggi che, secondo lei, si sono distinti per le loro capacità oratorie?

Il primo grande oratore non dell’epoca classica, ma dell’inizio del medio evo, sarebbe Carlo Magno.  Naturalmente c’è una riserva da far presente: Carlo Magno in realtà non aveva studiato la retorica da ragazzo, ma più tardi.  Però aveva scelto lui stesso un monaco inglese Alcuino il quale conosceva bene la retorica classica. C’è un dialogo tra Carlo Magno e Alcuino, il quale venne invitato da Carlo Magno in Gallia che ormai era la Francia, il paese dei franchi, a presiedere una biblioteca e una scuola per la formazione dei politici ai quali Carlo Magno, imperatore, tendeva delegare il governo. Dopo Carlo Magno passo a Dante. Di Dante avevo trattato in un seminario l’ultimo canto del Paradiso: “Vergine madre, figlia del tuo figlio”. Qui c’è l’opera fondamentale di Dante che è quella di rielaborare la retorica come disciplina classica e cioè pagana e farla diventare cristiana. Questo avviene attraverso la figura retorica dell’ossimoro: “Vergine madre, figlia del tuo figlio (…) tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti sì che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura”. Dante sta parlando della reincarnazione in un verso pieno di ossimori. Dopo Dante c’è una lacuna che mi è stata fatta notare. Purtroppo non ho trovato qualcosa che rappresentasse il Petrarca e quindi non c’è. C’è il Boccaccio che fa tenere un discorso a una donna che propone ad altre donne di ritirarsi in campagna (a Firenze c’è la peste) in un locus ameno. Interessante perché le donne in questo caso non sono emarginate me prendono decisioni in autonomia. Nella retorica i luoghi hanno un ruolo importante. E sono un modo fondamentale di rappresentare la realtà: c’è il locus ameno che è costituito da un angolo di natura con ruscello che gorgoglia e porta acqua fresca, un albero, una quercia per esempio all’ombra della quale i poeti compongono. Esiste alche il locus horridus cioè che fa rizzare i capelli, dal verbo latino horreo. Dopo il medio evo andiamo al Machiavelli nelle sue storie fiorentine dove troviamo il discorso di Lorenzo il Magnifico dopo l’assassinio di Giuliano De Medici in chiesa. Il fratello minore di Lorenzo viene ucciso dalla congiura dei Pazzi per il potere della repubblica. La famiglia Pazzi verrà eliminata. Lorenzo il Magnifico in chiesa fa un discorso illustrando la sua politica in maniera molto chiara che a noi è pervenuto da Machiavelli. Entrambi in ogni caso grandi conoscitori dell’arte retorica. “E veramente quando io penso con quanta fraude, con quanto odio io sia stato assalito, ed il mio fratello morto, io non poso fare non me ne contristi, e con tutto il cuore e con tutta l’anima non me ne dolga”. Avvicinandosi ai nostri giorni ho fatto una scoperta curiosa e cioè Napoleone che pur essendo l’imperatore dei francesi parlava perfettamente l’italiano. Essendo corso aveva studiato in italiano poi andò in Francia dove per alcuni anni frequentò una scuola militare e venne poi a 16 anni arruolato nell’esercito francese. In occasione della sua vittoria in Italia nel 1802 a Lione tiene ai delegati della Repubblica Cisalpina un discorso in Italiano, che viene da lui stesso tradotto in francese. Napoleone in quel momento primo console descrive e racconta la origine della repubblica cisalpina che in seguito verrà trasformata in Regno d’Italia. Il discorso è interessante e merita una lettura. “La Repubblica Cisalpina, riconosciuta a Campo Formio ha già provato molte vicende. Male riuscirono i primi sforzi fatti per costruirla. Invasa dappoi dalle armate nemiche, la di lei resistenza non pareva più probabile, allorché il popolo francese scacciò con la forza delle armi sue, i vostri nemici del territorio.” Dopo Napoleone ho scelto il Foscolo di cui ci è pervenuto il discorso inaugurale (la prolusione) al corso di eloquenza latina e italiana, che è il successore della retorica e l’antecedente della definizione di materia come letteratura che noi abbiamo oggi nelle nostre università. Prima dell’illuminismo e della Rivoluzione Francese si insegnava la retorica e l’eloquenza che vuol dire più o meno la stessa cosa. La retorica applicata diventa eloquenza. Il Foscolo scrisse un discorso “dell’origine e dell’ufficio della letteratura” ufficio nel senso di funzione. In questo discorso c’è un attacco ferocissimo all’uso della retorica perché Foscolo era un romantico in pectore nonostante la sua formazione classicistica. Quindi attacca la retorica perché nel suo uso e ai suoi tempi era un’arte non solo di persuasione ma anche un artificio per sbalordire e meravigliare il pubblico.

Ha parlato di Risorgimento e Romanticismo. Cosa succede in quel periodo?

Ho toccato alcuni personaggi del risorgimento come per esempio Carlo Cattaneo: Carlo Cattaneo era un milanese che sosteneva il risorgimento attraverso una confederazione di stati italiani e non attraverso l’unità fatta sotto i Savoia. Cattaneo a un certo punto emigra in Svizzera perché era avverso ai Savoia. Poi c’è Cavour che con un discorso che ci lega ai nostri tempi interviene sul traforo del Frejus, equivalente più o meno alla tematica odierna legata all’alta velocità in val di Susa.  Cavour dice che o si fa il traforo o si perisce.  Il discorso è stato fatto specificamente per persuadere il parlamento subalpino   a stanziare una somma di circa 50 milioni di lire del tempo per fare il traforo che venne poi finito nel 1871. Cavour era già morto. Voglio ricordare ancora un discorso interessante dell’epoca pre-risorgimentale, nell’Italia delle repubblichette come si usava dire allora, parlo di un discorso tenuto in francese al parlamento subalpino da un militare, un certo Aviernoz. Fino al 1861 il regno Sardo comprendeva la Sardegna la Liguria il Piemonte e la Savoia. Il traforo del Frejus è concepito per collegare due regioni dell’unico stato del Regno Sardo. A rappresentare la Savoia c’erano dei parlamentari che avevano la licenza di parlare in francese. Aviernoz, un savoiardo appunto, sostiene, parlando della scontentezza dei savoiardi, “questa separazione tra Piemonte e Savoia è stata vinta nella storia, perché c’erano dalle due parti di questa barriera le Alpi e due popoli che non erano francesi né italiani”, attribuendo ai piemontesi un carattere non italiano suscitando quindi le proteste dei deputati piemontesi. Lui conclude dando una dichiarazione di appartenenza etnica e cioè dice: “moi je suis savoiard” e aggiunge: “amalgamarci con gli italiani non sarà possibile ma io non sono né francese né italiano, sono un savoiardo”. Poi mi sono lasciato un po’ guidare dalla risonanza politica di alcuni personaggi per esempio Vittorio Emanuele II che tiene il famoso discorso del “grido di dolore” nel 1859, con l’appoggio esterno di Napoleone III, che chiede in cambio la Savoia. Viene preparato un attacco all’impero austriaco e Cavour scrive una bozza di questo discorso che poi viene mandato a Vittorio Emanuele II: “Non siamo insensibili al grido di dolore che si leva da varie parti d’Italia” che prevedeva e precorreva il movimento del Regno Sardo per conquistare l’Italia.

La retorica non ha più solo la parte raziocinante, bensì anche tropi e figure idonei ad esprimere sentimenti ed emozioni; del resto il romanticismo chiede sempre maggiore spazio per sentimenti e per le emozioni stesse. Noi riteniamo il sentimento come una emozione durevole ma può essere anche un’emozione momentanea. Un discorso di Garibaldi a tal proposito è emblematico. Garibaldi in pieno risorgimento dice “i popoli delle province libere alzino potente la voce in favore dei militi fratelli” nel senso che lui sostiene, sulla base delle sue informazioni, che in Sicilia si muovevano già delle bande armate di ribelli e qui manifesta l’intenzione di partire per aiutarli. “E spingano la gioventù generosa ove si combatte per la patria in Sicilia, le Marche, l’Umbria, la Sabina, Roma, il napoletano insorgano per dividere le forze dei nostri nemici”. Ecco Garibaldi riesce a integrare l’emozione con la pianificazione di un progetto militare e questo è un notevole esempio di capacità retorica. Lui era guidato dai fatti. E’ importante citarlo. “e non si ascolti per Dio la voce dei codardi che gozzovigliano, armiamoci e pugnamo per i fratelli che domani pugneranno per noi”.  C’è chiaramente l’idea della reciprocità confederale.

Arriviamo al ‘900, quali personaggi hanno lasciato il segno per le loro abilità retoriche?

Partiamo da Lenin. Lenin faceva discorsi lunghi. Nel mio testo ho analizzato un discorso breve che è quello pronunciato alla chiusura dell’undicesimo congresso del partito comunista bolscevico di Russia. Anche questo discorso è concepito secondo lo schema classico c’è un esordio e poi una narrazione, che è in sintesi la rivoluzione. La Rivoluzione Russa. Lenin dice “qualcuno sostiene che il nostro partito ha perso la sua elasticità. Non è vero! Il partito è capace di scegliere gli obiettivi della propria azione”. Naturalmente in quel momento Lenin incarna il partito tanto è vero che alla fine dice “Quando si rese evidente che il nostro reparto d’avanguardia della rivoluzione correva il pericolo di staccarsi dalle masse popolari e contadine allora unanimemente e fermamente noi retrocedemmo mantenendo in generale un ordine rivoluzionario”. Il problema dei contadini è famoso ci fu una repressione feroce della resistenza dei contadini alla nazionalizzazione delle terre. “Il partito nel suo complesso ha capito, e lo proverà con la sua opera, che è necessario indirizzare il lavoro in tal modo, cioè nella convinzione dei contadini e sapremo raggiungere il nostro scopo”. Questo viene interpretato come il primo passo verso l’unanimità.

Ho visto che nel suo libro parla poco di Mussolini.

Si di Mussolini cito solo il discorso del ’36 sulla conquista dell’impero. Qui l’emozione è sempre più dominante e prende la forma del mito. “Dopo trenta secoli ritorna nel cielo di Roma l’impero” una visione fatalistica e provvidenziale, ovviamente una provvidenza non cattolica. 

Dopo il fascismo è cambiato qualcosa nel modo di persuadere gli italiani?

Il primo grande oratore della repubblica è Luigi Einaudi il quale punta tutto sulla formazione intellettuale degli italiani e a un ritorno alla razionalità. “Signori Senatori! Signori Deputati! Il giuramento che ho testé pronunciato, obbligandomi a dedicare gli anni, che la costituzione assegna al mio ufficio, all’esclusivo servizio della nostra madre patria, ha una significazione, che va al di là della scarna solenne sua forma”. A seguire incontriamo Sandro Pertini il quale cerca anche lui di razionalizzare l’emotività. Di Pertini ho citato il discorso del suo giuramento: “Onorevoli senatori, onorevoli deputati, signori delegati regionali!  Nella mia tormentata vita mi sono trovato più volte di fronte a situazioni difficili e le ho sempre affrontate con animo sereno, perché sapevo che sarei stato solo io a pagare, solo con la mia fede politica e con la mia coscienza”.   Andando avanti con gli anni ho trovato interessante un discorso di Giovanni Paolo II che riguarda la dignità della persona umana, fondamento di giustizia e di pace. Il discorso è stato tenuto all’ONU nel 1979. Il papa vuole dimostrare l’importanza della persona e dei sentimenti condivisi fra tutti, ma anche capaci di una unione che lui vede possibile attraverso la chiesa. Poi ho citato un discorso famoso di Isac Rabin che tenne negli Stati Uniti a fianco di Clinton e di Arafat.  Rabin sostiene, citando un passaggio della Bibbia, che “abbiamo avuto il nostro periodo di guerre e di odi, ora è venuto il momento della pacificazione”.

E veniamo agli oratori dell’ultimo periodo storico: Berlusconi, Obama e Renzi in che modo saranno ricordati?

Partiamo con Berlusconi e con il suo discorso per la discesa in campo nel 1994. E’ un momento interessante nel senso che Berlusconi tiene un discorso preparato per la televisione, da fare in televisione nelle ore di massima udienza. Difatti venne trasmesso al mattino, in un orario in cui le casalinghe mentre preparano il pranzo guardano maggiormente la tv, ascoltano e magari poi votano. L’aspetto emotivo è di nuovo molto forte in due forme; una al principio quando Berlusconi dice “l’Italia è il paese che amo, dove ho trascorso la mia gioventù e ho imparato a fare il mio mestiere di imprenditore da mio padre” Porta quindi avanti una quantità di elementi emotivi tra cui perfino il papà e la famiglia. E poi c’è l’augurio e la previsione del futuro che è esplicitamente caratterizzato dal lato emotivo. Berlusconi dice: “ho fatto un sogno ad occhi aperti ci sarà un nuovo miracolo economico lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti”. La prevalenza dell’emozione è qui dominante. Mentre Rabin pregava, lui fa previsioni e sogni per il futuro.

Obama è un grandissimo oratore. Qualcuno sostiene un po’ malignamente che deve le sue elezioni più al fatto di essere un grande oratore che un grande politico. Ho esaminato alcuni passaggi del suo victory speech, il discorso per la prima vittoria del 2008. Obama è capace di integrare la mozione degli affetti con il ragionamento, con il l’entimema e col procedimento per deduzione: “l’America è stata costruita mattone su mattone, pugno su pugno, col lavoro manuale e noi rifaremo questo paese che ha bisogno di ritornare alle sue origini. Un governo del popolo, per il popolo, con il popolo”. Citazione di Lincoln senza rinvio.

Interessante il caso di Beppe Grillo che ricorda un grande satirico latino e cioè Giovenale il quale con la sua polemica moralistica fa una serie di affermazioni che Grillo, evidentemente senza saperlo, ha riassunto. Giovenale parla dell’uso spregiudicato della menzogna e Grillo dice “i politici sono capaci innanzitutto di presentare il loro programma con promesse che poi scompariranno, sono anche capaci di tenere discorsi con i quali sostengono cose completamente diverse o avverse a quelle sostenute poco tempo prima o addirittura nel medesimo discorso. Si contraddicono”. Questo lo dicono sia Grillo che Giovenale.  Il compito principale della diatriba, che vuol dire della satira dei cinici, in Grecia consisteva nel far emergere tramite l’ironia quello che sta nascosto dietro al discorso ufficiale.

Renzi non lascia un gran segno. Nel discorso di inaugurazione del suo governo per ottenere il voto di approvazione del senato non racconta fatti ma presenta una situazione sociale ed economica sfavorevole. Renzi annuncia che ci saranno degli interventi su tutta una serie di problemi, ma non parla di questi interventi li annuncia un po’ come fa Trump; entrambi annunciano che faranno questo o quest’altro per risolvere il tale problema senza spiegare come.  La descrizione della situazione è a volte addirittura catastrofica e la proposta di azione per correggere questa situazione catastrofica è solo annunciata.

Nel suo libro non ha potuto citare due personaggi che oggi occupano tanto spazio dalle TV ai social. Sto parlando di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni. Se dovesse scrivere qualcosa su di loro che cosa direbbe?

Di Salvini ho avuto occasione di parlare nel corso di una conferenza che riguardava i cambiamenti in atto nella politica italiana. Avevo notato che gli interventi di Salvini erano tendenzialmente diretti a suscitare scandalo o scalpore tant’è vero che usava, come credo faccia ancora adesso, parole e concetti che Cicerone stesso sconsigliava di inserire nella orazione perché sconci e osceni. Per esempio quando all’epoca si parlava di rem pubblicam castratam Cicerone spiega che ci sono due difetti oratori in questa frase: parlare di castrare non è corretto. E parlare di castrare un soggetto femminile non ha senso. Giorgia Meloni di quel tanto che ho sentito in televisione, a mio parere ha individuato chiaramente due versanti: uno è quello delle sue dichiarazioni di carattere politico a cui si riconosce particolare chiarezza; ma dall’altra parte c’è un’abbondante componente emotiva sia nell’indirizzare gli stati d’animo del pubblico sia nel prendere lei stessa degli atteggiamenti in prima persona. Un esempio tra tanti quando la Meloni dichiarò alla senatrice Liliana Segre, la sua solidarietà sul piano personale ma non su quello ideologico.

Oggi come si ottiene il consenso?

A giudicare da come va la politica sembrerebbe che il consenso oggi non sia un consenso particolarmente durevole né molto forte. E’ soggetto a variazioni.  Si veda il caso dei 5 stelle: nel giro di poco tempo hanno perso una quantità incredibile di voti. Oggi il consenso si ottiene esponendosi in prima persona parlando alla pancia e mettendo il sé al centro del discorso.  Nella retorica classica l’atteggiamento generale è dire poche cose di sé. Oggi è esattamente il contrario. L’individuo diventa auctoritas e testimonial di uno stato d’animo, il suo.


*Mauro Carosio, antropologo, è Scientific Advisor cattedra UNESCO, Antropologia della salute, biosfera, sistemi di cura presso l’Università degli studi di Genova.