Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi,
ancor non m’abbandona”
Paolo e Francesca, Inferno, Canto V
Dante Alighieri
162 donne, nell’anno 2021, hanno contattato il Centro Antiviolenza ISV (Imperia, Sanremo, Ventimiglia- Insieme Senza Violenza), tra queste, circa 115 donne italiane e 46 straniere.
Rispetto agli anni scorsi, il numero delle donne che si sono rivolte al Cav è aumentato significativamente, ma il numero delle donne che prosegue nel percorso della fuoriuscita dalla violenza è sempre basso.
Questo ci porta a pensare che aumentano i numeri delle donne che si avvicinano al Centro Antiviolenza e agli sportelli di ascolto, vi è una maggiore presenza di servizi usufruibili nel territorio (associazioni di vario tipo, Enti, ecc..) che senz’altro stanno tenacemente sensibilizzando le persone e il Territorio per una maggiore consapevolezza della situazione delle donne, in ambiti di violenza di genere.
Ma le donne coinvolte in dinamiche di violenza, sempre più numerose, hanno anche sempre più paura.
Paura di dover sostenere conseguenze legali, di non essere credute, ma soprattutto di immaginarsi prive dell’oggetto d’amore di quella dipendenza affettiva che molte, se non tutte, hanno sperimentato sulla loro pelle.
Molte delle donne che ho incontrato all’inizio della loro relazione non avrebbero mai pensato che il loro legame sarebbe potuto evolvere in dinamiche di dipendenza affettiva, tanto meno in dinamiche aggressive o violente.
All’inizio, la dipendenza affettiva si mostra con caratteristiche del tutto simili alla fase dell’innamoramento, vale a dire uno stato ansioso e ricco di domande; domande rivolte a sé e al partner, in cerca di rassicurazione eaffermazione della presenza psicologica e fisica dell’altro nella relazione, nonché riflesso del proprio bisogno di accudimento.
La differenza che possiamo però già scorgere tra l’innamoramento e la dipendenza affettiva è che la persona dipendente non accetta alcun rifiuto, non considera un diniego da parte dell’altro partner, proprio come se la relazione avesse un “difetto di empatia” (Ghezzani, 2016).
Successivamente, in una ipotetica seconda fase della dipendenza affettiva, se l’amato non mostra continui apprezzamenti e attenzioni nei confronti della persona dipendente, questa inizierà a vivere stati di angoscia e di rabbia, perché teme di non avere più in sé caratteristiche attrattive per l’amato. Il “dipendente affettivo”, indi, userebbe qualsiasi mezzo di persuasione e di manipolazione per poter avere, “possedere” l’amato, facendo prevalere tutti i propri bisogni egoistici.
Nell’ultima fase la persona dipendente si sente rifiutata dalla persona “amata”, verso la quale focalizza tutta la sua rabbia, la sua aggressività, il suo tormento, al fine di mettere in atto una violenta fantasia di controllo, che troverebbe quiete solo nel caso in cui l’amato si sottomettesse.
Questa fase non è più confondibile con la dinamica dell’innamoramento, in quanto nella dipendenza affettiva emerge l’esercizio del proprio potere sfruttante sull’altro, per evitare il dramma, e forse la disgregazionepsicologica, di un possibile rifiuto.
Queste donne quindi nascondono per anni la loro vita scandita dalle umiliazioni, dalle offese, dagli insulti, dalle denigrazioni, dalle minacce, dalla deprivazione, dalla violenza, ma non riconoscono la propria dipendenza affettiva.
Non sanno più sottrarsi al serpente incantatore, fragili e chiuse nel loro isolamento, perché attraverso la relazione di dipendenza affettiva dal partner, trovano la loro dimensione identitaria, soprattutto legata allo stereotipo di genere, che altrimenti faticherebbero a riconoscere.
È fondamentale, quindi, l’immagine che la donna ha del proprio ruolo in quanto “femmina” e dei copioni familiari vissuti, soprattutto riferito alla figura femminile di attaccamento e in relazione al legame genitoriale esperito nell’infanzia e nella crescita.
Il tentativo delle donne che vivono una dipendenza affettiva è di vivere attraverso l’altro, senza la possibilità di ricevere un rifiuto abbandonico, senza l’angoscia legata alla possibilità di frantumazione di uno specchio che non potrebbe più riflettere lo stereotipo della donna succube della potenza maschile, acconsenziente, remissiva e psicologicamente fragile.
Il loro sentire oscilla tra sentimenti di rivalsa e sottomissione, cheraccontano con sentimento di colpa e di vergogna; spesso le rivendicazioni continue nella coppia nascono proprio in questi contesti psicopatologici reciproci di “odi et amo”.
La dipendenza affettiva presenta delle caratteristiche simili alla dipendenza dalle sostanze, o alla ludopatia, dalla quale difficilmente riusciamo a disintossicarci; la dipendenza in sé è originariamente scrittanei nostri geni e spesso ho notato la facilità con la quale alcune dinamichedella dipendenza, quando instaurate, si spostino continuamente da un soggetto/oggetto all’altro.
Non di rado assisto a situazioni di donne che cercano di uscire dalla dinamica della dipendenza affettiva che “spostano” e ripropongono le dinamiche di dipendenza vissute in coppia con il compagno, alla riproposizione di una relazione di dipendenza affettiva con il terapeuta e,infine, verso l’uso/abuso di farmaci o di sostanza, o alla mera somatizzazione.
Valentina: <<Non riesco a pensarmi da sola… Mi devo stordire per stare bene e pensarmi comunque nel passato, perché in quel passato c’era lui…Anche se ora io “ho” lei, dottoressa…>>
Sara: <<Sa, non ho più l’ansia quando sono da sola, però spesso sento che mi fa male la schiena… Devo andare a fare una visita alla schiena, perché mi fa sempre male…>>
La violenza è senz’altro un fenomeno a due vie, ove trovano spazio psicopatologie, vissuti traumatici, masochismo, relazioni disfunzionali, sia da parte della vittima, che del maltrattante.
Spesso, infatti, incontro donne che necessitano di essere “raccolte” e non solo “accolte”: il loro vissuto traumatico, ciò che rimane della loro autostima, leva loro la scintilla di vita negli occhi, bisogna raccoglierne i cocci.
Paiono poco lucide, quasi sempre assonnate, o, al contrario, ipercinetiche, sovrastimolate.
Soprattutto, noto che le donne che si rivolgono ai Centri Antiviolenza sono donne politraumatizzate che hanno perso la lucidità di comprendere e codificare ciò che sta succedendo intorno a loro, deprivando quindi di significato anche la gravità del fenomeno aggressivo che stanno vivendo.
Come se venisse ipoteticamente rovesciata e interrata la “Piramide dei bisogni” di Maslow (1954): la piramide, posta con il vertice sotto terra, non può che riprodurre in modo esplicito le dinamiche della violenza di genere.
A punta in giù, ben incastrato sotto al terreno, si trova il vertice con il bisogno di autorealizzazione personale della vittima e quasi tutto il corpo della piramide, che viene messo in ombra dal maltrattante, come elementonascosto, invisibile, negato.
Alla parte opposta quindi ben visibile, vi è la base della piramide, unico elemento che fuoriesce dal terreno, ove sono collocati i bisogni fisiologici, con i movimenti naturali del respiro, l’alimentazione, il sonno…Il sesso.
In mezzo a questi due estremi vi sono il bisogno di stima, il bisogno di appartenenza, il bisogno di sicurezza…
Fattori, anch’essi, ben incastrati sotto terra che non interessano affatto ai possibili esecutori di violenze di genere e, soprattutto, non sono visibili dall’esterno.
I maltrattanti non hanno fatto altro che ribaltare i termini, ma la base dei bisogni primari, a loro dire, è sempre la stessa e quindi poco o nulla è variato.
Alcuni soggetti, come i manipolatori affettivi, i narcisisti maligni, gli “attivatori di dipendenza affettiva”, non negano che le donne abbiano dei bisogni, ma semplicemente ribaltano la piramide di Maslow, in modo che i loro bisogni primari siano predominanti sugli altri bisogni, e non si veda più il resto.
Luisa: “In realtà non mi faceva mancare nulla…”
Cosa succede quando una donna trova il coraggio di andare via dall’azione della persona maltrattante?
A seconda della violenza subita, la donna si reca al Pronto Soccorso o si rivolge alle Forze dell’Ordine, che inviano la donna alla presa in carico a cura del Centro Antiviolenza territoriale.
Quando quel telefono squilla, mille pensieri affollano la mia mente e spero sempre che non sia una situazione “grave”.
Cosa significa pensare che una violenza possa non essere grave?
Che non ci sia stata violenza diretta sui minori, ad esempio, e nemmeno violenza assistita da parte di un minore.
Che non ci sia stata una violenza sessuale.
Che…Non ci sia stato proprio l’aggressore.
Non esistono violenze non gravi, esistono tanti modi per reagire alle violenze.
E sulla base di questo pensiero, ascolto la storia di questa donna.
Senza nascondere a me stessa che sto tremando, che ho paura ad incontrare l’Altra nel momento più tragico della sua vita.
Talvolta gli inserimenti in strutture di protezione di primo livello in emergenza e poi, nel tempo, di secondo livello, vanno a buon fine e la donna riesce ad uscire dal percorso della violenza.
Spesso, invece, le donne a metà percorso, lasciano il progetto.
Hanno paura.
Vorrebbero nascondersi e non aver mai denunciato.
E le Operatrici?
È grande la rabbia, la delusione, il senso di inefficacia quando una donna lascia il progetto di fuori uscita dalla violenza.
Ho notato che tra operatrici iniziano a susseguirsi telefonate, ove si racconta, si narra e si rinarra ciò che è accaduto, si ripensano soluzioni alternative per il prossimo caso, ci si “ripara” vicendevolmente con un desolato “abbiamo fatto tutto il possibile”.
Come il chirurgo quando non riesce a salvare vite, noi sappiamo, nel non detto, che ogni donna che abbandona il percorso di fuoriuscita dalla violenza tornerà a casa, e inevitabilmente rientrerà in una vita di violenze.
Non è raro ritrovare i loro nomi sui giornali, a distanza di anni.
Le domande, anche in questa fase, si presentano puntuali nella mente del terapeuta: perché Maria ha lasciato il progetto, pur avendo avuto tuti i sostegni necessari?
Cosa è scattato nel pensiero di Rosa, dopo una settimana esatta dalla prima denuncia, per indurla a lasciare la situazione in protezione, pur temendo per la sua incolumità?
Forse uno dei motivi è proprio la mancanza dell’Altro, la relazione di dipendenza affettiva.
Il non poter più vivere se non in funzione dell’essere vista dall’Altro, di essere-ci per l’Altro, di sentirsi “donna” solo attraverso il rispecchiamento nello stereotipo di genere mentalizzato nel riflesso del partner.
Di soddisfare il bisogno, la necessità di non-rifiuto del partner.
Si passa da un trauma subito, ad un trauma agito, su loro stesse.
A noi operatori e professionisti, dopo alcuni di questi casi, resta il vuoto.
Di aver corso tanto, di aver impiegato energie, risorse, speranze e presenza.
La presenza forse resterà anche in loro, quando la loro mente sarà più lucida.
Oppure…Ci piace immaginare che sarà così.
Sono “solo” 73 le donne che stanno proseguendo il percorso di fuoriuscita dalla violenza, 73 su 162 “sguardi”.
Ci vorrebbe un impegno maggiore di risorse, anche economiche, e di costrutto sociale; attraverso l’informazione e la formazione, bisognerebbe cercare di ricostruire una identità comunitaria che condivida, amplifichi, sostenga e promuova l’identità femminile anche nello sviluppo di nuove competenze e strategie difensive inclusive, non autolesive, nei confronti degli uomini.
Uomini che aiutano le donne.
Una società che non strumentalizzi il mondo femminile considerandolo come oggetto, ma che riconosca e promuova il mondo femminile con la sua bellezza e le sue peculiarità, come generatore di creatività e nutrimento sociale.
A noi resta l’impegno di voler migliorare, per la prossima chiamata…
BIBLIOGRAFIA
Ghezzani N. (2016), Quando l’Amore è schiavitù, come uscire dalla dipendenza affettiva e raggiungere la maturità psicologica, Franco Angeli Editore
Maslow A. (1954), Motivazione e personalità, Armando Editore
Portale Gestione Centri Antiviolenza Regione Liguria
* Noemi Angelini è psicologa, Coordinatrice Centro Antiviolenza ISV
BIBLIOGRAFIA
Ghezzani N. (2016), Quando l’Amore è schiavitù, come uscire dalla dipendenza affettiva e raggiungere la maturità psicologica, Franco AngeliEditore
Maslow A. (1954), Motivazione e personalità, Armando Editore
Portale Gestione Centri Antiviolenza Regione Liguria
* Noemi Angelini è psicologa, Coordinatrice Centro Antiviolenza ISV