Narciso e il calar della sera. Perché la notte arriva piano piano, ma arriva

di Paolo Chiappero*

La vecchiaia ci segna più rughe nello spirito

che sulla faccia

(M. de Montaigne, 1533-1592)

Pochi sanno essere vecchi

(F. de La Rochefoucauld 1613-1680)

La Rochefoucauld (in esergo) sembra sottintendere che diventare vecchi, al netto della componente anagrafica, comporti un’attitudine, una capacità (rubricabile nel saper essere).

Ci rammenta, di converso, l’aforisma di Pablo Picasso: <<Ci si mette molto tempo a diventare giovani>>.

Giovani o vecchi, non è facile esserlo, e per qualcuno è più difficile che per altri.

La caducità, ovverosia il fenomeno per cui cose e persone sono destinate a cadere e perire (come recita l’enciclopedia Treccani) è stato oggetto anche dello scritto omonimo di Freud (1915).

Il padre della psicoanalisi scrive, opponendosi alle argomentazioni di un giovane e anonimo poeta che lo accompagna in una passeggiata nelle Dolomiti: <<Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio>>.

La conversazione verteva sul pensiero del venir meno ciò che in quel momento è presente. Freud paragona il processo ad un lutto, meglio ancora: l’anticipazione di un lutto, per altro inesorabile, quale è il trascorrere del tempo e la caducità che ne consegue.

<<E’ un vero peccato che sia troppo breve l’intervallo tra il tempo in cui siamo troppo giovani e il tempo in cui siamo troppo vecchi>> sosteneva Montesquieu, filosofo e giurista francese, a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo.

Il punto è che ci sono vari modi e intensità nel dolersi di quella che chiamiamo, diciamolo: vecchiaia.

Terza età, quarta età, terza età e mezzo, giovani vecchi e grandi vecchi (senza riferimenti politici questi ultimi). E ancora: “generazione perduta” (i nati tra il 1883 il 1900), “grande generazione” (1901-1927), “generazione silenziosa” (1928-1945) e “baby boomers” (1946-1964): tutti anziani.

Quanti distinguo, specificazioni (anche non richieste), analisi anagrafico-generazionali che invidierebbe un entomologo.

Ricordo un amico che diceva: <<Sono del 1960…..ma di dicembre eh……>>, il che gli conferiva un’indubbia superiorità rispetto ad un suo collega che era sì del 1960 come lui, ma nato ad aprile. Differenze d’età trascurabili, a meno che non si tratti della prima infanzia, eppure… “c’è chi dice no”. All’età anagrafica. E qualcuno più di altri.

Indiscutibilmente la terza età (useremo prevalentemente questo termine perché di maggior uso comune) porta con sé una serie di modifiche fisiche, psicologiche, cognitive e ambientali (a cominciare dalla “vecchiaia” delle persone più significative della nostra vita).

C’è una terza età reale ed una percepita. Indubbiamente. Qui ci interessa prevalentemente focalizzarci sull’umore che accompagna il progressivo invecchiamento. Umore che è una sorta di “precipitato” inesorabile, in quanto la terza età porta con sé la percezione del venir progressivamente meno delle nostre forze fisiche e cognitive, a prescindere dal soffrire o meno di patologie conclamate. Schematizzando abbiamo: un processo biologico di invecchiamento, uno psicologico e uno che chiameremo psico-sociale-relazionale. Quest’ultimo comprende aspetti che vanno dall’ambiente culturale (ad es. qual è il ruolo e/o l’immaginario collettivo dell’anziano nella società) alla qualità delle relazioni oggettuali, fino alla presenza o meno di esse (malattie/lutti dei nostri “oggetti”).

Premesso che invecchiare è sicuramente l’unico modo che abbiamo trovato per non morire giovani (Pennac dixit), non si tratta neanche di un pranzo di gala, come si diceva un tempo della rivoluzione.

Soprattutto, ed è il tema che ci interessa, non tutti gli esseri umani “vivono” la vecchiaia nello stesso modo, da un punto di vista socio-affettivo.

La questione, già di non poco conto, si complica se la correliamo (a parità di contesto socio-economico e culturale) con le differenti personalità.

Per altro, oggi, la Psicologia è divenuta una “psicologia dell’arco di vita” o “prospettiva life-span” (Baltes, Reeves 1986  Amoretti, Ratti (1994) e ciò si riflette anche nella psicoterapia che accoglie ormai da tempo pazienti “anziani”. Ciò è dovuto sia a fattori socio-culturali (della nostra società contemporanea occidentale) sia ad un mutamento della visione evolutiva “sviluppo-decadimento” in psicologia, verso un approccio che intende lo sviluppo ontogenetico come un processo che dura per l’intera esistenza, con differenze interindividuali e maggior plasticità di quanto si ritenesse un tempo (ad es. per quanto concerne le strategie di coping dell’anziano e la qualità dell’ambiente relazionale in cui vive).

“Buongiorno bambino”

“Buongiorno signore”

“Quanti anni hai?”

“Sette, signore”

“Ah, ah…io alla tua età ne avevo undici”

L’anziano non può competere con l’età oggettiva e presente del bambino, ma può ricostruire il suo passato, e da lì impegnarsi in una constatazione (per altro anche critica verso l’altro) che è un misto di non-sense e narcisismo.

Ed ecco che abbiamo introdotto la parola chiave: narcisismo. E il combinato disposto narcisismo-vecchiaia.

Due parole sul Disturbo Narcisistico di Personalità

In generale lo si definisce come una condizione psicologica che si caratterizza per un bisogno di ammirazione, che risulta eccessivo, in quanto correlato positivamente con la preoccupazione per la propria immagine agli occhi altrui: di fatto una problematica legata all’autostima. Un soggetto con queste caratteristiche può manifestare dette problematiche in modi sostanzialmente opposti (quindi in apparenza inconciliabili). Abbiamo un narcisista overt (o inconsapevole o a pelle spessa) e covert (rispettivamente: ipervigile o a pelle sottile). (1) 

Il DSM-V, cioè la quinta ed ultima edizione del manuale per la classificazione e diagnosi dei disturbi mentali (pubblicato dall’American Psychiatric Association nel 2013) prende in considerazione solo una delle due tipologie: la tipologia overt. Quella che corrisponde maggiormente all’immaginario collettivo del “narcisista”. Epiteto, prima che diagnosi, che sembra aver preso il posto del “sei un border!”, e compete, quanto a diffusione, con l’altrettanto frequente “sei bipolare!”. Questo tanto per ricordare l’effetto stigmatizzante delle diagnosi, come ci hanno insegnato in sociologia i rappresentanti della Labeling Theory. (2) 

Insomma, stiamo parlando del vicino di casa che quando c’è il temporale esce sul balcone pensando che siano i flash dei fotografi che sono lì per lui. Oppure, l’amico che sul cruscotto della sua nuova auto (ovviamente bellissima e insuperabile) ha l’immagine di Gesù Cristo con la scritta “Vai piano papà”.

Nelle sue forme meno comiche o irritanti (a voi la scelta) abbiamo il “narcisista maligno”. E’ vero che di narcisismo maligno parla un autorevole psicoanalista come Otto Kernberg (ad es. in Kernberg, 1975), descrivendolo come una forma particolarmente grave di disturbo narcisistico di personalità, tale da sovrapporsi in parte al Disturbo Antisociale. Però nella vulgata contemporanea ci riferiamo sovente con questa definizione a una sorta di “killer emotivo”, nelle relazioni di coppia. Nei giudizi più edulcorati si dirà “Casanova” o “Don Giovanni” (ignorando le differenze tra i due per altro); più realisticamente, va detto, una personalità talmente orientata alla conferma della propria autostima che non potrà essere un premio Nobel di empatia. L’Altro è uno strumento per regolare la visione di sé, e non c’è spazio per l’immedesimazione e l’identificazione in relazioni oggettuali dove ha la funzione esclusivamente di un “oggetto-Sé” (3) con la funzione di rispecchiamento e sostegno del Sé.

E il “povero” covert? Dimenticato dai DSM, il narcisista che appartiene a questa tipologia è introverso, apparentemente insicuro, spesso modesto e con un pizzico di vittimismo. Anche in questo caso ci sono fantasie di “grandiosità”, ma vengono celate, tenute per sé e con funzioni compensatorie delle vicissitudini della propria autostima. Ed eccoci da capo! L’autostima. Il narcisista covert è un ricercatore seriale di stimoli che gli garantiscano un’autostima per lo meno apprezzabile. Soltanto lo fa in silenzio, facendosi notare nel suo nascondersi (ricordate la battuta di Nanni Moretti in “Ecce Bombo”?)

Ma cosa accade con la vecchiaia?

Senectus ipsa est morbus, cioè “la vecchiaia è di per sé una malattia”. O no? E per chi?

L’aforisma, attribuito a Publio Terenzio Afro, appartiene ad un’epoca che, rispetto all’attuale cultura occidentale, attribuiva in ogni caso un ruolo sociale e familiare significativo all’anziano. Più di un secolo dopo è Cicerone, con la sua opera Cato Maior de senectute, che scriverà della vecchiaia come un frutto naturale, che va colto a suo tempo, come i frutti (diversi) delle altre età della vita. Questo frutto sarebbe la maturità.

In ambito psicodinamico E.H. Erikson (1963), include nelle sue fasi epigenetiche di sviluppo dell’essere umano lo stadio della maturità, ottavo e ultimo stadio della sua teoria evolutiva.

Questa età della vita sarebbe contraddistinta da una sfida/conflitto evolutivo specifico (come nelle fasi/età precedenti) che lo psicoanalista statunitense chiama della “integrità dell’Io vs disperazione”.

Della prima Erikson si esprime così: <<Essa corrisponde alla accresciuta certezza dell’Io di dirigersi verso l’ordine e la significatività; ad un affetto post-narcisistico non per l’Io individuale, ma per quello umano, inteso come esperienza di un ordine universale e di un significato spirituale degni di qualsiasi prezzo; all’accettazione del proprio e irripetibile ciclo di vita come di qualcosa di necessario e insostituibile>> (Erikson, cit., la sottolineatura è di chi scrive).

L’alternativa è la “disperazione”: << La disperazione si affaccia ad esprimere il sentimento che il tempo è breve, troppo breve per ricominciare un’altra vita e per battere altre strade verso l’integrità>> (Erikson, ibid.).

Se intendiamo i due termini usati dall’autore come gli estremi di un continuum, posizioneremo la personalità narcisista verso il polo della disperazione. Ciò non vale solo per il NPD (Narcisisstic Personality Disorder), ma per altri disturbi di personalità. (4)

Le ricerche più attuali sul rapporto tra senilità e salute mentale, si sono concentrate sul destino di alcuni tratti caratteriali/stili di personalità.

Nell’incontro/scontro con la vecchiaia si riscontrano sia scenari che contemplano una quasi, o marcata, estinzione di certi tratti comportamentali disfunzionali e patologici pre-esistenti, oppure un loro inasprimento, che comprende (in negativo) anche comportamenti inediti, soprattutto sul versante delle relazioni interpersonali (Kroessler, 1990).

<<La maggior parte dei cambiamenti [nella vecchiaia] se non tutti, richiedono in particolare una ridefinizione della regolazione dell’autostima e quindi toccano temi specificamente narcisistici>> (Madeddu, cit.).

In quest’ultimo caso tematiche (ed aspetti della personalità) quali: bisogno di gratificazione e ammirazione, “uso” dell’Altro come regolatore della propria (deficitaria) autostima, senso di grandiosità (conscia o inconscia), mancanza di empatia, non possono che subire un breakdown in un’epoca della vita contraddistinta dal venir meno di una serie di risorse fisiche, cognitive, sociali, ecc…

Non a caso la nostra società “non è un paese per vecchi”, nel senso che la vecchiaia, le sue limitazioni fisiche e psicologiche, la malattia, e i lutti, ecc…vengono negate e/o ipercompensate, nel tentativo di evitare di fare i conti col tempo che passa. Vige lo slogan: <<Non potete evitare di invecchiare, ma non dovete per forza diventare vecchi>> (come disse George Burns, attore e comico statunitense).

Persone

Aldo, 68 anni, ex calciatore ed istruttore sportivo. Esordisce così, al nostro primo incontro di psicoterapia: <<Dottore, vorrei essere meno rabbioso, insofferente, invidioso anche. Che brutta parola. Non sono mai stato così, ma ho alcune avvisaglie che non mi piacciono. Ad esempio ieri osservavo mio nipote giocare a calcio. Ha “stoffa” il ragazzo. Mi ha ricordato quando alla sua età ero un promettente calciatore [A. ha in effetti ha raggiunto buoni risultati, partecipando a campionati di calcio professionistici, compresi tre anni nella serie B]. Però…mi vergogno, ma ho provato invidia. E, forse per colmarla, ho cominciato a pensare che io ero più bravo di lui alla sua età, sa ha quindici anni. La mia mente ha cominciato a cercare nella memoria e trovavo soltanto esempi in cui io mi ero dimostrato più bravo di lui. Che tristezza! Col bene che voglio a Luciano! Una parte di me mi sussurrava: “Tu eri più bravo!”. E’ stato un campanello di allarme. Passi pensare cose simili quando osservo le partite in tv, ma provare invidia e stizza per i risultati di Luciano, non lo sopporto. Sono qui da lei anche per questo motivo>>.

Aldo si rende conto della distonia dei suoi pensieri, cioè non li accetta. Un po’ come nella celebre vignetta umoristica di Altan, in cui il personaggio dice sostanzialmente: <<Ogni tanto mi vengono idee che non condivido>>.

Siamo già a buon punto, i sentimenti negativi verso l’amato nipote hanno svolto il ruolo di campanello di allarme, insieme a manifestazioni di insofferenza verso le piccole frustrazioni quotidiane dovute all’età, che non risparmiano i familiari. Nel nostro gergo psicoterapeutico il sintomo è diventato “egodistonico”, cioè ne cogliamo e ammettiamo la negatività e la qualità di sintomo.

Gloria, 71 anni. Decide di “affidarsi” ad uno psicoterapeuta. E già si corregge: <<Che brutta parola! Io non ho bisogno di affidarmi a nessuno, sono gli altri che si affidano a me>>. Cominciamo bene! (penso).

Quale è il “fatto” che l’ha condotta da me, lei che <<non ha mai avuto bisogno di nessuno...perché so fare tutto>> (sic).

Una frattura scomposta al braccio destro avvenuta due mesi fa, e che la costringe ad avere “bisogno di tutti”. In realtà emergerà che da qualche tempo non riesce ad essere la “super woman” che si è sempre descritta. Piccoli acciacchi, minor resistenza alla fatica e la percezione che, anche esteticamente, non sia più la “bella del quartiere”, come la chiamavano i suoi amici coetanei, non più tardi di una decina di anni fa.

Contrariamente ad Aldo, non c’è un approccio egodistonico al suo vissuto. Gloria è convinta che, una volta guarita la frattura, tutto tornerà come prima: la Gloria super woman, ovviamente. O no?

La richiesta d’aiuto è indirizzata a “viversi alla meglio” il periodo che intercorre tra l’oggi e la completa riabilitazione dell’uso del braccio. Insomma, un po’ di pazienza e tutto tornerà come prima.

In una seduta piangerà disperatamente al pensiero che la funzionalità dell’arto potrebbe non tornare ad essere quella precedente. <<Signora la riabilitazione sarà comunque lunga, del resto non abbiamo più vent’anni>> le ha detto il fisiatra a cui, elegantemente, ha risposto: <<Pensi a lei che ha più anni di me. Sono sempre stata invincibile, non mi fermerà una frattura>> (la sottolineatura è mia).

Soltanto dopo mesi di terapia G. comincerà a prendere coscienza della fatica (oltre che dell’irrealtà) del dover essere sempre la migliore, la più brava, la più bella, la più amata e desiderata. <<Che fatica dottore (dirà in una seduta) questi altri e i loro giudizi nei miei confronti cominciano ad essere ingombranti, nel bene e nel male>>.

Questi “altri” possono essere il partner, i figli, gli amici così come la commessa del negozio che ci dice: <<Le sta bene questo vestito, sa la ringiovanisce>>. Battute che fanno la differenza tra un anziano con una personalità di tipo narcisistico e chi è…….soltanto anziano.

Se anche un vestito nuovo può essere fonte di ferite narcisistiche, figuriamoci fenomeni come l’abbandono del proprio lavoro (“sopraggiunto per limiti di età”, si dice, che significa che non ce la fai più). Il ruolo in famiglia, nel migliore (o peggiore?) dei casi, relegati al ruolo di nonni. E la salute? E le invalidità più o meno gravi? E l’estetica?

<<Quando furono entrati, videro appeso alla parete uno splendido ritratto del loro padrone come lo avevano visto l’ultima volta, in tutto lo splendore della sua gioventù e della sua bellezza. Disteso sul pavimento c’era un uomo, in abito da sera, con un coltello. Era sfiorito, rugoso, con un volto ripugnante. Solo quando esaminarono i suoi anelli lo riconobbero>> (Wilde, 1891). Mi ha sempre fatto riflettere che in questa tragedia umana l’identità del protagonista (Dorian Gray) viene riconosciuta negli anelli. Simbolo di ricchezza, sfarzo, ma oggetti inanimati. Di certe persone c’è il rischio che sopravvivano solo gli oggetti anziché il soggetto, nel nostro ricordo di un essere umano.

Ci sono tanti specchi “cattivi” che ci circondano e ci rimandano incessantemente la nostra vera immagine, sia in senso reale sia metaforico.

Eppure, per alcuni, può essere una seconda chance. Essere quello che si è. Abbandonare quella interminabile e onnipresente ricerca di colmare il divario tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. <<Una faticaccia>>, ha ammesso la mia paziente citata in precedenza. <<La libertà di non dovermi chiedere sempre così tanto>>, è la frase di un altro mio paziente settantenne.

Madeddu (cit.) ipotizza una dimensione che chiama “narcisismo benevolente” (assimilabile al narcisismo “benevolo” o “cosmico” di Kohut, 1978).

La terza età rende liberi?

Note

  • Rosenfeld (1987), Gabbard (1989) e Wink (1991), hanno rispettivamente adottato queste coppie di definizioni antinomiche.
  • La Labeling Theory è una teoria sociologica che, a partire dagli anni ’60, ha studiato l’effetto delle etichette sociali (“labels”), in primis quelle di devianza, nell’influenzare il comportamento e la visione di sé stesso, da parte dell’individuo etichettato/diagnosticato.
  • Vedi Kohut (1971), per una prospettiva più ampia sul tema, e la sua sottolineatura del ruolo di un narcisismo sano nello sviluppo umano, e della presenza di “oggetti-Sé” anche in ottica evolutiva e adattiva.
  • Nel suo interessante e aggiornato libro “I mille volti di Narciso. Fragilità e arroganza tra normalità e patologia”, Fabio Madeddu (2020) ci ricorda che nella nosografia psichiatrica viene lasciato poco spazio alla terza età; una lacuna colmata in parte nella seconda edizione del PDM (PDM 2, 2017).

BIBLIOGRAFIA

American Psychiatric Association (2013), Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Vol. 5. Trad. it. Cortina Editore, Milano, 2014.

Amoretti G., Ratti M.T. (1994), Psicologia e terza età. La Nuova Italia Scientifica Editore, Roma.

Baltes P.B., Reese H.W. (1986), L’arco della vita come prospettiva in psicologia evolutiva. Trad. it. in Rivista “Età evolutiva”, 23.

Erikson, E.H. (1963), Infanzia e società. Trad. it. in Armando Editore, Roma, 1966.

Freud, S. (1915), Caducità. Trad. it. Boringhieri Editore, Torino, 1976.

Gabbard, G.O. (1989), Two subtypes of narcissistic personality disorder. Bulletin of the Menninger Clinic, 53.

Kernberg, O. (1975), Sindromi marginali e narcisismo patologico. Trad. it. Boringhieri Editore, 1978.

Kohut, H. (1971), Narcisismo e analisi del Sé. Trad. it. Boringhieri Editore, Torino, 1976.

Kohut, H. (1978) La ricerca del Sé. Trad. it. Boringhieri Editore, Torino, 1976.

Kroessler, D. (1990), Personality disorder in the elderly. Hospital & Community Psichiatry, 41, 12.

Madeddu, F. (2020), I mille volti di Narciso. Cortina Editore, Milano.

PDM-2 (a cura di Lingiardi, V. e McWilliams, N.) (2017), PDM-2. Manuale Diagnostico Psicodinamico. Trad. it. Cortina Editore, Milano, 2018.

Rosenfeld, H. (1987), Comunicazione e interpretazione. Trad. it. Boringhieri Editore, Torino, 1989.

Wilde, O. (1891), Il ritratto di Doriano Gray. Trad. it. Mondadori Editore, 1935.

Wink, P. (1991), Two faces of narcissism. Journal of Personality and Social Psichology.

*Paolo Chiappero è membro della redazione di Varchi