di Agostino Tolu
“L’Organizzazione mondiale della sanità dichiara che la povertà è la principale causa di morte nel mondo: <<La povertà esercita la sua influenza distruttiva a ogni stadio della vita umana, dal concepimento alla tomba. Essa cospira con le patologie più mortali e dolorose per portare una esistenza di dannazione a tutti coloro che la patiscono>>”.
P. Farmer, Sofferenza e Violenza Strutturale
Introduzione
Margaret Lock e Nancy Scheper-Hughes, nel loro Un approccio critico-interpretativo in Antropologia Medica (1990)[i], identificano nel corpo umano, <<in stato di salute e malattia, il punto di partenza della ricerca in quest’ambito, ricerca che include studi storici e transculturali sulle rappresentazioni legate al corpo, oltre ad analisi dell’universale tentativo di spiegare, classificare e alleviare i problemi di salute e invecchiamento>>[ii]. Tali orientamenti analitici, se da una parte hanno scandagliato in profondità modalità di cura, di concezione della malattia e della sofferenza all’interno di mondi “altri”, per dirla con Allan Young, docente e ricercatore di Antropologia alla MCGill University di Montreal, hanno spesso e volentieri sottratto la scienza sociale occidentale e la medicina occidentale ad un indagine epistemologica equivalente, in quanto <<mentre si può intraprendere un’analisi culturale dei sistemi medici “tradizionali”, la biomedicina (la medicina “scientifica”) è ritenuta, per sua propria natura, privilegiata ed esente da un’analisi di questo tipo>>.
Antropologia Medica, Etnopsichiatria e tutte quelle branche delle scienze che si occupano, nelle modalità più diversificate, di indagare criticamente il concetto di salute e malattia in una prospettiva storica e dinamica hanno, negli ultimi trent’anni, messo in discussione questo assunto, favorendo analisi multi-scalari che concepissero la biomedicina in quanto sistema culturale, storicamente determinato.
Secondo tale lettura tutta la conoscenza relativa al corpo, alla salute e alla malattia viene costruita, negoziata e rinegoziata culturalmente, in un processo dinamico attraverso il tempo (storicità) e lo spazio (multi-località).
Pertanto, al fine di analizzare le modalità con cui si definiscono i criteri di salute e di malattia all’interno della biomedicina, e di rimando come il corpo sia il terreno di espressione privilegiato di questi concetti, non ci si può esimere dall’indagare il pensiero in cui tali criteri nascono e si evolvono, e come tale pensiero plasmi quel mondo in cui siamo quotidianamente immersi.
Il corpo colpevole
Anna Cavaliere, in L’invenzione della Povertà (2019)[iii], riconosce nella fase successiva a quella che Jean Fourastiè ha definito <<I Trenta gloriosi>>[iv] (ovvero il periodo storico compreso tra la metà degli anni Quaranta e la metà degli anni Settanta del Novecento, contraddistinto da elevata crescita economica, diminuzione del tasso di disoccupazione, affermazione progressiva dei diritti sociali e, più in generale, da un miglioramento della qualità della vita delle classi sociali meno abbienti) il momento in cui subentra una specifica visione antropologica dell’uomo determinata da un sistema di conoscenza che utilizza il linguaggio economico per interpretare, definire e riconoscere la realtà. Secondo Cavaliere questo paradigma, che ella definisce neoliberale (e che si interseca e va di pari passo con il concetto di “nuovo Spirito del Capitalismo” elaborato da Luc Boltanski e Ève Chiapello), è stimolo di un processo di naturalizzazione, che la filosofa rimanda all’idea di povertà, ma che è facilmente applicabile a qualunque elemento della realtà.
Tale naturalizzazione comporta una modalità di interpretazione del circostante astorica, priva di analisi critica, e che tende a valutare le cose del mondo (incluso il corpo, o le relazioni sociali, che per Lukàcs sono altrettanto vittime di quella dinamica di reificazione e oggettivazione che caratterizza un sistema capitalistico dove la merce e il denaro sono gli equivalenti generali, ciò che determina il valore della realtà) come, appunto, reificate e date invariabili.
Secondo Lock e Scheper-Hughes il corpo, de-socializzato e de-storicizzato, paradossalmente viene concepito da un punto di vista materialistico e meccanicistico, in campo biomedico, a causa di una scissione, la separazione tra mente (essenza superiore dell’uomo, l’essere pensante divino) e corpo derivante dall’eredità cartesiana.
Tramite questo processo gli aspetti biologici ed esperienziali-soggettivo di uno stato di salute specifico sono ricondotti sotto il dominio della razionalità di tipo clinico, e in tal modo la dimensione soggettiva del disagio umano risulta essere medicalizzata e individualizzata, piuttosto che politicizzata e collettivizzata.
Le due antropologhe evidenziano, nella loro trattazione, come i mutamenti verificatisi nell’organizzazione della vita pubblica e sociale nelle società industriali avanzate, inclusa la scomparsa di idiomi culturali utili ad esprimere il disagio individuale e collettivo, hanno permesso alla medicina e alla psichiatria di assumere un ruolo egemonico nel dare forma e risposta al dolore umano[v] (riprendendo una tradizione analitica che da Foucault giunge fino all’Etnopsichiatria militante di Frantz Fanon e di chi ne ha seguito le orme); ciò ha causato specifiche conseguenze:
- La rielaborazione di sentimenti negativi, oppure ostili in sintomi di malattie nuove (es. deficit di attenzione, depressione ecc…).
- La progressiva medicalizzazione e iperproduzione di malattie nelle contemporanee società industriali.
- La proliferazione di categorie patologiche, con la conseguenza di un restringimento del concetto di “normalità”.
Ma se la normalità, in quanto concetto, risulta dai confini più contratti, meno aperta ad una dialettica con la complessità che sembra sempre più caratterizzante il mondo in cui viviamo, chi saranno i soggetti che ne risultano maggiormente esclusi?
Cavaliere, nel suo saggio, riconosce nella naturalizzazione della povertà un processo che la determina come <<un evento normale, perfino una caratteristica individuale, un difetto del carattere (…) un dato personale e non sociale, addirittura un tratto morale, se non una colpa>>; una colpa già evocata da Philippe Bourgois e Jeff Schonberg nel noto saggio Reietti e fuorilegge. Antropologia della violenza nella metropoli americana (2011) che riscontravano, presso il gruppo di Homeless di San Francisco con cui avevano condiviso il quotidiano per anni durante la loro ricerca sul campo, come la politica sanitaria neoliberista attuata, in quello specifico frangente in California, definisse la salute nei termini della responsabilità individuale di scegliere uno stile di vita che evitasse il rischio, provocando auto-colpevolizzazione per la propria condizione (che sfociava costantemente in pratiche auto-distruttive)[vi].
Secondo i due ricercatori, le forze politiche che agiscono strutturalmente nell’incrementare la formazione di questo specifico habitus portano a considerare anche la partecipazione ad attività illecite come una scelta personale che rivela una carenza morale, e il consumo di droga, la criminalità agita e la condizione di homeless sono interpretati come sintomi di pigrizia, di scarsa intelligenza, di disabilità biogenetica o di incapacità di controllo degli impulsi, oscurandone così le cause sociali e politiche, anzi escludendole completamente dall’equazione.
In un mondo contemporaneo in cui il corpo è elevato a nuovo simbolo del benessere e dell’identità, re-brandizzato, da coltivare e curare nei minimi dettagli così da avvicinarsi sempre più a quell’ideale di bellezza che domina pubblicità, media, e l’inaccessibile (o quasi) mondo della vera notorietà, essere poveri risulta dover portare un doppio fardello: si è colpevoli di non farcela (ad avere i mezzi materiali per prendersi cura del proprio corpo, della propria salute) e si è colpevoli di non farcela (a modificare la propria condizione materiale e sociale).
Abbiamo pertanto visto come salute e condizione materiale siano elementi in forte connessione tra loro all’interno del mondo in cui siamo immersi: ma a quale grado di intensità la povertà materiale determina lo stato di salute di uno specifico soggetto, o di uno specifico gruppo sociale, o di uno specifico genere, o identità sessuale?
Vittime di violenza strutturale
Paul Farmer, medico e antropologo che, a partire dal 1992, ha condotto un lungo lavoro di ricerca ad Haiti occupandosi del rapporto che intercorre tra diritti umani, potere e status sociale ha utilizzato il concetto di violenza strutturale per definire la situazione nella quale versa la stragrande maggioranza della popolazione haitiana. Secondo Farmer, essi sono esemplari di una condizione che non è determinata dal condividere cultura, linguaggio o razza, ma dall’occupare, invece, il gradino più basso della scala sociale all’interno di società non egualitarie[vii].
Gli assi da lui indagati all’interno del suo saggio (genere, razziale, identità sessuale, vittime di oppressione di altra tipologia) rimandano tutti allo stesso risultato: è la povertà all’interno di tali assi a determinare la maggiore vulnerabilità e la maggiore causa di sofferenza sociale, medica e politica di coloro che vi appartengono.
Essa riduce le possibilità di azione, di scelta, non li protegge dagli imprevisti della vita e ne costringe l’immobilità sociale. E se la sua ricerca parte da Haiti, la disamina della condizione in cui versano gli Haitiani viene declinata in una prospettiva globale, incontrando un’inquietante applicabilità in tutti i contesti sociali del mondo contemporaneo; è quell’assenza di capability di cui parla Amartya Sen, è l’habitus teorizzato da Bordieu, e rielaborato (come precedentemente citato) da Bourgois e Schonberg, è la morte ovunque evocata da Franz Fanon nel suo analizzare l’esperienza dell’emigrato all’interno di un mondo sconosciuto e ostile.
Se dunque salute e povertà risultano essere collegati al punto che, nel mondo attuale, la seconda determina il livello qualitativo della prima, risulta evidente come non vi sia scelta politica più sensata che lavorare perché si migliorino le condizioni materiali delle persone meno abbienti in modo da innalzarne i livelli di salute. Per far ciò, come abbiamo avuto modo di vedere, sembra necessario ripensare criticamente la concezione del corpo, della malattia, e dell’ideale di successo verso cui tendere che caratterizzano la nostra epoca, e di rimando svelare tutte le contraddizioni che si celano dietro a quei meccanismi di naturalizzazione così determinanti nel definire e ricreare quotidianamente lo spirito del tempo in cui siamo quotidianamente immersi.
BIBLIOGRAFIA
Boltanski, L. e Chiappello, È. (2014), Il nuovo spirito del capitalismo. Mimesis, Sesto San Giovanni.
Bourgois, P. e Schoenberg, J. (2011), Reietti e fuorilegge. Antropologia della violenza nella metropoli americana. Derive approdi, Roma.
Cavaliere, A. (2019), L’Invenzione della povertà. Dall’economia della salvezza ai diritti sociali. La scuola di Pitagora editore, Napoli.
Farmer, P. (2003), Sofferenza e Violenza Strutturale. Diritti sociali ed economici in un’economia globale. Trad. it. in Quaranta I. (a cura di). (2006). Antropologia Medica. I testi fondamentali. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Fourastiè, J. (1994), Le trente gloroeuses ou la révolution invisible de 1946 à 1975. Hachette, Parigi.
Lock, M. e Scheper-Hughes, N. (1990), Un approccio critico-interpretativo in Antropologia Medica. Trad. it. In Quaranta I. (a cura di). (2006). Antropologia medica. I testi fondamentali. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Quaranta, I. (2006), Antropologia Medica. I testi fondamentali. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Young, A. (1982), Antropologie della ‘illness’ e della ‘sickness’, trad. it. in Quaranta I. (a cura di) (2006). Antropologia medica. I testi fondamentali. Raffaello Cortina Editore, Milano.
[i] Trad. it. In Quaranta I. (a cura di), “Antropologia medica. I testi fondamentali”, Raffaello Cortina Ed., Milano, 2006, p.149.
[ii] Ibid.
[iii] Cavaliere A., “L’Invenzione della povertà. Dall’economia della salvezza ai diritti sociali”, La scuola di Pitagora ed., Napoli, 2019.
[iv] Fourastiè J., “Le trente gloroeuses ou la révolution invisible de 1946 à 1975”, Hachette, Parigi, 1994.
[v] Lock M., Scheper-Hughes N., “Un approccio critico-interpretativo in Antropologia Medica” (1990), Trad. it. In Quaranta I. (a cura di), “Antropologia medica. I testi fondamentali”, Raffaello Cortina Ed., Milano, 2006
[vi] Bourgois P., Schoenberg J., “Reietti e fuorilegge. Antropologia della violenza nella metropoli americana”, Derive approdi, Roma, 2011.
[vii] Farmer P., “Sofferenza e Violenza Strutturale. Diritti sociali ed economici in un’economia globale”, p.281, Trad. it. in Quaranta I. (a cura di), “Antropologia Medica. I testi fondamentali”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006.